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"GLI SCARAFAGGI MUOIONO SULLA SCHIENA"

CULTURA E SPETTACOLO - 07 08 2015 -

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BELGRADO Sveglia presto oggi, ore 8, ci siamo addormentati come sassi dopo due hamburger e due birre. Colazione in camera come i signori, kinder brioss e succo all’arancia, ci laviamo i denti prepariamo i bagagli e mentre usciamo dalla stanza lo vediamo.Aveva le zampe verso l’alto come un cane che vuole i grattini.Non si muove, non si muove perché è morto.In mezzo alla stanza abbiamo uno scarafaggio morto.
Decidiamo di lasciarlo lì, in pace, nel bel mezzo del parquet protetto dai nostri letti, la stanza come mausoleo. Usciamo, ma lasciamo gli zaini in ostello, torneremo a prenderli nel pomeriggio, quando sarà tempo di ripartire per il nord.Forse non vi ho detto che Manu è archeologo, ed io, anche se non si direbbe, ho appeso in camera un foglio che mi proclama dottore magistrale in storia contemporanea, ecco, anche solo per questo background, non possiamo esimerci dal fare un salto al museo di storia militare.Torniamo quindi verso la cittadella ed entriamo nel museo che non ho intenzione di descrivervi qui. Dopo tutti i secoli descritti minuziosamente, che parlano della storia balcanica dalla notte dei tempi al Medioevo, si arriva gradualmente fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, le iscrizioni sono tutte soltanto in cirillico e non è che si possa capire un granché. A partire dal 1945, anno di fondazione dell’ONU, compaiono le scritte anche in inglese, ma da lì si prende la rincorsa per saltare direttamente alla fine degli anni ’90. Della guerra in Bosnia nessuna traccia, zero, completamente cancellata, in tutta fretta si arriva all’ultima sala in cui si fa bella mostra di tutti gli armamenti sequestrati dai serbi nel 1998/99 all’UCK, l’esercito popolare di liberazione albanese che combatteva contro di loro per l'indipendenza del Kosovo. So che c’è un museo di storia jugoslava appena fuori Belgrado dove riposa il maresciallo Tito, forse le nostre risposte le troveremo lì. L’ultima parete è occupata da una cartina che mostra da quali paesi partivano i caccia che bombardavano Belgrado, viene sottolineato che soltanto Austria e Svizzera, tra i paesi europei, negarono l’accesso al loro spazio aereo. In un’altra teca sono esposti i resti delle cluster bomb che la Nato ha lanciato sul villaggio di Nis, tra le foto dei morti e delle loro mogli che li piangono inginocchiate in mezzo al sangue fresco, un cartello ricorda che l’uso delle cluster bombs è vietato dalle convenzioni internazionali. Alla fine si danno i numeri, le quantità delle forze NATO, contro quelle dell’esercito Serbo/Jugoslavo. Una sproporzione pazzesca, ovviamente a sfavore dei serbi.Mentre aspetto che Manu ricompaia dal budello di corridoi, mi siedo nella hall, al fresco, per scrivere queste righe. Prima di andare notiamo una turista americana che, arrivata all’ultima sala, scuote il capo e andandosene infastidita, credo, dal vittimismo serbo. Se vi è mai capitato di perdervi in Belgrado, saprete che il Beogradanka sarà la vostra stella polare.Una torre di 101 metri nel centro della città, costruita tra il 1969 ed il 1974, che per i suoi aspetti di modernità e di slancio verso il cielo fu ribattezzata proprio  "Palazzo Belgrado".Dentro paiono esserci uffici, la sede legale dell’IKEA e molti piani occupati da Studio B la televisione cittadina.Un unico pensiero cresce dentro, non possiamo arrenderci alla solita prospettiva.Dobbiamo conquistare la cima del Beogradanka. “Risk, very risk! You stay hidden here and when i call you you’ll come”“Come, come!” Furtivi come ladri corriamo per i corridoi alzando bene le ginocchia ed appoggiando solo le punte dei piedi per non far rumore. Dopo due dozzine di piani in ascensore, tocca salire per le scale. E allora via in scia alla nostra guida improvvisata che si muove furtiva per quel labirinto di uffici e guardie di sicurezza. Giunti all'ultimo piano, ci invita a stargli vicino e ci chiudiamo in uno stanzino di tre metri quadrati, in tre, uno appiccicato all’altro. Da quello che pare essere un bagno per gli addetti alla pulizia, Dusko (lo chiamerò così in onore di Dusan 'Dusko' Popov, celebre spia Serba cui Fleming si ispirò per la creazione di James Bond) apre una porticina minuscola attraverso la quale scivoliamo nel locale macchine.In mezzo al frastuono di chissà quali macchinari, smette di sussurrare, si schiarisce la voce e ci dice che ci siamo quasi. Ci arrampichiamo per una minuscola scala a chiocciola tutta ricoperta di cavi schermati che corrono in tutte le direzioni come serpenti impazziti.Un odore di gomma che pareva di stare in visita alla Pirelli.Dopo cinque giri su noi stessi e tanta nausea, ma per fortuna che ultimamente ci si dimentica sempre di pranzare, si apre l’ultima porta, ci siamo.Siamo in cima al Beogradanka.Sotto di noi Belgrado tira avanti, come sempre. Dusko è un ragazzone di quasi due metri, molto magro e allampanato, con i denti non curati, alcuni rotti, tipo Tom quando Jerry gioca a Bowling sulla sua faccia. Dusko è a guardia del palazzo, una sorta di centralinista, portinaio e guardia di sicurezza. Quando entriamo nella hall del Beogradanka, in mezzo ai residenti e gli impiegati, lui e il collega ci fissano da dietro il vetro, guardano le macchine fotografiche di Manu e subito escono per venirci incontro. Chiediamo se sia possibile salire in cima al palazzo per fare qualche fotografia, rispondono di no, non è possibile. Poi, quando la gente nell’atrio si allontana, ci prendono per mano spostandoci dalla vista delle telecamere e iniziano a parlarci in serbo. Dusko allunga una delle sue lunghissime braccia da ispettore gadget dietro di sé e inizia a scrivere su un foglio. Ci guarda sorridendo e in splendido inglese sussurra: “Ticket!”, sul block notes campeggiava la scritta "10€". Prendo in mano i miei Dinari, e loro allarmati mi spostano pregandomi di metterli via, ancora un problema di telecamere, pare di stare in 1984.Attendiamo una decina di minuti nell’atrio che le telecamere a circuito chiuso non inquadrino la hall, a quel punto si parte, ci infiliamo nell’ascensore con Dusko. Belgrado dall’alto sembra quasi piatta con poche lievissime colline all’orizzonte tutte coperte di antenne come spine sui cactus sdraiati. Dusko sorride sornione e si improvvisa guida turistica, ci mostra tutte le zone bombardate dalla NATO, le chiese, addirittura chiede se vogliamo che ci faccia una foto. Manu coglie l’occasione e chiede di potergli fare un ritratto, lui accetta, a quel punto sopra di noi non c’è più nulla, nessuna telecamera, soltanto un cielo azzurro velato di bianco che certo non avrebbe fatto la spia. Dusko è tranquillo ora, così tranquillo che riesco a riprenderlo con la mia videocamera. Ad un certo punto Manu inizia a fissarsi con la macchina fotografica su alcuni grovigli di cavi ai piedi della grande antenna che, dalla cima, sembra voler fare il solletico alla ionosfera. In quel momento il sorriso di Dusko scompare per un attimo, si gira verso di me e chiede cosa ci trovasse in quei cavi. Io, prima che ci prendesse davvero per delle spie, ruotando indice e medio uniti intorno alle mie tempie, gli dico che Manu è tutto matto e ha la fissa di fotografare il disordine. Dusko torna a ridere, per fortuna, e lascia cadere il discorso.Che poi non ho ancora capito cosa ci trovasse in quei grovigli di cavi, a volte è troppo concettuale e faccio fatica a seguirlo. Scaduti i 10 minuti di tempo che ci aveva concesso lo paghiamo, ci prega di nascondere le fotocamere e ci ributtiamo giù in picchiata verso il piano terra, nascosti dietro ad ogni muro come soldati, in attesa del suo sussurro a segnalare via libera. Tra le altre cose riesco a tenere accesa la mia videocamera filmando tutta la discesa dal palazzo ed il momento del pagamento. Noto che Dusko tiene in mano un foglio e quando per sbaglio incontra i colleghi della sicurezza ai piani, finge di doverci accompagnare da qualcuno in un qualche ufficio televisivo.Ripassiamo davanti al collega nell’atrio della torre, ma essendoci gente, evitiamo di salutarlo.Dusko ci accompagna fin fuori, lì ci stringe la mano e, continuando a sorridere, se ne va felice di aver arrotondato lo stipendio.Noi siamo al settimo cielo, convinti di aver respirato, da lassù, almeno il sesto se non proprio il settimo. Questo però non era il nostro primo incontro con la tv serba, ho dimenticato di dirvi che all’aeroporto, ci siamo trovati la nazionale maschile di pallavolo che rientrava da una trasferta, dopo il ritiro bagagli, siamo usciti con loro in mezzo ad uno stuolo di giornalisti, ma, complici i 30 centimetri d’altezza che in media ci distanziavano dagli atleti, nessuno si è curato di noi. Magari tra quei giornalisti c’erano alcuni proprio di "Studio B" che avremmo potuto rincontrare oggi direttamente in redazione, bastava un solo passo falso. Rientriamo in ostello giusto il tempo di avvisare i ragazzi che il nord avrebbe potuto aspettare ancora, Belgrado ci aveva conquistato.Manu si ributta subito nella città, io sfrutto il suo computer e butto giù il resoconto della nostra giornata da 007.Ci sentiamo per sms, dice di aver trovato un kebabbaro e quattro donne velate.Riesco a farmi due passi in solitudine anche io giusto per fare merenda, poi ci ritroviamo, gli leggo ciò che ho scritto e lui mi mostra le foto dei quartieri nuovi oltre il ponte sulla Sava.Usciamo a mangiare e dopo un paio d’ore a zonzo per la città ci rendiamo conto di non sapere dove siamo, abbiamo parlato troppo e ci siamo fatti lasciare prendere dai discorsi.Ancora una volta nel buio della sera, è la luce sulla cima del beogradanska ad indicarci la via.E’ la nostra stella cometa ed oggi, l’abbiamo conquistata.Per festeggiare, torniamo a mangiare hamburger dagli stessi ragazzi della sera prima. Al nostro rientro in ostello, conosciamo Duvan, uno dei due proprietari.Ci consiglia di restare in Serbia, di non partire per la Croazia, di restare lì che a Vukovar non c’è nulla di interessante da vedere.Gli chiedo dove andrebbe se potesse partire lasciando tutto per trasferirsi, probabilmente andrebbe in Canada nei pressi di Toronto dove vive la sua famiglia. L’alternativa, secondo le principali vie dell’emigrazione serba sarebbe l’Australia, più adatta per lui che ama il caldo, ma diffida di ogni viaggio che abbia un oceano di mezzo. E poi ora ha la morosa circa da sei mesi. “Non potevi trovarti una ragazza serba normale come tutte le altre?!”. Sua madre non è contenta della sua morosa americana, è una cosa strana in Serbia, anche se negli ultimi periodi iniziano a trasferirsi a Belgrado ragazzi da tutto il mondo, principalmente quelli che lavorano on-line, ai quali basta un wi-fi. Durante un tour dei Balcani ha deciso che Belgrado sarebbe stata il posto adatto per lei, vi si è trasferita ed è nato l’amore, o qualcosa del genere.Duvan tifa la Stella Rossa di Belgrado ormai da venticinque anni, cioè da quando il padre lo portava allo stadio. Il club è in crisi, l’unico incontro bello della stagione è il derby con il Partizan perché ci sono un sacco di scontri tra tifoserie avversarie, e con la polizia.Manu, che con questi discorsi ci va a nozze, attacca a parlare di Sampdoria, di derby della lanterna, della “gradinata” e rimedia pure un invito da parte di Duvan per il prossimo derby: “Vieni, torni qui a dormire ed andiamo assieme allo stadio in curva, ti proteggerò io”.Se la ride di gusto mentre ripensa al giorno in cui dei ragazzi tedeschi ospiti dell’ostello, gli hanno chiesto aiuto per la prenotazione dei biglietti per il derby, volevano andare nella curva della Stella Rossa. Lui dice di aver provato a dissuaderli, spiegando a cosa sarebbero andati incontro, ma non ne hanno voluto sapere.Sono rientrati in ostello quattro ore dopo la partita, tremanti, un po’ massacrati e spaventati. Come sempre la polizia era entrata in curva e si era scatenato un mezzo ’48 a causa di un agente che perse la pistola proprio nel bel mezzo della folla.“Ecco, forse la stella rossa è davvero l’unico motivo per cui non potrò lasciare Belgrado, una volta mi sono fatto anche 20 giorni di carcere, per un derby”.Salutiamo Duvan e torniamo in camera bolliti. La stanza era come l’avevamo lasciata, in perfetto disordine, nessuno dei ragazzi era entrato in camera, nessuno aveva fatto le pulizie, ma lo scarafaggio non c’era più.Ed è così che quella che in apertura era un’affermazione diventa una domanda: Gli scarafaggi muoiono sulla schiena? Magari, come noi, vi dormono soltanto.
  DIARIO BALCANICO di L. Cometti GIORNO 0 – “Piccola premessa doverosa” GIORNO 1 – “Cosa andate a fare a Belgrado?” GIORNO 2 – “Gli scarafaggi muoiono sulla schiena” GIORNO 3 – “Le anime di Vukovar” GIORNO 4 – “La resa di Doboj” GIORNO 5 – “Leila Thirtyfour” GIORNO 6 – “Darko” GIORNO 7 – “Dove la logica si arrende, la Bosnia comincia, Aisha” GIORNO 8 – “Le bandiere” GIORNO 9 – “Viaggio in Republica Srpska” GIORNO 10 – “Decompressione”

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