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Il pastore vero, coraggioso e libero

CULTURA E SPETTACOLO - 22 04 2018 - Don Battista Rinaldi

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Nostalgia di libertà dentro l’immaginario collettivo del popolo ebraico. Quanto era bello quel tempo in cui pastori e greggi vivevano lunghi periodi all’aperto, spostandosi da un luogo ad un altro alla ricerca di pascoli sempre migliori e, soprattutto, in una simbiosi tra uomini ed animali che diventava un rapporto affettivo.

 

È proprio dentro questo immaginario che attinge il linguaggio biblico per cui Davide è chiamato da Dio dagli “ovili delle pecore” a pascere gli israeliti e “fu per loro pastore dal cuore integro e li guidò con mano sapiente” (Sl 78,70-72); e Dio è un pastore che guida, difende, alimenta il suo popolo (Sl 80,2) “porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11). Inoltre preannuncia un messia che sarà un vero pastore, secondo il cuore del Signore.
L’affermazione di Gesù “io sono il buon pastore” si riferisce in modo esplicito all’adempimento di questa profezia. Egli è il pastore inviato da Dio per prendersi cura del popolo che è come un gregge allo sbando.

 

La qualifica di ‘buono’ non si riferisce ai sentimenti, non significa tenero e amabile, ma vero e coraggioso. Gesù è il vero pastore perché è legato in modo così passionale alle sue pecore da essere sempre pronto a sacrificare la vita per loro.
E qui va detto subito che la similitudine del ‘buon pastore’ non riguarda solo i ministri nella chiesa, ma ogni cristiano. Ogni discepolo deve avere un cuore da vero pastore che, come il Maestro, coltiva una generosità incondizionata nei confronti dell’uomo, di ogni uomo. Ha un cuore da mercenario chi si attiene agli obblighi mini mi fissati, chi sta a disquisire su doveri più o meno eludibili, chi è fedele alla legge per ottenere una ricompensa o evitare una punizione. Chi, invece, ha un cuore come quello di Gesù non fa calcoli, non si chiede dove arrivino i suoi diritti e finiscono i suoi doveri. Segue un’unica legge, quella dell’amore folle per l’uomo.
Chi non ama come ha amato Cristo non capirà mai le sue scelte  e le sue proposte, lo giudicherà un sognatore, un imprudente, un temerario.

 

Allora – e teniamolo molto presente nelle faccende ‘pastorali’, che caratterizzano le nostre attività nelle comunità – tutto si gioca sul piano della relazione, non del ruolo, né della funzione, sul piano dell’amore, non del dovere.
E il credente che segue il pastore Gesù Cristo – è sempre Lui l’unico pastore vero – è colui che conosce il Signore e ne ascolta la voce. Ascolto e conoscenza del Signore, dunque, sono azioni personali che introducono nella vita spirituale e conducono verso l’unità interiore. Ma sono anche azioni ecclesiali che consentono al Signore di governare la comunità e di condurla verso l’unità. E come si potrà realizzare questo se nelle nostre azioni pastorali è così scarsa l’attenzione e il riferimento alla sua Parola?

 

Don Battista Rinaldi

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