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Il racconto tragicomico di un mio viaggio con Trenord

CRONACA - 04 02 2019 - Stefano E. Ferrari

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Premessa: Il più è fatto.

Sono alla stazione centrale di Milano e sto aspettando che venga comunicato il binario del treno diretto a Tirano delle 16.20. E’ venerdì 1 febbraio, il maltempo imperversa nel Nord Italia ma nel cartellone luminoso non vi è cenno di ritardi ne cancellazioni, per lo meno nella tratta che mi interessa. A Tirano sono scesi 5 centimetri di neve, mi ha comunicato verso le 14 mio padre: niente di così eccezionale da dover rinviare il mio viaggio, mi sono detto. Quando viene comunicato il binario, tiro un ulteriore sospiro di sollievo. Guardo i miei due enormi trolley, lo zainetto e la borsa accatastata sopra, e penso: “Il più è fatto”. Stamattina infatti ho dovuto lasciare l’appartamento dove vivevo, il che velocemente ha significato, limitandoci agli aspetti puramente materiali: svuota gli armadi, prendi i libri, controlla i cassetti, butta le cartacce, svuota l’immondizia, pulisci di qui, scopa di là, chiudi le valige, riapri le valige, siediti sopra le valige, e questo adesso dove lo mettiamo, prendi un’altra borsa, ricordati il caricabatterie e così andando fino all’ultimo “Non mi daresti una mano ad andare in stazione?”

 

Atto I: treno puntualissimo.

Sono le 16.00 quando il binario viene comunicato e una fiumana di persone si riversa verso il treno appena giunto in stazione. Ci si schiva a vicenda, si sorpassa, qualcuno addirittura corre, qualcuno invece fa ancora la coda per obliterare il biglietto, sbuffa, freme, si guarda in giro valutando una soluzione più redditizia in termini di tempo per adempiere all’operazione: chiaramente c’è un’altra macchinetta obliteratrice a pochi metri, proprio sul lato opposto, ma chiaramente non funziona (è veramente triste come ormai ci siamo rassegnati alle macchinette obliteratrici che non funzionano. C’è da dire che una soluzione per evitare questi “mostri di tecnologia” ci sarebbe: comprare il biglietto direttamente sul sito di Trenord. Non so se voi ci avete mai provato: è dura ma qualche volta ci si riesce. Quel pomeriggio però non ero stato così fortunato: nella versione per dispositivi mobili il sito non girava bene (perchè?), scegliendo la versione web invece sono riuscito ad arrivare fino al pagamento: dopo aver confermato la transazione su paypal, il nulla. Nessuna comunicazione, schermata sempre identica. Smanetto, controllo, e mi trovo a leggere che la transazione è in sospeso: mah!?) In ogni caso, biglietto in tasca obliterato, mi butto anch’io nella fiumana, decidendo di infilarmi subito sul treno visto l’impaccio che ho nel camminare con tutti i bagagli. Trovo posto vicino alle porte, apro un libro e alle 16.20 il treno parte: tutto perfetto. Mando un messaggio a mio padre che verrà a prendermi in stazione - treno puntualissimo - e subito penso a a mia sorella, che poche ore prima mi gufava: “Ma proprio oggi dovevi partire?”

 

Atto II: a me piace viaggiare in treno.

A me piace viaggiare in treno, molto più che in automobile. Su un treno posso conoscere gente, chiacchierare, godermi il panorama dal finestrino, leggere, scrivere, dormire, senza alcun tipo di preoccupazione (Questo chiaramente quando il treno non è sovraffollato e trovo un posto dove sedermi - qualcosa che purtroppo non è sempre scontato salendo a Milano) Li preferisco agli aerei, e per molti aspetti anche alle navi – sono meno romantici, certo, ma per lo meno non si corre il rischio del mare grosso e per chi l’ha provato sa di cosa parlo. Mi piaciono a tal punto che l’anno scorso in India ho preso il treno tutte le volte che ho potuto, anche per tratte molto lunghe (il mio record è stato un viaggio di 36 ore da Varanasi ad Amristad – di cui 30 previste e 6 di ritardo). Così che anche questo viaggio si prefigurava come qualcosa di assolutamente piacevole, perfino pittoresco vista la magia della neve. E poco mi interessava del piccolo ritardo che il treno lentamente accumulava - prima dieci, poi venti minuti giunti a Sondrio. Mi sto gustando il libro che sto leggendo, il treno è di quelli “nuovi” per cui non fa ne troppo caldo ne troppo freddo, non c’è alcun viaggiatore molesto nelle vicinanze, tipo che urla al telefono o sentenzia sul malessere italiano elencando luoghi comuni o elargendo frasi dal vago sapore fascista. Alle 19.00 il treno lascia Sondrio e ormai mancano meno di trenta chilometri al capolinea, una sola fermata intermedia - ed ecco che già si vede Tresenda, il treno si ferma, si aprono le porte....

 

Atto III. Tresenda

Quello che succede è che a Tresenda il treno non riparte. Passano dieci, quindici minuti e la gente attorno a me inizia a rumoreggiare, si alza, prende a camminare per il treno, parla al telefonino, domanda agli altri passeggeri se sanno cosa sta succedendo visto che non vengono date comunicazioni, ne si vede il personale Trenord. Io avverto mio padre del ritardo e continuo a starmene tranquillo. Passano altri cinque minuti, e arrivo il primo annuncio: il treno è fermo causa problemi alla linea elettrica. E’ il classico annuncio che non dice nulla e che porta sempre la solita domanda: E quindi? Chiamo mio padre per informarlo che probabilmente si andrà un po’ alle lunghe e lui mi domanda: “Vuoi che vengo a Tresenda?” “Aspettiamo un po’” gli rispondo, “Ti chiamo quando parte”. E poco dopo il treno parte veramente. Ma è solo una falsa partenza perchè dopo quattrocento metri si riferma per poi fare marcia indietro, tornando in stazione. Tra i passeggeri inizia a salire il nervosismo. Per molti è una beffa. Qualcuno inizia ad imprecare. Altri aprono le porte e decidono di scendere dal treno. Nevica ma è più pioggia, e sulla banchina ci sono più di venti centimetri di neve bagnata e pesante; guardo le persone inzupparsi i piedi, trascinare a fatica i loro trolley facendo attenzione a non scivolare e penso: “col fischio che scendo”. Anche perchè nel frattempo una signora ha premuto il tasto di emergenza e dopo aver parlato con qualcuno di Trenord dice che gli hanno comunicato che il treno continuerà fino a Tirano, e tornerà pure indietro a Milano. Poco dopo il mio telefono squilla: è di nuovo mio padre. Mi dice che la fila di macchine che aspettava nel piazzale a Tirano si sta sfilando, che stanno venendo tutti a Tresenda. “Vengo anch’io?” mi domanda. Ho circa quaranta chili di bagagli e l’idea di mettermi a trasportare tutto da solo, sotto la pioggia, sprofondando nella neve, percorrendo tutta la lunghezza della banchina per raggiungere il sottopasso, per poi scendere, risalire di nuovo, portarmi verso il piazzale ed aspettare sotto la pioggia, beh, non mi alletta decisamente. “Aspettiamo” gli rispondo. Ma dopo dieci minuti lo scenario che ho finora allontanato dalla mia mente si fa realtà: viene annunciato che il treno è stato soppresso e che per Tirano partirà un nuovo treno sul primo binario.

 

Atto III: Il disagio.

Sono circa le 19.50 e quasi tutti iniziano ad armeggiare con i propri bagagli per scendere dal convoglio e portarsi sul nuovo binario dove dovrebbe arrivare il nuovo treno. Dico quasi tutti perchè l’annuncio viene fatto solo in italiano e ci sono molti stranieri, probabilmente turisti, che si mettono a cercare qualcuno che parli in inglese e possa spiegargli cosa sta succedendo. Chiamo mio padre, gli dico di venire a Tresenda che il nuovo treno per Tirano intanto non si vede, e inizio ad organizzare le operazioni. Indosso lo zaino, prendo la borsa, scendo dalla carrozza col primo trolley, risalgo sulla carrozza, scendo col secondo trolley, e poi mi trovo lì, sulla banchina, con gli stivaletti inzuppati, a guardare quella lenta processione di persone che goffamente trascina le proprie valige nella neve fresca; c’è chi ha anche delle sacche con gli sci, scarponi, e sono tutti lì sotto la pioggia a sudare, a imprecare per raggiungere il sottopasso, nel buio e nel silenzio di una stazione “fantasma” quale è quella di Tresenda. Io faccio dieci metri trascinando prima un trolley e poi l’altro, con una fatica enorme, e subito mi accorgo che di questo passo arriverò al sottopassaggio fra mezz’ora, sudato marcio e bagnato fradicio. Decido allora di portare di nuovo tutti i bagliagli sul treno, e di procedere in direzione del sottopasso non dalla banchina ma percorrendo lo stretto corridoio del convoglio, prima con un trolley e poi con l’altro. Qualcuno fa lo stesso: ma dopo una cinquantina di metri il primo convoglio finisce: così non si ha altra soluzione che scendere di nuovo con tutti i bagagli, trascinarli nella neve fresca e risalire di nuovo sul secondo convoglio per poter proseguire. Mentre faccio questa operazione vedo del personale Trenord, sono in due e stanno camminando in direzione opposta alla mia, verso la coda del treno. “Il treno non parte adesso?” gli domando, giusto per non correre rischi. “Non ti preoccupare” mi risponde uno di loro. Così risalgo con tutti i bagagli, percorro tutto il corridoio con un trolley, poi mi porto a prendere l’altro, ma quando finalmente arrivo alle porte per scendere, quella proprio davanti al sottopasso, mi accorgo che sono chiuse.

 

Atto IV: Dove sei?

Premo più volte il tastoper aprirle: nulla, è di colore arancione. “Mi hanno chiuso nel treno” mi dico e sono così nervoso che mi viene quasi da ridere. Vedo una persona passare davanti alle porte, busso forte sperando che mi senta, ma è inutile. Passano alcuni secondi e improvvisamente il treno si rimette in moto; non posso crederci, sta tornando indietro, sta ritornando verso Milano. Mi ricordo della signora che aveva premuto il tasto per la chiamata di emergenza: ho la voce concitata, sono sudato: “Pronto? Pronto!?, pronto!?” continuo a dire finchè dopo qualche secondo una voce mi risponde. Gli dico che sono sul treno, di fermarlo, che del personale Trenord mi aveva assicurato che il treno non sarebbe ripartito subito. Passano qualche secondo e il treno si ferma, ma ormai è tornato indietro di centinaia di metri. “La vede la banchina?” mi domanda la voce. “No, non la vedo”. Silenzio. Silenzio. “Faccia tornare il treno indietro” gli dico, piuttosto nervoso. Silenzio. Silenzio. Faccio qualche respiro profondo, cerco di ritornare calmo. Aspetto un minuto, speranzoso di vedere il treno tornare indietro, poi decido di chiamare nuovamente. Adesso sono un po’ più tranquillo. “Sono sempre io” dico. Silenzio. “Allora?” “Non posso far tornare indietro il treno” mi dice la voce dall’altoparlante. Respiro. “E quindi?” “Se risale il treno fino in cima dovrebbe arrivare alla banchina. Adesso le mando un collega.” Faccio un altro respiro profondo. Poi mi metto a ripercorrere nuovamente il convoglio, fino in fondo, prima con una valigia poi con un altra. Finalmente vedo “il collega” ma sono così nervoso e stanco che non ho voglia neanche di parlargli. Scendo con una bagaglio e lui mi aiuta col secondo. “Ma quanto pesa?” mi dice e io neanche gli rispondo. Sto guardando il sottopasso, che adesso mi sembra lontanissimo. Sto cercando qualche soluzione, qualche via di fuga. L’addetto Trenord mi guarda, come per dirmi: mi dispiace. Poi sono lì, con le valige bagnate buttate nella neve fresca. Mio padre mi chiama, con la voce concitata gli dico che sono proprio in fondo alla banchina: è buio, piove, sono così lontano che non mi vede. “Cammina, cammina in direzione di Milano” gli dico.

 

Atto V. Tutto incredibilmente assurdo

Ho i piedi fradici, sono sudato, nervoso, lascio le valige in mezzo alla neve e mi porto verso di lui per mettere al riparo dalla pioggia la borsa e lo zaino con il computer. Goffamente, scivolando ad ogni passo, raggiungo mio padre e ci portiamo verso la stazione, dove una folla di persone aspetta in piedi, smarrita, il nuovo treno per Tirano, chi ammassato nella sala d’aspetto, chi fuori riparandosi sotto la pensilina del sottopasso. Scruto per vedere qualche giacca Trenord per poter sfogare il mio nervosismo, ma non ne vedo. Così raggiungo la macchina, deposito lo zaino e la borsa e torno indietro con mio padre sotto la pioggia, affondando di nuovo i piedi nella neve, passo dopo passo lungo tutta la banchina. Dopo aver ritrascinato per alcuni metri i due trolley anche mio padre capisce che arrivare fino alla stazione è un’impresa. Sono tentato di lasciarli lì, di mandare tutto al diavolo. Poi mi guardo in giro. La strada statale non è lontana, procede parallela alla ferrovia. Però la banchina è recintata con una barriera in cemento, non permette vie di fuga. Mi affaccio, proseguo avanti per dieci metri e vedo che oltre alla recinzione c’è un piccolo parcheggio, probabilmente privato, da cui si può accedere dalla strada statale. “Prendiamo le valige e le buttiamo oltre la recinzione” dico a mio padre. E’ un salto di circa due metri, ma non vedo altre soluzioni. “Si spaccano tutte” mi risponde. La neve nel parcheggio è stata spalata e c’è un mucchio di neve fresca che può attutire il colpo. “Forse non si rompono” dico. Sembra tutto incredibilmente assurdo ma è così che facciamo. Sono circa le 21.00 quando torniamo alla stazione, dove la gente sta ancora aspettando il treno che la porterà a Tirano. Poi saliamo in macchina e ci portiamo a recuperare le valige. Si sono rotte, ma per lo meno la tragicommedia è finita.

 

CONCLUSIONE.

Chiaramente una volta a casa ho fatto una doccia calda per sbollire il nervosismo e vedere tutto quanto alla giusta distanza. E già oggi, mentre scrivo, quanto mi è accaduto mi sembra una barzelletta. Mi è ben chiaro che i veri problemi della vita sono altri, che i veri problemi della società sono altri, ma credo che ogni tanto sia importante soffermarsi sulle piccole situazioni di vita quotidiana. Si fa sempre un gran parlare di Trenord e credo che a molti questo resoconto non abbia granchè stupito: ma se ho deciso di scrivere tutto ciò è perchè credo nell’importanza della narrazione, che a volte può indagare e raccontare la realtà in maniera più lucida dell’ennesimo articolo di cronaca che recita: “Nuova ondata di maltempo: disagi e treni soppressi.”

 

Generalmente siamo attratti dai discorsi astratti, dalle grandi tematiche. Credo però che a volte sia importante soffermarsi sulle piccole questioni per capire meglio la realtà che ci circonda (nella convinzione che analizzare una riunione di condominio potrebbe spiegarci tante cose sui fenomeni che investono un’aula parlamentare). Spero quindi che questo piccolo racconto non venga liquidato con delle semplici battute di sarcasmo ma che possa contribuire ad analizzare ed affrontare alcune problematiche di cui siamo a conoscenza. E credo che il modo migliore sia quello di porre delle domande, delle domande molto specifiche, senza arroganza ne cinismo: “Quali sono stati esattamenti questi problemi sulla linea elettrica? (Una centralina che è saltata? E se sì perchè?) Perchè un’altro treno poteva percorrere quei dieci chilometri che mancavano a Tirano mentre il treno con cui viaggiavamo è tornato indietro? Chi ha deciso tutto ciò? Alla luce di quali problematiche? C’è qualcuno che è responsabile della pulizia delle banchine in caso di neve? (qualcuno che viene pagato per farlo? E se nessuno è responsabile, credete che sia importante in una località con vocazione turistica prevedere questo piccolo servizio?) Perchè, visto che erano presenti numerosi turisti stranieri, non sono state fatte comunicazioni anche in inglese? e via di seguito, entrando sempre di più nello specifico, fiducioso che ogni problematica, con la collaborazione di tutti, possa essere risolta.

 

Stefano E. Ferrari

 

P.S. La tentazione di girare un video col mio telefonino è stata forte, perchè si sa che oggigiorno un video sa essere più incisivo di tante parole. Ma pioveva e non ho avuto questo intuito. Ho scattato un’unica foto, come ricordo, quando ormai la disavventura era finita e mancava solo una valigia da ritirare dalla neve.

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