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La cupola della nostra basilica

CULTURA E SPETTACOLO - 17 10 2019 - Ivan Bormolini

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/basilica madonna di tirano

Dopo avervi parlato la scorsa settimana di alcune vicende legate all'organo della nostra Basilica, per la rubrica dell'arte rimango nel sontuoso tempio.

E' bellissimo osservare il nostro santuario anche dal suo esterno. Non sfuggono il portale di Alessandro Della Scala, le altre decorazioni della stupenda facciata, le porte laterali ed il maestoso campanile.

Di grandiosa valenza è anche la cupola. Questa veniva realizzata tra il 1580 ed il 1585 da Pompero Bianchi, ingegnere della Fabbrica del duomo di Como.

 

Come si evince dalle date, la costruzione della cupola risale a diversi anni dopo la consacrazione del tempio, ma essa ne costituisce un naturale coronamento.

Con certezza questa era stata prevista nel progetto originario e solo per motivi di natura economica ne veniva ritardata la costruzione.

E' probabile che la calotta interna sia stata realizzata contemporaneamente alle volte delle navate, quindi coperta per qualche decennio da un tetto provvisorio sino ad arrivare all'intervento del Bianchi.

Le annotazioni del registro contabile, come per altri casi relativi alle opere in santuario, rendono possibile analizzare e seguire ogni fase del lavoro per la costruzione del tiburio ( elemento architettonico che racchiude nel suo interno una cupola proteggendola ). Si hanno anche notizie relative al tambuto, ossia un'altro elemento architettonico di raccordo posizionato tra una volta a cupola, la base o perimetro della stessa.

Queste opere avevano visti impegnati “mastri murari” luganesi, maestranze locali quali, tagliapietre, muratori e carpentieri sotto la direzione di Pompeo Bianchi.

 

Particolarmente impegnativa era stata la costruzione della calotta ad opera di falegnami carpentieri di Tirano, Lovero, Sondalo e Corteno.

Questi avevano apportato l'intelaiatura e l'assito ( parete di assi accostate in vario modo ), su cui “mastri tedeschi” di probabile origine tirolese, avevano steso le lastre di rame stagnato.

La cupola nel suo sviluppo, non ha un supporto interno in muratura, ma esclusivamente in legno con travi e assi di larice, il legname era stato fornito dai pescatori di Poschiavo e dai contadini della zona.

Altri artigiani di Tirano si erano occupati dell'acquisto del rame e del ferro necessari per il compimento dell'opera, i cui ultimi pagamenti, risalgono al 1587.

Da notare che tra la parete in muratura della volta, ovvero quella che vediamo dall'interno e la calotta coperta di lastre metalliche esiste un'intercapedine di parecchi metri.

 

In un preciso e meticoloso progetto, ben articolato in ogni dettaglio, va ricordata la lanterna, l'unica in muratura.

Originariamente all'interno di questa, era collocata una grossa lampada ad olio, sostituita da un faro elettrico.

Quella lampada ad olio ardeva per tutta la notte in onore e costituiva un punto di riferimento nel cuore della valle.

E' certamente quest'ultima una bella immagine visiva che ricordava anche la grande devozione alla Madonna di Tirano, Patrona della Valtellina.

Parlando della cupola e della lanterna, non può certo sfuggire un particolare indissolubilmente legato alla storia del borgo tiranese.

Sulla sommità, svetta San Michele nelle vesti di guerriero. La statua era stata realizzata in bronzo con finimenti in rame, oro e argento nel 1589 da Francesco Guicciardi di Ponte in Valtellina.

Questa poggia su un perno che ne consente la rotazione secondo i venti.

 

Va ricordato in tal senso un avvenimento recentissimo, era il 23 settembre 2014, quando la meravigliosa statua veniva riportata a terra per un meticoloso ed importante restauro, viste ormai le sue mediocri condizioni.

Era infatti stato appurato che il suo danneggiamento era dovuto principalmente alle condizioni climatiche ed a dannose interazioni chimiche provocate dallo smog dei veicoli in transito.

Tornato poi al suo posto il San Michele ci ricorda un fatto storico risalente al 1620.

Era l' 11 settembre di quella lontanissima epoca, quando, come scrivono gli storici, la statua veniva vista volgersi, nonostante il vento contrario verso il Campone.

In quella zona, appositamente scelta per affrontare le truppe dei Grigioni ed appena fuori dal borgo, forze valtellinesi e spagnole cattoliche, stavano per essere vinte dai Grigioni Protestanti.

In quella dura battaglia, avvenuta dopo i tragici fatti del Sacro Macello, il San Michele veniva visto roteare incessantemente la spada sino alla fine dello scontro, proprio come se stesse combattendo in prima persona.

 

Ivan Bormolini

 

FONTE. La Madonna di Tirano, Monumento di fede, di arte e di storia. Autore Gianluigi Garbellini. Stampa: finito di stampare nel mese di maggio 2004 dalla Tipografia Polaris di Sondrio.

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1 COMMENTI

19 10 2019 13:10

Méngu

E’ molto bello e interessante l’articolo di Ivan Bormolini “ la cupola della nostra basilica “ in cui si cita, tra l’altro, la storica “ Battaglia del Campone “ avvenuta nell’11 settembre 1620 con il “ prodigio “ della statua di S. Michele che si muoveva e scintillava sulla cupola durante la battaglia. Traggo dal romanzo storico: -Michele e Martina ai tempi del “sacro macello” di Valtellina- l’avvenimento. ************************* Quella notte Michele con i suoi uomini raggiunse Cologna e vide che le truppe dei Grigioni si stavano preparando per l’attacco a Tirano. Mandò un messaggero al Robustelli per informarlo. Quella notte in Tirano nessuno dormì. Uomini, donne, tutti si erano dati da fare per aiutare le truppe spagnole nei preparativi di guerra. Le armi nascoste dai contadini erano state recuperate e affilate. Ogni cosa poteva essere buona per contrastare il nemico; la battaglia doveva essere vinta ad ogni costo. Al mattino le truppe grigioni, forse più di 10.000 uomini, stavano per raggiungere Tirano. Michele con i suoi uomini e le truppe spagnole iniziò le prime schermaglie sotto Sernio, intanto il grosso delle truppe grigioni proseguiva sino a metà Campone. Le truppe spagnole al comando del capitano Pimentel e del Robustelli attaccarono le avanguardie oltre la porta Bormina, mentre tutti gli uomini e le donne del Borgo sta-vano dietro le mura pronti a spegnere gli incendi. Dal castello di S. Maria e dalle mura della porta Bormina, i cannoni trasportati dal Forte di Fuentes erano pronti al fuoco. Al mattino alle undici iniziò la battaglia. Le truppe grigioni erano ormai tutte compattate per la battaglia nella china del Campone, quando si incominciò a sparare con i cannoni dal castello di S. Maria. Da Cologna l’Àigula e i suoi cento spagnoli attaccarono le retrovie nemiche spingendole verso Tirano con i loro carri. Era una magnifica giornata; in settembre il cielo è cristalli-no e il sole è cocente forse più che in agosto. I Grigioni avevano il sole negli occhi e con i loro archibugi e cannoni avevano grande difficoltà nel vedere il nemico, mentre per i cannoni del forte di S. Maria sembrava un tiro al piccione tanto era limpida e cristallina l’aria. I Grigioni attaccati da valle e da monte ripiegarono verso il monte Masuccio, dove corre l’Adda e dove è il precipizio. Costretti ad indietreggiare, molti caddero nel dirupo e morirono affogati nelle acque dell’Adda, altri combattendo con il sole in faccia dovettero soccombere. La battaglia durò ben otto ore. Quel giorno alcune pie donne guardando la chiesa della Beata Vergine, videro la statua in bronzo di San. Michele Arcangelo, situata sulla cupola della chiesa, scintillare e muovere continuamente la spada verso il Campone come a proteggere i nostri e a scacciare ancora una volta e per sempre i Grigioni. Alcune donne, tra le più ardite, corsero sul campo di batta-glia a riferire del fatto miracoloso. Si sparse la notizia e tra i nostri soldati e tra gli Spagnoli aumentò il furore della battaglia, certi d’essere vittoriosi. E così fu. Più di duemila uomini grigioni caddero quel giorno; si videro le acque dell’Adda, sotto il ponte della Porta Poschiavina, tingersi di rosso, si videro cadaveri trasportati dall’acqua e depositati lungo gli argini e sull’isola. Qualcuno vide il parroco Manfredotto che sul ponte, al passaggio dei poveri corpi degli uccisi o annegati, impartiva la sua benedizione. La sera dell’ 11 settembre i Grigioni batterono in ritirata verso Bormio inseguiti della truppe spagnole. Anche Tirano contò i propri morti che furono più di cinquanta. In dialetto tiranese. Chèla nocc ‘l Michél cun i sö um l’éra rüàa sü a Culùgna e l’éra vedüü li trüpi grisùni che i éra rée a preparàs par dà batàglia a Tiràn. ‘L gh’éra mandàa giù ‘n um al Rübüstèl par dich tüt. ‘N chèla nocc a Tiràn nigügn i éra saràa öcc. Um, fèmni, tücc i s’éra dacc de fa par giütà li trüpi Spagnöli par preparàs par la batàglia. Li àrmi piacàdi dai cuntadìn i éra stàci tiràdi fo e facc ‘l fìl taiént. Tüti li ròbi i pudéva èss bùni par fermà ‘l nemìs, la batàglia la gh’éra de èss vingiüda sénsa ‘n fal. Ala matìna li trüpi grisùni, fùrsi àa de pü de 10.000 um, i éra rée par rüà a Tiràn, Michél cun i so um e suldàa Spagnöi i éra già ‘ncuminciàa a tacàs sut cun i Grisùn ilò sùta Sèren, ‘ntànt che ‘l gros deli trüpi i vegnìva giù par ‘l Campùn. Li trüpi Spagnöli cumandàdi dal capitàni Pimentèl e dal Rübüstèl i éra cuminciàa la batàglia ilò ‘n pit sùra la Pòrta Burmìna, ‘ntànt che i um e li fèmni de Tiràn i éra derèe deli müràchi prunt a smursà ‘l föch se ‘l sarés tacàa sü. Ilò fo al castèl de S. Marìa e sü par li müràchi dela Pòrta Burmìna i canùn rüàa sü dal fort de Fuentès i éra prunt a fa föch. Ala matìna ali ündes, l’éra tacàa la batàglia. Li trüpi gri-sùni i éra uramài tüti ‘nsèma par la batàglia ilò al Campùn, quàndu s’éra ‘ncuminciàa a sparà cun i canùn da fo al castèl de S. Marìa. Sü par Culùgna l’Àigula cun cént spagnöi i s’éra tacàa sut cun li trüpi grisùni che i éra restàdi derèe e i l’éra tràci giù par Tiràn cun i so cariàcc. L’éra ‘na grant bèla giurnàda. ‘N setémbru ‘l ciél l’éra ‘n cristàl e ‘l sul ‘l picàva giù pégiu che ‘n agùst. I Grisùn i gh’éra ‘l sul ‘n dei öcc e cun i so archibùgi e canùn i stentàva a vedè ‘l nemìs, ‘ntànt che i canùn del fort de S. Marìa ‘l paréva che i giügàs a mazà giù i piciùn tant l’éra bèl ‘l bersàgliu ‘n chèla grant giurnàda ciàiara. I Grisùn iscì i éra stacc brancàa da val e da munt e i s’éra tracc ‘n séma tücc dala part del Masücc ‘ndùa ‘l gh’è chèl precipìzi. Vèrgini! Vèrgini! Custrècc cùma i éra a ritiràs parècc i éra crudàa giù ‘n del precipìzi e i éra mort negàa ‘n de l’Àda, i òtri che i cumbatéva cu ‘l sul de i öcc i gh’éra la-sàa la rüsca debòt. La batàglia l’éra düràda ot ùri. ‘N chèl dì ilò ‘n quài fèmni ‘n pit bigòti ‘ntànt che i vardàva la gésa dela Beàta Vérgine i éra vedüü ‘l brunz de S. Michél Arcàngelu pundàa sü la cüpula dela gésa che ‘l tràva fo scarìzi e che ‘l muéva sü e giù la so spàda cùma se àa lüü ‘l füss rée a cumbàt cùntru i Grisùn par scursài fo dala val. ‘N quài fèmni, chèli che i gh’éra pü fìdach, i éra curüdi ilò sü ‘l camp de batàglia par cüntà sü chèl miràcul, po quàndu chèla nöa la s’éra spantegàda ‘n tra i noss suldàa e i Spagnöi la fòrsa la s’éra triplicàda parchè i éra sigür che i arés vingiüü. Iscì l’éra stàcia. De pü de 2000 Grisùn ‘n chèl di ilò i gh’à lasàa la rüsca, S’éra vedüü li àqui de l’Àda sùta ‘l punt dela Pòrta Pus’ciavìna, vegnì giù rùsa de sanch, s’éra vedüü i cadàver dei Grisùn tiràa rèe da l’àqua, strascinàa e pundàa ilò sü li mulàdi e àa sü l’ìsula. Vèrgini Signùr! Vargügn i éra fìna vedüü ‘l prèvat Manfredòt che ilò sül punt, ‘ntànt che l’éra rée a pasà i cadàver de chèi che i éra stacc cupàa u negàa, i li benedìva. La sìra del 11 de setèmbru i Grisùn i s’éra ritiràa sü par Bùrmi cun derée del cül li trüpi Spagnöli. Parò àa Tiràn l’éra cüntàa i söö morcc che i era stacc de pü de cinquànta.