MENU

Le calamità del 1987 in Valtellina

CRONACA - 03 03 2017 - Ezio Maifrè

CONDIVIDI

/Alluvione 1987, madonna di Tirano

Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

____________________________________________

 

L’estate del 1987 fu un incubo per l’intera Valtellina. Una spaventosa alluvione si abbatté su tutta la valle mettendola in ginocchio, poi, inaspettata e traditrice, una disastrosa frana cambiò l’aspetto della Valdisotto. In quel tempo furono infinite le sventure che colpirono la valle, ma fra le tante sventure vi fu anche una grazia. Una grazia nella sventura può apparire insignificante, quasi dovuta, ma quando i mali si abbattono uno dietro l’altro, con furia inaudita al pari di una valanga, quella grazia è la luce che dà ancora la forza e la speranza di una vita normale.

 

Il fatto prodigioso che ferma la furia dei mali, prima che la devastazione sia totale, è una grazia nella sventura. In quella disastrosa alluvione dell’ ’87 ciò che poteva accadere ancora di più catastrofico per la Valtellina miracolosamente non avvenne.

 

Era sabato 29 agosto del 1987.

Tutto il fondo valle, da Le Prese a Montagna in Valtellina, era deserto, evacuato; tutti i permessi d’ accesso alle case e quelli di circolazione degli automezzi erano stati revocati. Perfino a Sondrio la gente era stata messa in stato di preallarme, pronta ad abbandonare le sue case, i suoi beni in caso d’emergenza.

 

Tirano, con i suoi 8000 abitanti sfollati, era un paese fantasma; non si udivano rumori e si vedeva solo il sinistro lampeggiare della macchine dei carabinieri e dei vigili del fuoco poste di traverso nelle strade che facevano da blocco. L’incubo della valle era il lago di S. Antonio. Molti avevano dato quel nome al lago a ricordo della splendida piana prativa dove si ergeva il paese di S. Antonio Morignone . Il lago, formato dalla imponente frana di 40 milioni di metri cubi di terra e roccia caduta dalla Val Pola, era un silente drago pronto a divorare la valle. La colossale frana aveva sotterrato i paesi di Morignone , S. Antonio Morignone, Poz e Tirindré, S. Martino di Serravalle, frazioni del comune di Valdisotto e, con il suo spostamento d’aria, aveva distrutto alcune case di Aquilone. Tutti in valle temevano che, nel caso sciagurato di una catastrofica rottura del colossale sbarramento formato dalla frana, l’acqua del lago di S. Antonio avrebbe potuto distruggere gran parte della media Valtellina e raggiungere il capoluogo in poco più di due ore. Lassù, sul corpo frana, gli uomini avevano lavorato con le ruspe giorno e notte cercando d' abbassare la sommità dello sbarramento in modo tale da rendere il lago meno imponente e pericoloso. Avevano poi creato artificialmente l’alveo in cui l’acqua avrebbe potuto incanalarsi e defluire una volta raggiunto il ciglio della diga. Ora il lavoro era quasi finito. I tecnici della Commissione Alti Rischi si davano un gran da fare per far salire gradualmente l’acqua nel grande invaso modulando la portata dell’acqua dell’Adda, rilasciata dalle turbine della centrale idroelettrica di Premadio. Si doveva verificare la tenuta dello sbarramento, perché l’acqua prima o poi avrebbe raggiunto naturalmente il ciglio del corpo frana e sarebbe defluita a valle in tempi e modi ignoti. I tecnici della Commissione avevano deciso che era meglio anticipare tale evento; in caso di catastrofica rottura della diga di terra e sassi almeno non ci sarebbero stati dei morti poiché la valle, nei luoghi della presunta esondazione, era stata preventivamente sgomberata.

 

Domenica 30 Agosto.

Si attendeva l’evento della tracimazione del lago. I tecnici che davano ordini, minuto per minuto, per invasare il grande lago avevano chiamato la delicata operazione ” tracimazione controllata”. Non era dunque la natura che dominava il momento della tracimazione dell’acqua, ma l’uomo stesso che in qualche modo lo anticipava e lo monitorava istante per istante.

 

Queste erano le teorie d’intervento fatte dai tecnici della Commissione Alti Rischi. I fatti poi avrebbero dato ragione o no alle ipotesi dell’uomo. Si aspettava l’evento alle nove del mattino.

 

A buon’ora l’acqua aveva già lambito la sommità del corpo frana, poi era defluita dal ciglio ed era stata guidata e incanalata con le ruspe nell’alveo preparato. Quella mattina la televisione nazionale trasmetteva l’evento in diretta in tutta Italia e tutti stavano a guardare con il fiato sospeso quel fiumiciattolo docile e scuro traboccato dal lago. L’acqua era avanzata timidamente tra terra e sassi senza forza e poco più in basso era scomparsa tra il pietrame. Il drago aveva sete; al pari d’una spugna il corpo frana assorbiva l’acqua tracimata. I minuti sembravano ore.

 

Il drago beveva e sembrava non voler mai colmare la sua arsura. Con il tempo l’acqua era ricomparsa poco più a valle e lentamente aveva formato una piccola pozza, poi una seconda più grande da cui era uscito un esile e insignificante ruscello che faticava a farsi strada tra i detriti.

 

Dov’era finita l’acqua della tracimazione ? I tecnici della Commissione erano preoccupati.

 

Fin dall’inizio della delicata operazione si era visto che gran parte dell’acqua immessa nel lago per effettuare la “ tracimazione controllata ”era stata inghiottita dal corpo frana. Di essa solo poca era avanzata nell’alveo artificiale e quella poca faticava nel suo cammino diventando limacciosa, densa di detriti; sembrava rifiutare l’invito nel proseguire a valle e riscoprire l’antico alveo presso il ponte del Diavolo, ora seppellito dall’enorme massa di terra e roccia.

 

I tecnici temevano che l’acqua infiltrata tra i sassi e il limo del corpo frana potesse fare da lubrificante e rendere instabile lo sbarramento; con la spinta dell’acqua del lago e con l’erosione dell’acqua della “ tracimazione controllata “ lo sbarramento poteva sfaldarsi da un momento all’altro. In tal caso sarebbe stata la catastrofe. Milioni di metri cubi di acqua e fango si sarebbero riversati in valle con effetti devastanti. Quella mattina del 30 d’agosto ero sfollato con la mia famiglia nella baita di Ronco, a 950 metri d’altitudine sopra Tirano e guardavo il fiume Adda.

 

Era stato detto dalla televisione e dai giornali che avremmo visto l’acqua della “tracimazione controllata “ scorrere nel fiume Adda nella mattinata e a Tirano si attendeva l’acqua verso le ore 11.

 

L’aspettavo! Laggiù l’acqua dell’Adda però era poca; appariva un rigagnolo tra i sassi e non era scura. Non poteva essere quella della “ tracimazione controllata”!

 

Tirano era una città morta, laggiù le case sembravano tombe d’un cimitero . Attonito, impaurito, guardai i monti e la Basilica di Madonna di Tirano. In quel silenzio irreale, ogni tanto si sentivano i tocchi dell’orologio del campanile della chiesa di S. Martino; quei tocchi assomigliavano ai botti da morto. Tutto laggiù mi sembrava in pericolo; guardai la millenaria chiesa di S. Perpetua, che antica e solitaria, bianca tra le scure rocce, sembrava già conoscere questi tristi eventi in valle. Il piccolo campanile a picco sopra lo sperone roccioso si ergeva a guardiano inquieto e timoroso, pronto a suonare la campana a martello per avvisare del pericolo incombente.

 

(Continua)

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI