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Tirano 1629: la lista della spesa per l'operazione collegiata

CULTURA E SPETTACOLO - 28 11 2019 - Ivan Bormolini

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/san martino, Tirano
Il campanile della parrocchia di S. Martino

(Di I. Bormolini) Nel 1589 la chiesa di San Martino in Tirano, veniva nominata parrocchia dal vescovo di Como Feliciano Ninguarda, il quale, aveva retto le sorti della diocesi dal 1588 al 1595. In occasione della stessa visita pastorale il vescovo aveva nominato Simone Cabasso come primo parroco di Tirano, conferendo alla Comunità il diritto di giuspatronato.

Quindi per il futuro, quando veniva a verificarsi che la parrocchia si sarebbe trovata vacante della propria guida, l'elezione del nuovo parroco spettava alla Magnifica Università di Tirano e quindi non alla diocesi.

 

Ampi e degni di note storiche sono gli atti della visita pastorale di Feliciano Ninguarda, in questi però non ho trovato nulla di curioso in merito al suo alloggio ed al suo vitto quotidiano.

Quarant'anni dopo nel 1629, durante il suo mandato di vescovo di Como ( 1626-1665 ), Lazzaro Carafino conferiva alla nostra parrocchia il titolo di collegiata, era parroco dal 1621 don Andrea Lanfranchi.

In questo caso specifico, ovvero la nomina a collegiata della nostra parrocchia, ho trovato qualche notizia curiosa sulla permanenza a Tirano del Carafino.

 

Pare da subito evidente che questo vescovo avesse mantenuto fede all' “Editto per la visita pastorale” stilato ed emanato da un suo precedente successore, monsignor Filippo Archinti nel 1596.

Questo Editto, prevedeva parecchie osservanze alle quali la comunità ospitante si doveva attenere, eccone alcune:

per alloggiare il monsignore reverendissimo vescovo di Como, si doveva trovare una camera nella casa della chiesa ( casa parrocchiale nel caso di Tirano ). Se questa abitazione ne era sprovvista, ne andava individuata una consona che si trovasse in un edificio il più vicino possibile alla chiesa.

 

La camera dove dormiva il vescovo, doveva essere prima di tutto ben pulita. Per l'arredo, oltre al letto, non doveva mancare un tavolino, due sedie, acqua benedetta e qualche quadro devozionale.

Il seguito di sua signoria reverendissima era sempre di dieci persone “la famiglia sarà di dieci bocche”, per questi si dovevano predisporre i letti, per tutti separatamente, quando questo era possibile.

Parlando di bocche, era chiaro che si dovesse provvedere anche al vitto:

“per la tavola di sua signoria reverendissima e dei suoi, qual sarà in comune ci potrà essere... ” E segue l'elenco “di magro o di grasso”.

Parlando del cibo e dei pranzi dell'operazione collegiata, ecco il preciso rendiconto che il decano aveva stilato e presentato, al fine di giustificare le spese per il vitto sostenute durante i dieci giorni di permanenza del Carafino ed ei suoi accompagnatori a Tirano, fra i quali l'arciprete di Sondrio.

Va premesso che le tavolate erano due e vi avevano seduto di volta in volta, dalle trenta alla quaranta persone.

 

Ecco la lista della spesa fedelmente riportata.

carne: indicata in modo così generico una sola volta;

un vitello: un solo acquisto;

un castato: acquistato in tre occasioni;

pollastre: acquistate, una o un paio, per sei volte;

galline: come le pollastre;

capponi: tornano tre volte nelle note;

lingue ( di manzo?): n° 3 una sola volta;

pernici e quaglie: vengono usate per due pasti;

una trota di 9 libre (oltre sette chili );

le uova consumate furono quasi duecento.

Vino e pane vennero acquistati ogni giorno;

vino bianco fu comperato una sola volta;

il pane era, quasi sempre, parte di frumento e parte di segale;

venivano acquistati 28-42 pani alla volta.

 

Non figura mai nella nota la pasta; farina e semola invece, risultano acquistate in due occasioni, non furono usate per la pasta fatta in casa ma per le torte; il riso è citato due volte.

Pure in due occasioni si comprarono “persutto e salame”. Per cucinare si usarono “butter cotto e butter fresco” ( sette volte sono presenti negli acquisti giornalieri ) e sevo per insaporire le zuppe ( brodo e pane, come deducibile dagli ingredienti comprati contemporaneamente ). Fu fatta provvista due volte di “ formai da grattare”.

Ovviamente il cuoco, consumò sale, pepe, aceto e olio.

 

Come avrete notato sin qui, mancano i contorni come insalate, patate oppure fagioli, vien da pensare che queste siano state donate dai nostri contadini tiranesi.

E per i dolci: per le torte si usarono pere e cannella, chiodi di garofano, uva passa, miele, pinoli e zucchero; altri piatti gustosi risultavano poi essere preparati con funghi e prezzemolo; le minestre furono addensate con fette di zucca per tre volte.

La frutta non mancò sulle tavole: per tre volte è citata in modo indeterminato; le pere figurano tre volte insieme con i chiodi di garofano, risulta anche l'uva passa. Le prugne di due qualità furono offerte due volte, il due settembre vennero offerte “maiostre”, belle fragole che costarono sei soldi.

 

Certo, analizzando la lista il menù pare variegato e non certo di magro, quel bravo cuoco e pure pasticcere, si doveva essere impiegato molto per quei pranzi e cene. Non trovo nessuna citazione di questo professionista e nemmeno note sul suo compenso.

Ma per concludere trasferiamoci nella bella e soliva frazione di Baruffini. Mi direte cosa centra Baruffini con l'operazione collegiata e con il vescovo Carafino? Centra e come, era infatti il 18 ottobre 1638, quando la storica chiesa di San Pietro Martire veniva nominata parrocchia proprio dallo stesso Carafino.

Adesso io non so se per questa nomina, sia giunto direttamente il vescovo Carafino in visita pastorale a Baruffini, oppure abbia delegato qualcun'altro. Tuttavia parlando di vitto se lo stesso vescovo fosse giunto al cospetto della facciata della chiesa di San Pietro, forse anzi sicuramente, l'allora popolazione contadina in festa, non avrà fatto mancare all'alto prelato la buona tavola tipica della frazione.

 

FONTE: “La Chiesa di San Martino in Tirano”. Autori Gianluigi Garbellini e William Marconi. Stampa: finito di stampare nel mese di dicembre 1999, dalla Tipografia Bettini Sondrio.  

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