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Campane di San Martino: la vexata questio e altro...

CULTURA E SPETTACOLO - 16 02 2022 - Ivan Bormolini

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/LE CAMPANE DI SAN MARTINO
LE CAMPANE DI SAN MARTINO, FOTO DI VALENTINO CANDIANI

(Seconda parte di I. Bormolini) Nella prima puntata pubblicata ieri, si sono analizzate alcune questioni inerenti alle campane di San Martino, in particolare gli usi civili ed anche militari che avevano interessato il concerto della nostra parrocchiale.

Vi erano state però anche minacce atte a limitarne il loro suono, definite dal professor Gianluigi Garbellini che ha studiato attentamente tutte le loro vicende come “Abusi e insofferenze”.

A tal proposito, lo stimato Garbellini chiarisce questi aspetti:

In passato, non erano mancati motivi di attrito, definiti spesso anche acuti, con l'autorità civile, specialmente nei primi decenni dell'XIX secolo. Tutto questo avveniva a causa del laicizzarsi della pubblica Amministrazione e del dilagare dell'anticlericalismo.

Questi eventi si mostravano sempre più insofferenti verso l’arbitrio, o presunto tale, delle persone di chiesa e sconfinavano perfino nei confronti dei sacrestani e dei campanari, accusati di non attenersi alle direttive impartite.

Già direttive, sacrestani e campanari, di cosa erano accusati e cosa interessava il suono delle campane?

 

Esistevano “circolari” del prefetto del Dipartimento dell'Adda del 1811 ed anche degli anni seguenti contenenti divieti del suono delle campane e delle funzioni “dopo il tramontare del giorno e prima dell'apparire mattino”, non c'era alcuna deroga nemmeno per la notte di Natale.

Non di poco conto erano le proibizioni del Governo del Regno Lombardo Veneto inerenti al suono delle campane in occasione dei temporali.

Il 27 settembre 1828 si era arrivati alla convocazione dei campanari del Comune di Tirano. In questa, registrata dal “Processo verbale” ufficiale, veniva letta agli stessi, la circolare dell’I.R. Commissario Distrettuale con la diffida e scrupolosa osservanza della “proibizione assoluta del suono delle campane in occasione dei temporali”.

 

La pena nel momento in cui si trasgrediva era l'arresto immediato e la consegna all'I.R. Pretura per la conseguente procedura.

In quel Processo verbale, risultano le firme dei campanari di Roncaiola, Baruffini, del Santuario e della parrocchiale di San Martino.

Tre anni prima in data 10 novembre 1825, c'era stato un analogo incontro, ma tuttavia non si era registrato alcun effetto sulla condotta di sacrestani e campanari.

Il ricordo dei fatti e degli elencati provvedimenti con conseguenti sanzioni per i trasgressori, ancor oggi, come afferma il professor Garbellini, consente in primo luogo di capire quanto fosse difficile sradicare una tradizione secolare della cui efficacia la gente era convinta.

 

Suonando le campane in caso di pericolo imminente, significava porsi sotto la protezione divina e di questo la gente ne era certa. C'è però da dire che la sospettosa Polizia di quel tempo, temeva che il suono estemporaneo delle campane potesse essere un segnale accordato per cospiratori e fuorilegge.

Si registra poi un altro segnale indicante lo sfaldamento del consenso dei tiranesi nei confronti della chiesa.

A darne testimonianza è uno scambio di note tra il il Comune, Fabbriceria e Parrocchia sulla “vexata questio” del suono delle campane per i funerali, abbastanza frequenti in quella popolosa Tirano del primo Ottocento.

A venire incontro all'Amministrazione era stato il prevosto Gian Antonio Andres che aveva retto la Collegiata di San Martino dal 1807 al 1833, egli nel 1811 aveva disciplinato la materia.

La denuncia del Comune evidenziava come doveva essere realmente caotico quel suono campanario all'arbitrio sei sacrestani.

 

Ad accordo raggiunto si stabiliva che il suono delle campane avesse inizio un'ora prima del funerale, seguito dai soliti tre segni quelli piccoli intermedi, per la durata di tre quarti d'ora, ed infine, a distanza di quindici minuti, dal segno che dava l'avvio al funerale. Analizzando le tempistiche si può evincere che si trattava di un provvedimento che ancora molto concedeva al suono delle campane e la questione pare avesse trovato una soluzione soltanto temporanea.

Siamo infatti al 26 luglio 1817, quando la Deputazione Comunale denunciava alla Fabbriceria gli “abusi mediante il suono delle campane per un tempo arbitrario ed illimitato che talvolta riesce sommamente soverchio ed in ispicial modo alle persone ammalate”.

Se analizziamo il termine soverchio questo ci dice che si parla di una sovrabbondanza, talvolta eccessiva, in quantità eccedente, oppure superflua e persino dannosa.

Rimanendo in tema, giungiamo all'otto dicembre 1841, era questo il giorno in cui i Deputati Amministratori inviavano una pesante lettera di richiamo alla Fabbriceria. Il tema della missiva era sempre lo stesso e quindi le campane “un abuso così contrario all'odierna progressiva civiltà con il frastuono disordinato e prolungato delle campane nelle sacre funzioni e specialmente in dì solenni”

 

Era cambiato il prevosto e non è dato sapersi come don Ambrogio Carbonera in carica per nove anni tra il 1834 e il 1843, abbia posto eventuali nuove soluzioni al problema.

Ma se di prevosti e campane di San Martino dobbiamo parlare, ecco che il diciassettesimo parroco della parrocchia di San Martino, don Pietro Angelini, aveva avuto un ruolo non indifferente nella salvaguardia e tutela del nostro concerto delle cinque sorelle. Di tutto questo però ne parleremo domani.

 

 

FONTE: LA CHIESA DI SAN MARTINO IN TIRANO. Autori Gianluigi Garbellini e William Marconi. Stampa: finito di stampare nel mese di dicembre 1999 dalla Tipografia Bettini – Sondrio.  Dal Capitolo V° di Una chiesa da conoscere. “Le campane” di Gianluigi Garbellini. Pag. 392, 393, 394.  

Fotografia di copertina: era stata concessa per l'utilizzo a I. Bormolini da Valentino Candiani.

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