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Accadeva a Tirano dopo la messa di mezzanotte

CULTURA E SPETTACOLO - 21 12 2020 - Ivan Bormolini

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/LA FONTANA DI VIA VISOLI, Tirano
LA FONTANA DI VIA VISOLI

(Prima parte di I. Bormolini) In quel paesello tiranese di tanti anni fa, in un bel palazzo quasi nobiliare, viveva con sua moglie e suo figlio un ricco uomo di nome Luigi Maria. I suoi antenati, una stirpe di commercianti, erano giunti in quello che era l'antico borgo dalla zona del pavese, intuendo che quel crocevia di genti e di merci che aveva avuto gran parte dei suoi sviluppi, grazie anche all'antica fiera di San Michele, poteva essere luogo ideale per far nascere nuove attività commerciali.

 

Quella famiglia con il crescere delle nuove generazioni, aveva dato vita ad una florida azienda con diverse ramificazioni che spaziavano in vari settori e che al tempo di questa storia era saldamente in mano a Luigi Maria.

Questo era un uomo molto rispettato e temuto da tutti, aveva un carattere burbero, spesso saccente e guardava i popolani sempre dell'alto al basso. Stesso era l'atteggiamento della moglie Lucrezia, che i tiranesi chiamavano la “ sciura survignuda” in quanto era di origini della Romagna.

Non così era il loro piccolo figlio Eugenio Luigi Maria. Pur presentandosi a scuola sempre come un damerino con abiti appositamente confezionati per lui, era una bambino come tutti gli altri che ricercava la compagnia e la voglia di giocare.

Dai coetanei, veniva guardato con una certa diffidenza, la sua cartella non era certo di cartone o artigianale, in inverno indossava caldi cappotti che stonavano con le umili vesti dei compagni di scuola fatti un po' così alla buona.

 

Di spiccata intelligenza, naturalmente era il primo della classe, ed anche questo era motivo di attrito con i coetanei, che lo escludevano dai loro giochi, nonostante egli facesse di tutto per farsi accettare.

Aveva stretto una piacevole amicizia con una ragazzina; Caterina, era una bambina graziosa, gentile e che come lui era molto brava negli studi.

La bambina di umile estrazione era figlia di un dipendente del padre di Eugenio Luigi Maria, viveva come tanti in una piccola dimora contadina dell'antica contrada Visoli. I suoi genitori si arrangiavano come potevano, dividendosi tra lavoro e coltivazione di terreni agricoli.

Quella tenera amicizia non era passata inosservata alla madre del ragazzino, la quale con disprezzo lo rimproverava asserendo che non doveva mischiarsi con quella che ancora definiva plebaglia. Anche il padre lo ammoniva con toni severi:

“ Tu sei figlio di gente bene, nulla hai a che fare con quella bambina che è figlia del più basso in ruolo tra miei dipendenti... ”.

Il povero Eugenio, ascoltava quei rimproveri con ansia, Caterina nel suo piccolo era l'unica ad essergli amica, lo coinvolgeva e non lo faceva sentire il figlio del padrone, ma semplicemente un suo compagno di scuola come tutti gli altri.

 

Erano passati anni da quella frequentazione così bella e spontanea, Eugenio aveva lasciato per lungo tempo Tirano per studiare altrove. Il padre voleva dare in mano a lui le redini dell'azienda e tutte le ricchezze.

Una volta laureato, i ricchi genitori per festeggiare l'evento, avevano invitato al loro capezzale tutte le maestranze che lavoravano per loro, compreso il padre di Caterina.

Era stata quella una festa che i dipendenti avevano vissuto come l'ennesima dimostrazione di potere da parte dei padroni che certo non trattavano bene il personale. Roboanti erano state le parole del titolare:

“ Con orgoglio, vi presento il futuro di questa azienda, mio figlio che da oggi in poi, sempre seguito da me e dalla mia consorte, inizierà ufficialmente a far parte di quello che i miei antenati hanno fondato e che distribuisce anche a voi quel benessere che certo nemmeno lontanamente avreste potuto immaginare senza di noi.

Non muterà nulla, sappiate che vi è una continuità e questa deve essere vista da voi come un'immensa fortuna”.

A quelle parole, seguiva un modesto banchetto, povero e umiliante.

 

Una fetta ciascuno di pane e salame ed un mezzo bicchiere di vino rosso, nulla di più. Peccato che quel salame era di pessima qualità, non certo uguale a quello che gli operai stessi gustavano nelle loro case e frutto della macellazione del loro maiale. Il vino poi, che dire in merito, non era certo di Valtellina, ma assomigliava ad una “scilapa” di ben poco gusto.

In compenso la cena della laurea in onore del nuovo rampollo, era stata di ben altri toni e laute pietanze, appositamente preparate dal cuoco di casa. Ricchezza e nobiltà, sfarzi e balli, avevano attirato in quel palazzo la gente bene della nostra valle.

Eugenio Luigi Maria, pareva reggere il gioco, in cuor suo non approvava quell'umile merenda fatta per gli operai e ancor peggio non si sentiva partecipe di quella costosa conviviale di palazzo, dove anche i regali per lui non erano certo di poco valore.

Nei discorsi, prima con gli operai e poi con i ricchi, il padre non aveva mai lasciato al figlio la parola. Luigi Maria e la moglie Lucrezia, sempre perfetta padrona di casa, erano pieni di se stessi, ma nel loro modo di fare non avevano saputo guardare negli occhi del figlio.

 

In una calda giornata di piena estate, i genitori di Eugenio avevano lasciato da poco Tirano per una lunga vacanza, tutta la gestione della ditta era nelle mani del figlio. Questo aveva dato già ampia dimostrazione di essere un buon erede capace di dirigere in autonomia quell'azienda. Con un carattere totalmente opposto a quello del padre e della madre, si mostrava durante la prolungata assenza dei suoi, disponibile e attento anche alle esigenze di chi lavorava nell'azienda. Un po' di umanità nei confronti degli operai, aveva in poche settimane contribuito a rendere migliore il clima professionale e quel buon rapporto venutosi a creare, rendeva più piacevole il lavoro quotidiano che comunque veniva sempre svolto con dedizione da tutti ma in un ambiente meno oppressivo.

In una bella mattina domenicale piena di sole, Eugenio aveva lasciato la sua dimora per una passeggiata tra le vie di Tirano, giunto verso la contrada Visoli con l'intenzione di procedere verso il santuario per la messa, aveva rivisto quella Caterina intenta a lavare le lenzuola nella fontana di quel piccolo pezzo dell'antica Tirano, mentre i suoi genitori erano impegnati nel coltivare la vigna.

Da quelle scuole elementari non si erano più incontrati, da quell'incrocio inaspettato di sguardi i due si salutavano e iniziavano a parlare dei vecchi tempi.

La graziosa Caterina era imbarazzata, certo Eugenio si era fatto un uomo ma non aveva perso quel suo bonario carattere, infatti proprio quest'ultimo aveva messo a suo agio quella coscritta e sedutosi sul bordo della fontana, quel parlare amichevole era proseguito avvolto dai profumi di lavanda che quel grosso sapone emanava nell'aria.

 

Caterina, pur essendo una bella ragazza, non aveva mai avuto un fidanzato e neppure Eugenio se non per qualche frequentazione universitaria, non si era mai concesso alle gioie dell'amore. Certo le aspiranti non mancavano ed anche a Tirano e qualche ragazza del suo rango gli girava attorno.

I due immersi nei ricordi e nel narrarsi il loro presente, non avevano badato al passar del tempo, solo il suono all'unisono e festoso delle campane di San Martino e di quelle del campanile della Basilica li avevano distratti.

Caterina, in era in forte ritardo per preparare il pranzo per i genitori che stanchi già si intravedevano scendere dai terrazzamenti vitati Retici sopra i Visoli. Era stato quello un saluto frettoloso e la ragazza non sapeva che scuse accampare ai genitori per non aver fatto loro trovare il pranzo pronto.

Aveva semplicemente raccontato loro la verità, e i due vedendola con uno strano luccichio agli occhi, avevano compreso non facendole colpe alcune.

 

Solo il padre le diceva che quel ragazzo, pur tanto amico d'infanzia era il figlio del padrone e che certo, nonostante il buon carattere, mai si sarebbe abbassato ad essere amico di una ragazza popolana. Quanto si sbagliava!

Eugenio, in quel pranzo domenicale consumato in solitudine presso un buon ristorante tiranese, non aveva altri pensieri che per Caterina e forte era in lui il desiderio di rivederla.

Non aveva perso tempo, dopo il pomeriggio di quella domenica passato nello studio della ditta a programmare il lavoro per la settimana, prendeva la decisione di recarsi in via Visoli. Caterina se ne stava seduta fuori casa su una panca in sasso, prima del giungere del buio stava rammendando alcuni logori vestiti del padre che comunque dopo qualche rattoppo ben fatto, potevano ancora andar bene.

In quel cucire, accompagnato solo dal suono piacevole dell'acqua che sgorgava dal boccaglio della fontana, pensava a Eugenio e a quell'incontro della mattina.

 

Dopo la caldissima giornata, un' arietta piacevole faceva quasi scordare la calura estiva e mentre due vecchie con i Santi Rosari tra le mani, rientravano nelle dimore dopo aver recitato le Litanie nella storica Santella distante pochi passi dalla casa di Caterina, ecco ricomparire Eugenio con un fascio di fiori presi dal grande giardino di famiglia.

Imbarazzata e sicuramente non preparata ad un così improvvisa visita, Caterina non sapeva cosa fare. Con garbo e gentilezza accettava il dono di Eugenio, ma metteva subito le cose in chiaro:

“Caro amico, io sono una ragazza diversa da te, non faccio parte del tuo mondo, oggi mi hai vista lavare lenzuola, stasera a cucire e domani all'alba il mio lavoro di infermiera generica mi attende in ospedale. E' stato un caso, visti i miei turni, che stamattina mi hai visto. Ti prego non farti illusioni, tra i nostri due mondi c'è un divario che non può essere colmato”.

Eugenio, scosso da quelle parole, cercava di rassicurare Caterina spiegandole che non vi erano differenze e che non vedeva abissali vedute tra loro.

 

“ Se sono qui stasera -diceva il rampollo della Tirano bene - è perchè sin dalle elementari avevo provato qualcosa per te, lo stesso qualcosa che oggi è tornato a galla, si è riproposto come un ciclone, ti prego, non negare, non privarti di quegli sguardi di stamane, sappiamo bene tutti e due che non erano per nulla finti”.

Caterina, prendeva tempo, con la scusa che avrebbe dovuto alzarsi presto e ben prima del canto del gallo, congedava Eugenio.

Nei giorni successivi, lo stesso non demordeva, ogni scusa era buona per incontrare Caterina: la attendeva alla fine dei suoi turni, di notte e di giorno fuori dall'ospedale, si materializzava ovunque.

E così, quell'insistere mai sopra le righe ma galante, aveva fatto capitolare quell'infermiera generica.

Per Tirano, la voce venuta dalla bocca dei curiosi, si era sparsa come una notizia che oggi definiremo gossippara. La curiosità morbosa di tanti e tante comari che vociferavano in ogni luogo, era di pubblico dominio. “La figlia dell'operaio che cerca fortuna, oppure, la furbizia della  generica che ha appoggiato la sottana nella casa dei ricchi”.

Per farla breve, in quella fine estate tiranese tra le botteghe, nei bar e con un tendenziale scandalo della gente d'alto profilo, non si parlava d'altro.

 

I due novelli fidanzati, cercavano di tenere un basso profilo,  immaginavano che la loro fosse una storia d'amore vera, lontana da disparità sociali, nata da quell'improvviso incontro di quella domenica mattina presso la fontana di via Visoli.

Se i genitori di lei vedevano la felicità della figlia e non badavano alle voci di popolo, una volta tornati dalla lunga vacanza il padre e la madre del ragazzo, udito il chiacchiericcio popolare e ben informati da qualche amico, non erano stati di certo in silenzio.

Il padre controllando l'andamento della ditta in sua assenza, si dimostrava orgoglioso nei confronti di Eugenio Maria, ma tutto era oscurato da quella storia d'amore. La madre Lucrezia era su tutte le furie, ormai nei discorsi di famiglia non si faceva altro che litigare tra i tre.

 

Eugenio sembrava infischiarsene di tutto, ormai i due piccioncini facevano coppia fissa, si vedevano passeggiare insieme sempre più spesso e Eugenio bazzicava in casa di lei in qualche occasione di festa dove si sedeva volentieri a tavola.

Il clima era teso tra le mura di quel palazzo, ed una sera di inizio dicembre il signor Luigi Maria sbottava con irruenza contro il figlio:

“Ma come, hai in mano un potere enorme, una ricchezza che tutti ti invidiano, sei bravo sul lavoro e il tuo impegno sta facendo crescere ancor di più la nostra ditta. Potresti avere con te ragazze del tuo rango, eppure ti sei invaghito di una donnina di poco conto, una che fa la generica in ospedale. Una che pulisce chissà quali nefandezze ed è figlia di un nostro dipendente che in tanti anni non ha mai saputo fare carriera, non si è mai guadagnato la mia fiducia ed è qui solo per lo stipendio. Sono stanco che i nostri amci mi raccontino con un certo rammarico che tu vai a sedere al tavolo di quella gente. Vedi di cambiare registro altrimenti sarò costretto a prendere provvedimenti che certo non ti piaceranno”.

 

A rincarare la dose era stata Lucrezia, la quale era stata nelle sue parole ancor più cattiva del marito:

“Adesso basta Eugenio Maria, la misura è colma, vado dalla parrucchiera e mi parla di te e di Caterina, negli incontri pomeridiani con le mie amiche, per il consueto tè e biscotti al Caffè Lorandi, loro non fanno altro che ammonirmi su questa tua storia con una che pulisce i bagni in ospedale, insomma per me sei una delusione, stai toccando il fondo e tuo padre ha ragione, forse non meriti ciò che hai tra le mani, non sai godere di fortune e disponibilità che tanti della tua età nemmeno sognano... ”.

 

Le risposte di Eugenio Maria ve le racconto domani nella seconda ed ultima parte.

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