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Romanzetto tiranese - "In quella notte di luglio"

CULTURA E SPETTACOLO - 16 07 2020 - Ivan Bormolini

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/Anna e Antonio

(Terza parte di I. Bormolini) Era una sera di inizio luglio, Giuseppe tornato all'ospedale ed avvisato che ormai il parto era imminente, avrebbe preferito rimanere al capezzale della moglie. La buona Adelina, vedendolo stanco dopo una dura giornata di lavoro, questa volta aveva preso in mano le redini della situazione.

 

Sarebbe rimasta lei in ospedale, mentre Giuseppe andava a casa a mangiare ciò che quella buona donna le aveva già preparato ed a riposare; congedandosi dal buon uomo lo rassicurava dicendogli che in caso di parto sarebbe corsa a casa a chiamarlo.

E così salutando la moglie e ringraziando Andreina il muratore tornava nella sua dimora. Consumata la cena, aveva dato uno sguardo a quelle due culle ultimate con candide lenzuola da Adelina, non vedeva l'ora che queste accogliessero quei due pargoletti e si chiedeva di che sesso fossero stati.

Inoltre, desiderava fortemente che anche Adele dopo tante settimane di ricovero potesse finalmente far ritorno nella loro casa.

Segnate scrupolosamente come ogni sera le ore di lavoro ed i materiali impiegati, sentiva il raglio del mulo Tobia proveniente dalla stalla, vista l'emozione del momento si era dimenticato di dar lui il buon foraggio e della fresca acqua.

 

Provvedendo a riempire il secchio nella storica fontana della piazza, il suo sguardo aveva indugiato nel guardare i bambini della contrada giocare felici ed aveva pensato che un giorno anche i suoi due avrebbero fatto parte di quell'allegra combriccola spensierata.

Con qualche carezza, quasi a chiedere scusa a Tobia per qual ritardo, finalmente poteva accendersi la sua pipa e godere di quella lieve frescura di una ormai tarda sera di luglio.

Il silenzio ormai regnava sovrano, anche le luci delle finestre delle vicine case una ad una si spegnevano, il suono delle ore del campanile di San Martino diceva che erano le ventitre, solo il tipico e da sempre familiare fruscio dell'acqua della fontana, rompeva la quiete.

Ma Giuseppe, pur avendo finito il tabacco nella pipa, pareva non voler coricarsi, si era affacciato alla finestrella ancora per un momento, nemmeno la consueta camomilla pareva rilassarlo.

 

Ad un certo punto però la stanchezza la stava facendo da padrona, ma nell'atto di chiudere l'anta della finestrella, egli sentiva nuovamente due distinti rintocchi della campana dell'antica chiesa del Mariano Spasmo. Subito, la sua mente aveva pensato al rintocco di nove mesi prima e collegato il tutto alla lieta notizia che sua moglie gli aveva dato.

Un nuovo segnale? Giuseppe ne era a questo punto più che certo, così senza indugio alcuno aveva percepito che il parto sarebbe avvenuto in quella notte. La stanchezza, aveva lasciato il posto ad una sorta di incontrollata adrenalina e senza perdere troppo tempo si era rivestito con gli abiti che la governante di casa gli aveva preparato per il lieto evento.

Di corsa ed ormai alla mezzanotte raggiunta si incamminava verso l'ospedale; all'altezza del palazzo scolastico incontrava Andreina che lo stava andando a chiamare.

 

Giunto al cospetto dell'ingresso della sala parto, sentiva le urla di dolore della sua amata, era per lui straziante, continuava a guardare l'orologio da taschino e le ore sembravano non passare. La buona Andreina gli prese la mano, quasi per calmarlo, ma Giuseppe sembrava un leone in gabbia. Sapeva che la moglie era ben assistita, ma non si dava pace.

Verso le due e mezza, usciva dalla sala parto una suora che prestava servizio come infermiera in ospedale, quell'uomo grande e grosso gli si era praticamente fiondato addosso per avere notizie. Suor Anna, questo era il nome della religiosa, diceva che sarebbe stata una cosa piuttosto lunga, ma che non c'era nulla da temere. Con una carezza sul volto quella suorina sincerava e diceva lui di stare calmo.

Signor Giuseppe, vede quell'altarino posto a metà reparto, c'è una statuetta del Sacro Cuore, vada e dica una preghiera, vedrà che il buon cuore di Gesù le apparirà tra un po' come la lieta novella”.

 

Da sempre buon cristiano, Giuseppe ascoltava l'invito di suor Anna e accompagnato da Andreina si era messo in preghiera inginocchiandosi davanti al volto del buon Gesù.

La notte ormai era passata, da quella sala non era più uscito nessuno, ma all'aurora le grida della moglie parevano essere cessate. Nell'immediato quell'omone sudato e pallido in volto aveva temuto il peggio, ma subito la quiete di quell'albeggiare veniva interrotta dai doppi vagiti dei due neonati.

Suor Anna usciva e finalmente comunicava che Adele era stanchissima ma in buonissime condizioni di salute, che i due pargoletti erano maschio e femmina e nel giro di poco avrebbe potuto vedere tutti e tre.

Giuseppe cadeva in un pianto a dirotto, pareva un bambino abbracciato ad Adelina. Quest'ultima, commossa ma con grande piglio prendeva in mano la situazione dicendo che era giunto il momento di decidere per i nomi da dare ai due neonati.

Alla visita di quel trio, il buon padre barcollava sulle gambe dall'emozione, e con le sue grandi braccia riusciva ad abbracciare tutti e tre.

 

Baciando sulla fronte la moglie e i due figli, si doveva decidere sul nome. Giuseppe rimasto colpito dal gesto affettuoso di quella suora aveva deciso di chiamare la figlia Anna, lasciando ad Adele il desiderio di dare il nome al maschietto.

La neo madre, stanca e pallida aveva prontamente deciso per Antonio, ovvero il nome di suo padre.

Tutto era andato bene ed anche Andreina poteva vedere l'amica Adele e quei due piccoli.

L'ostetrica a sua volta un po' provata, aveva rassicurato Giuseppe sulle buone condizioni della moglie e su quelle dei due figli, solo Antonio pareva un po' più gracile ed esile della sorella, ma questo non era motivo di preoccupazione.

Ormai era mattina, anche il medico giunto come sempre di buon ora in ospedale, si era immediatamente sincerato delle condizioni dei tre dicendo che comunque per una settimana dovevano ancora rimanere in ospedale.

 

Quel camice bianco, consigliava caldamente a Giuseppe e Andreina un giorno di riposo, asserendo che non vi era motivo di preoccuparsi, solo le vene di Adele andavano curate ulteriormente.

Pur non volendo lasciarli, Giuseppe non poteva certo stare in ospedale in pianta stabile e così anche suor Anna, giunta da lui e Andreina con due tazze di caffè fumante, diceva loro che avrebbero potuto far visita, nelle ore prestabilite e che solo la domenica si sarebbero potuti trattenere un po' di più.

Lasciato l'ospedale, quand'erano oramai le otto, Giuseppe faceva un salto in cantiere avvisando il committente che per tre giorni avrebbe sospeso i lavori; lo stesso ignaro del tutto e rimasto piacevolmente sorpreso dal lieto evento, non aveva posto opposizioni congratulandosi con quell'umile uomo.

Andreina invece si era recata a casa sua per un breve periodo di riposo, ma alle undici era nuovamente in quella casa di piazza Parravicini per preparare il pranzo.

 

Giuseppe, si era immediatamente recato all'anagrafe registrando con fierezza i due figli e quindi aggiornando lo stato di famiglia, aveva avvistato il parroco e i due nobili amici testimoni di matrimonio di quel lieto evento.

Rincasato credendo di non trovare la fidatissima Andreina, si era trovato la tavola apparecchiata e un buon pranzo, la stessa aveva cercato di lasciare solo l'uomo e tornare a casa propria ma questi aveva insistito nel trattenerla.

Dopo mangiato nell'attesa dell'orario di visita serale, Giuseppe aveva preso sonno su quel divanetto, mentre l'instancabile domestica, nel giro di poco aveva ricamato su due cuscinetti, uno rosa ed uno azzurro il nome dei due nuovi nati.

In quella prima sera, oltre a Giuseppe in quella camera d'ospedale giungevano i nobili amici Alfonso con la moglie Lisa, i quali regalavano a Adele un grande mazzo di fiori e due abitini per i due neonati.

 

Poco dopo, forse un po' inaspettatamente anche il committente del cantiere affidato a Giuseppe, era arrivato in ospedale accompagnato dalla sua signora, anch'essi avevano pensato a dei fiori come presente per quell'evento.

Solo Andreina non aveva fatto visita in quella prima sera, pur essendo contenta per il tutto, proprio quella data, per lei segnava il triste ricordo della dipartita di suo marito, ma non aveva voluto dire nulla a nessuno per non turbare quel giorno di grande festa, aveva solo detto a Giuseppe che per la cena non ci sarebbe stata, senza dare alcuna spiegazione.

Ad un certo punto, il fiero padre affacciandosi alla finestra di quella camera d'ospedale con quei due piccoli bimbi tra le braccia, scorgeva Andreina con il velo nero in capo lasciare il vicino Campo Santo poco prima della chiusura. Anche Adele che era riuscita ad alzarsi, con una mano appoggiata sulla spalla del marito, aveva visto quell'anziana donna con il volto chino incamminarsi in quel viale verso casa.

 

Era giunto il momento dei saluti, quella tanto dolce suor Anna che pareva instancabile, sulle regole non transigeva e così, dopo le brevi e discrete visite degli amici, interrompeva con fare perentorio anche la permanenza di Giuseppe.

Con teneri ed affettuosi saluti l'uomo lasciava la sua famiglia, promettendo che la sera dopo sarebbe tornato.

Per loro volere, i fiori regalati venivano posti in due luoghi separati: il primo su quell'altarino posto nel reparto ed evocante il Sacro Cuore di Gesù ed il secondo, il mattino successivo nell'altare della chiesa di piazza Parravicini.

Ma quella sera Giuseppe, prima di rincasare aveva bussato alla porta di Andreina. Con Adele avevano capito tutto e compreso ulteriormente il buon cuore di quella donna, tanto prodiga sul lavoro e altrettanto buona e di cuore.

Su quell'uscio di porta Milanese, quell'omone aveva trovato una donnina, che nonostante la sua energia, dimostrata anche nelle ore precedenti, sembrava priva di vitalità ed affranta da un dolore incolmabile.

 

La stessa, ringraziando Giuseppe che le aveva raccontato il fatto dell'uscita dal cimitero, asseriva che quella sera avrebbe desiderato restare sola e nel silenzio del suo ricordo.

L'uomo capendo il tutto la salutava con un fraterno abbraccio. Capiva quel sentimento e di conseguenza era tornato a casa, anche se avrebbe voluto fare di più.

Nei giorni successivi, anche la povera vedova aveva fatto visita ad Adele, Anna e Antonio, nel breve periodo concesso per gli incontri pomeridiani. La sera era dedicata solamente al padre che ben un quarto d'ora prima dell'orario era presente all'ingresso del reparto, tanto da guadagnarsi anche l'appellativo di “Piantone”.

 

(Fine terza parte)

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