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8 dicembre 1807: cadde il monte di Sernio

CULTURA E SPETTACOLO - 15 07 2021 - Ivan Bormolini

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/LA TESTIMONIANZA DI QUELLA CALAMITA'
LA TESTIMONIANZA DI QUELLA CALAMITA'

(Di I. Bormolini) Gli eventi o le calamità del 1987 nelle nostre valli, sono stati gli ultimi di grande portata sia in merito al numero di vittime sia per ciò che concerne i danni. Il nostro territorio nei secoli è stato caratterizzato da una lunga storia di dissesti, frane e alluvioni e le antiche cronache ne riportano le vicende molte delle quali drammatiche.

Nel 1338 pare che un'alluvione di notevole entità abbia investito tutta la provincia, in precedenza nell'anno 1300 un'analoga situazione avrebbe distrutto l'intero abitato di Samolaco.

La ciclicità dei fatti è ricordata nei testi storici anche nei periodi successivi a quelli citati ed il 1600 annovera la distruzione dell'abitato di Boalzo nel comune di Teglio. Sempre intorno al 1600, sembra che una frana di macigni fosse precipitata su Grosio arrecando perdite di vite umane, di bestiame e poderi.

Una grave calamità ancor oggi ben documentata, è inerente alla frana di Piuro verificatasi il 4 settembre 1618, dove il precipitare a valle di quel monte aveva cancellato Piuro.

Per quanto riguarda Tirano, nel 1775 un illustre storico parlava di un lago formatosi tra Tirano e Mazzo, uno sbarramento dovuto a una frana nel quale confluivano le acque dell'Adda, il lago aveva occupato tutte le campagne per uno spazio di ben sei miglia.

Anche l'Ottocento, in particolare nella prima metà era iniziato sotto i peggiori auspici, per il tiranese si ricorda la frana di Sernio di cui ne riporto i particolari.

L'autunno del 1807 era stato caratterizzato da molte piogge, temporali e acquazzoni violenti si erano abbattuti su tutta la Valtellina in modo particolare nella zona di Tirano.

Era successo quello che da tempo si temeva, un'enorme frana era scesa a valle dal monte Masuccio in pochi secondi andando a sbarrare il corso del fiume Adda appena prima della confluenza con il torrente Valchiosa.

Tutto era avvenuto nella notte dell’8 dicembre 1807, il terribile boato provocato era sato udito nei paesi di Sernio e Lovero e appunto Tirano.

Sino alle prime luci del giorno, i contorni dell'evento erano ovviamente rimasti poco chiari, ma all'alba il disastro aveva assunto contorni ben più precisi.

La prima conta dei danni, vedeva distrutti i vigneti sul fianco del Masuccio nel comune di Sernio, risultavano sepolti completamente quattro torchi e cinque mulini, la cosa più grave riguardava le vittime, erano morti gli occupanti di una casa travolta dalla frana, una donna in stato di gravidanza, il marito ed il figlioletto.

Alla disperazione dei residenti di Sernio, molti dei quali avevano perso i loro beni, si era aggiunta la preoccupazione degli abitanti di Lovero, per loro lo sbarramento venutosi a creare rappresentava una vera e propria trappola. Naturalmente anche a Tirano, fra gli abitanti e gli amministratori del borgo certo non mancavano motivi di seria paura legati ad un possibile e improvviso cedimento di quella diga che sicuramente avrebbe arrecato seri danni.

Rimane ancor oggi storica la testimonianza o meglio la lapide, collocata in epoche passate sul muro esterno dell'Istituto Maria Bambina di Lovero che ricorda l'altezza raggiunta dalle acque ( foto di copertina ).

Tornando a Lovero, l'acqua dell'invaso che si stava formando, secondo i primi calcoli, sembrava in grado di allagare tutto il paese e seppellire ogni cosa.

A calmare gli animi, non era bastata neppure la visita del prefetto del Dipartimento dell'Adda, Cavalier Barone Ticozzi e nemmeno quella di Francesco Saverio Venosta nelle vesti di ingegnere aspirante nel corpo degli ingegneri delle acque e delle strade.

La situazione era migliorata un poco con l'arrivo dell'ingegnere in capo Filippo Ferranti il quale, aveva determinato l'altezza effettiva della frana e di conseguenza la lunghezza reale che avrebbe assunto il lago.

 

I calcoli del Ferranti, avevano stabilito che la frana aveva iniziato a staccarsi 600 metri più in alto creando una barriera di 43 metri, si rassicurava che il lago avrebbe certamente interessato l'abitato di Lovero ma non in maniera così grave come si pensava all'inizio.

Il flusso delle acque dell’Adda aveva impiegato circa dieci giorni a riempire il bacino, il 18 dicembre aveva superato gli ultimi massi dello sbarramento, riprendendo a defluire lungo il vecchio corso dell'alveo. Tutto questo però non placava i timori dei residenti di Lovero, di quelli del comune di Sernio e nemmeno dei tiranesi, la loro preoccupazione era ovviamente comprensibile in quanto il lago aveva assunto notevoli dimensioni pari ad una lunghezza di 2580 metri, una larghezza di 380 metri e una superficie di 1552 pertiche valtellinesi.

Era dunque necessario porre rimedio alla difficile e pericolosa situazione venutasi a creare ma come? Lo vedremo domani nella seconda parte.

 

FONTE: NOTIZIARIO DELLA BANCA POPOLARE DI SONDRIO N° 45 DICEMBRE 1897. “Speciale Valtellina 87”. Cronaca storia commenti. Stampa Poligrafiche Bolis, Bergamo. Dal capitolo “La storia” Un male antico a cura di Luigi De Bernardi pag. 98 e 99.

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