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La Lombardia grigiona: Valtellina, Bormio, Chiavenna - 2^ parte

CULTURA E SPETTACOLO - 14 02 2019 - Mauro Cusini

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"L’articolo che ho il piacere di proporvi è tratto dal portale www.lombardiabeniculturali.it, il portale del patrimonio culturale di Regione Lombardia.

Con questo elaborato mi piacerebbe guidare il lettore a comprendere meglio le fasi storiche che hanno caratterizzato l’età moderna del Nostro territorio.

Riporto e condivido il testo integralmente: lo scritto è notevole e dunque verrà suddiviso in 3 parti, per agevolare la lettura"

Mauro Cusini

 

 

Sinossi territoriale della Valtellina e dei contadi di Bormio e di Chiavenna

Politica dei dominanti Grigioni su Valtellina e contadi

I rapporti instaurati all’indomani dell’occupazione del 1512 tra le comunità retiche delle tre leghe, la Valtellina e i contadi (se basati su un rapporto di dedizione e sudditanza, o su una originaria unione paritaria e confederativa) sono stati oggetto fin dal XVII secolo di controversie, non ancora del tutto risolte.

 

Già il Lavizari definì quella dei valtellinesi, rispetto ai Grigioni, una “sudditanza privilegiata”, formula che si incontra con quella proposta dal Besta, il quale la giudicava un’alleanza differenziata, un “foedus iniquuum”; in altre parole, l’alleato debole o meno forte (i valtellinesi) dovevano determinate forme di soggezione all’alleato potente (i Grigioni). Si spiegherebbero così i primi contrasti sorti all’indomani dell’occupazione grigione: gradatamente, già a cominciare dal 1512, e più energicamente dal 1515, le autorità delle tre leghe avrebbero cercato di far decadere o meglio di vanificare l’effettivo esercizio delle prerogative giuridicamente attribuite alla Valtellina.

 

Bisogna considerare che le leghe erano costrette a esercitare sui terzieri della Valtellina, e soprattutto sui contadi di Bormio e Chiavenna, una politica ambivalente: da una parte miravano a tenere in pugno le fila politiche ed economiche dei loro “sudditi privilegiati”, ma dall’altra tendevano a non intaccare oltre certi limiti gli antichi privilegi goduti dalla locale aristocrazia, e nemmeno il più potente istituto politico- amministrativo della società valtellinese, cioè le comunità, appoggiate tenacemente agli statuti locali, ai privilegi commerciali, alle concessioni fiscali.

 

I terzieri della Valtellina, pur non avendo i poteri, analoghi ai comitali, attribuiti a Chiavenna e a Bormio, non soffrirono riduzioni delle loro tradizionali autonomie. Gli stessi statuti subirono modificazioni sempre inerenti e omogenee alla loro tradizione e generalmente favorevoli all’autonomia valligiana. In nulla fu mutato l’antico rapporto composto fra le tradizioni e i privilegi feudali dei nobili e le autonomie comunali, come del resto avvenne nello stesso libero stato delle tre leghe.

 

Garanzie dell'autogoverno locale: la Valtellina

Ogni terziere della Valtellina possedeva originariamente ordinamenti propri, che nel 1531 vennero fusi negli statuti di Valtellina. Tali statuti, riformati poi nel 1548, trovarono applicazione anche a Teglio, che conservò tuttavia il suo carattere di giurisdizione staccata dai terzieri della valle. In seguito all’edizione degli statuti della Valtellina, ogni comunità indistintamente si dotò di propri statuti o ordini a quelli conformi. Tutti gli statuti erano soggetti all’approvazione dei signori delle tre leghe.

 

Gli statuti di Valtellina erano divisi in statuti civili e statuti criminali, regolatori di tutte le fondamentali attività che avessero qualche rilevanza giuridica. Gli ufficiali delle tre leghe erano tenuti ad amministrare la giustizia nel rispetto degli statuti. La normativa degli statuti era integrata con gride che venivano emanate dal governatore o dai podestà in genere all’atto dell’entrata in carica. Come già nel periodo visconteo, durante il governo grigione l’esercizio della sovranità si concretizzava nell’amministrazione della giustizia, nel rispetto delle norme statutarie e consuetudinarie locali. Sia i Visconti e poi gli Sforza, sia i Grigioni non intaccarono le autonomie locali delle singole comunità valtellinesi e delle loro organizzazioni sovracomunali, mantenendo distinti gli ambiti d’azione dei rispettivi organi.

 

Ai consigli di terziere, a cui partecipavano i decani e i delegati delle singole comunità componenti la giurisdizione, spettavano tra l’altro la nomina dei consoli di giustizia, con attribuzioni di giustizia tutoria, l’approvazione delle nomine dei notai, la ripartizione delle spese tra i comuni, la nomina di un proprio cancelliere e propri agenti al consiglio di valle, che era il massimo organo di autogoverno della Valtellina.

Il consiglio di valle era l’organo deliberativo per il riparto delle spese e delle tasse straordinarie tra le giurisdizioni e per l’appalto del commercio dei grani, assolveva spesso compiti di rappresentanza politica negli interessi generali della valle, come i ricorsi alla tre leghe, ma le decisioni prima di diventare esecutive dovevano essere approvate dai comuni e dalle giurisdizioni.

 

Contenuti dell'autogoverno valtellinese

Gli statuti di Valtellina, riformati nel 1548, comprendevano gli statuti civili, gli statuti criminali e i capitoli e ordini a cui erano tenuti per giuramento i capitani e gli altri ufficiali civili delle tre leghe eletti nella Valtellina, limitatamente ai terzieri. Gli statuti contenevano le prescrizioni relative ai giudici, confidenti, imputati, testimoni, notai, modo di procedere negli appelli. Altrettanto fitta era la legislazione concernente il matrimonio, la dote e l’eredità, le norme sugli uffici e facoltà dei tutori e curatori, debitori e creditori, obbligazioni, donazioni, atti di compravendita, interdizioni, emancipazioni, eredità in generale, validità e conservazione dei testamenti, legittimità. Nella parte degli statuti dedicata al diritto fondiario, si rileva una vigorosa difesa dei beni demaniali, mirata alla conservazione della struttura economica delle comunità.

Negli statuti criminali, erano stabilite le procedure giudiziarie e le pene; sempre dagli statuti criminali si ricavano notizie sul funzionamento e la manutenzione delle opere pubbliche.

 

Quanto alla gestione finanziaria, il sistema fiscale in ciascuna delle comunità che componevano la Valtellina si basava principalmente sugli estimi e sull’imposizione personale, detta focatico. Tra il 1523 e il1531 vennero rogati i “capitoli novi” dell’estimo dell’intera Valtellina. Erano estimi senza fondamento catastale, quindi approssimativi, e resi ancora più difficili dalle transizioni regolate in natura. Dagli atti del 1523 risulta che l’estimo venne calcolato o in ragione del fitto percepito (prati, boschi, case, fucine) o dei prodotti che se ne traevano. I capitoli novi; investivano tutti i beni posseduti, senza discriminazioni e distinzioni.

 

Così tutti i beni della valle, compresi anche quelli di famiglie o possessori un tempo esentati dal pagamento di tributi, vennero valutati secondo un unico criterio. In base alla revisione del 1523, venne completato un compendio sommario di tutto l’estimo del territorio di Valtellina dove erano riportati il valore e l’entità dell’estimo di ogni comunità. Sulla base di quest’ultimo valore si ripartivano le taglie e i salari dei magistrati grigioni. L’estimo in Valtellina era calcolato per terzieri e la sua ripartizione era stabilita dal consiglio di terziere in pubblica adunanza. La revisione avveniva probabilmente ogni cinque anni. Gli estimi in realtà furono due: quello terriero e quello forestiero.

 

Quest’ultimo era applicato oltre che ai non residenti in valle, ma proprietari di beni in essa, anche ai residenti non considerati membri effettivi della comunità. Queste due categorie di contribuenti erano esenti dai carichi comunali ordinari e straordinari e partecipavano solo al comparto degli aggravi relativi alle spese di terziere, cioè salari dei podestà, dei vicari, del governatore, spese di cancelleria e criminali.

 

Organi di governo: la Valtellina e le sue comunità

Per quanto riguarda, in generale, gli organi di autogoverno e gli aspetti amministrativi, la Valtellina aveva per capo un cancelliere detto di valle; i terzieri di Tirano e Sondrioe le due squadre di Morbegno e Traona avevano anch’essi un cancelliere. I comuni avevano per capo un decano o un console, dei deputati consiglieri o agenti del comune. I comuni inoltre avevano un cursore o servitore del comune e un cancelliere.

 

Il metodo di elezione, il numero, la denominazione e il complesso delle competenze dei funzionari variava da comune a comune.

Ogni giurisdizione della Valtellina teneva propri consigli, formati dai decani, consoli o deputati di ciascun comune. La pluralità dei voti dei comuni formava il risultato delle deliberazioni dei consigli di giurisdizione. Ciascuno di tali consigli inviava uno o due deputati al consiglio generale di valle.

Nella propria amministrazione ed economia i comuni (tramite decani e consigli) e la Valtellina (tramite il consiglio di valle) erano indipendenti.

 

La rappresentanza e l’amministrazione del comune spettavano al decano o al console: essi facevano pubblicare ed eseguire i regolamenti particolari dei comuni sui pascoli pubblici, boschi, annona e vettovaglie, infliggevano le multe ai contravventori, venivano convocati in giudizio per i debiti dei comuni, sostenevano cause attive e passive (con o senza la partecipazione e l’adesione del consiglio della comunità); prima di entrare in carica prestavano giuramento nelle mani dell’ufficiale di giurisdizione. I decani o consoli, di regola in carica per un anno, potevano però anche essere confermati. Per le decisioni di maggior rilievo agivano in concorso con i deputati del comune, ossia i rappresentanti delle contrade o sezioni in cui il comune stesso si divideva.

 

Il governo economico delle comunità

I cancellieri (o notai o attuari) del comune custodivano i libri dell’estimo, facevano le volture, estraevano i quinternetti per l’esazione delle imposte che si emettevano per il pagamento delle spese e dei debiti comunali e li consegnavano agli esattori; registravano i verbali dei consigli e ne custodivano gli atti.

 

I cursori o servitori dei comuni erano depositari delle fede pubblica; avevano l’obbligo di pubblicare gli ordini e gli avvisi, tanto governativi che comunali, intimavano le multe, avevano il diritto di fare gli atti esecutori contro i debitori anche dei privati, se ne venivano incaricati. Gli esattori venivano scelti dal consiglio comunale, o dal decano o console, generalmente per contrada, squadra o colondello, ovvero per le sezioni in cui si suddivideva il comune, che potevano avere estimo, attività e passività separate. In questi casi, i capifamiglia delle singole sezioni tenevano proprie adunanze per tutto ciò che riguardava la particolare economia e la rappresentanza delle rispettive contrade, nominando propri deputati, consiglieri, campari, saltari. In alcuni comuni queste frazioni non intervenivano ai consigli di comunità che per tramite dei rispettivi deputati o consiglieri.

 

Nel governo della propria economia, e di conseguenza nel metodo di esazione delle imposte e di contabilità, le comunità valtellinesi erano autonome. In via generale, il decano o il console riceveva dai consiglieri, deputati o canepari delle quadre o altre sezioni del comune l’importo delle tasse risultanti dai quinternetti approntati dai cancellieri e consegnati agli esattori. Il decano riceveva parimenti i proventi comunali per l’affitto di monti, alpi, case e terreni del comune, e le multe dipendenti da qualsivoglia titolo, tenendone annotazione in un apposito libretto. Era ancora compito del decano o console pagare tutti i crediti del comune per onorari, interessi di capitali, spese comunali, tenendone un conteggio diviso tra attività e passività.

 

Al termine del mandato, il decano presentava in consiglio il libretto di debito e credito, dopo di che si procedeva a liquidare le partite, prendendone registrazione negli atti di consiglio: se il decano risultava in credito, nell’anno successivo gli veniva assegnata dal consiglio una rendita del comune o gli veniva costituito l’interesse sulla somma di credito, oppure si ammetteva qualche nuova imposizione; risultando in debito, se la passività era estinguibile facilmente, veniva rimessa all’anno successivo, se il decano invece non era in grado di provvedere al pagamento, si registrava tra i debitori del comune e gli si costituiva l’interesse del 5% sopra la somma dovuta.

 

Garanzie dell'autogoverno locale: il contado di Chiavenna

Nel contado di Chiavenna, articolato nelle giurisdizioni di Chiavenna, Piuro, Val San Giacomo, le tre leghe riconfermarono, già nel 1513, le norme precedentemente vigenti e i privilegi concessi dai duchi di Milano, procedendo in seguito alla riforma degli statuti locali. La dieta delle tre leghe e successivamente i comuni retici inviavano ogni biennio un commissario a Chiavenna e un podestà a Piuro; la Val San Giacomo, in virtù di un rapporto privilegiato, eleggeva da sè il proprio ministrale, che giudicava autonomamente, coadiuvato da un luogotenente, nelle cause civili. In materia criminale, la giurisdizione del commissario di Chiavenna si estendeva su tutto il contado.

 

Organo supremo di autogoverno del contado di Chiavenna era il consiglio, formato dai consoli di tutti i comuni componenti, che si riuniva per le decisioni inerenti la nomina dei deputati dei minori, l’incanto dei pascoli comuni, la manutenzione delle strade, la ripartizione delle spese processuali, i doveri verso il commissario grigione, i provvedimenti generali di ordine pubblico, sanitario e militare. Ogni giurisdizione, all’interno del contado, aveva a sua volta propri consigli.

 

Commissario di Chiavenna e podestà di Piuro non partecipavano nè convocavano i consigli delle rispettive giurisdizioni, avendo tra i loro compiti il controllo generale dell’ordine pubblico, la direzione militare, l’ispezione delle pubbliche finanze, ma soprattutto l’organizzazione della giustizia sotto osservanza degli statuti locali. Il capitolato di Milano del 1639 riconobbe definitivamente che i consigli di Chiavenna e Piuro e ciascun terziere della Valtellina per il tramite del consiglio di valle potessero indicare tre esperti legali (nativi delle valli) tra i quali l’ufficiale grigione sceglieva un assessore, il cui voto risultava vincolante, particolarmente nelle cause civili, per lo stesso giudice.

 

Garanzie dell'autogoverno locale: il contado di Bormio

Per Bormio, il fulcro della sovranità, a cui il comune era giunto attraverso le lotte con il comune di Como, i Visconti, il vescovo di Coira e i Venosta, risiedeva nel diritto e nell’uso della giurisdizione civile e penale, con il potere di condannare anche a morte. Il podestà, già in epoca ducale, poteva citare in giudizio, oppure istruire una causa, ma appoggiandosi sempre agli statuti. Egli applicava il diritto che risiedeva nel sovrano popolo di Bormio, che si esprimeva nelle deliberazioni del suo consiglio, detto appunto “di popolo”, e attraverso le disposizioni del consiglio ordinario, dei reggenti e degli altri ufficiali comunitari.

 

Dopo l’avvento della dominazione grigione su Bormio, la tradizionale autonomia e privilegi furono confermati, mentre gran parte delle resistenze del comune si imperniarono sulle prerogative del podestà. Furono i bormiesi stessi a richiedere al governo delle tre leghe la sovranità effettiva del podestà, nel senso che a lui doveva competere il diritto di approvazione, rappresentando l’autorità superiore, mentre al comune doveva restare la sovranità nelle questioni di ordine interno, che si reggeva sugli statuti. Il motivo di tale richiesta andava ricercato nel fatto che per Bormio contava soprattutto essere considerata come giurisdizione e stato del tutto separato dagli altri del dominio delle tre leghe, in modo tale che gli abitanti non potessero essere tratti ad altri iusdicenti che al proprio podestà.

 

Nella formulazione degli statuti di Bormio del 1536, anche al podestà erano quindi concessi i pieni poteri: nel periodo grigione, in effetti, il podestà di Bormio, pur essendo al vertice della piramide istituzionale, aveva una ridottissima potestà politica, limitandosi a presiedere alle assemblee senza partecipare al voto, mentre svolgeva un ruolo effettivo nell’amministrazione della giustizia, presiedendo i due tribunali con mandato biennale.

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