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Trenord: Atto II

CRONACA - 24 11 2019 - Stefano Ferrari

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E’ sabato 23 novembre 2019 e io arrivo alla stazione centrale di Milano intorno alle 17.30, con un anticipo inusuale per le mie abitudini, visto che il treno regionale che ho previsto di prendere parte alle 18.20, direzione Tirano. Quando arrivo ai binari vedo che il treno delle 17.20 per Sondrio è ancora fermo, ha 30 minuti di ritardo si legge sulla bacheca. "Che fortuna..." penso; è tutto il giorno che cammino sotto la pioggia e ho voglia di sedermi subito al caldo. "Magari a Sondrio trovo un passaggio in macchina per Tirano, senza dover aspettare il collegamento successivo" penso portandomi alle carrozze, ma poi ne supero una, due, tre e noto che sono tutte chiuse, le luci spente. Passano quindici minuti e nulla accade: "Verrà soppresso" penso, ma continuo comunque a tenerlo d'occhio: "E se invece partisse con ulteriore ritardo, facendo ritardare il treno delle 18.20?

 

Passano altri quindici minuti, l'istinto mi dice che il treno per Sondrio non partirà più. "Tanto vale sedersi da qualche parte”, mi dico, aspettando che la bacheca elettronica comunichi il binario del treno delle 18.20. Sono circa le 18.00 adesso e più di un centinaio di persone è col naso all'insù aspettando il fatidico numero; i "posti a sedere" accanto ai binari sono invece tutti occupati. Sono però fortunato perché all’improvviso una persona si “alza” e prendo a sedermi anch'io sotto gli schermi delle pubblicità, dove ogni 30 secondi un “simpatico” spot mi informa che “un’ansia su tre è disoccupata e depressa/che sempre meno ansie trovano lavoro/e che il responsabile è uno solo: Valeriana system, che liquida l’ansia in un attimo”.

 

Sfortunatamente per il bilancio della casa farmaceutica non ho problemi di ansia: sono circa le 18.15 e il mio battito cardiaco è regolare come al solito, nonostante mi sia chiaro che il treno partirà in ritardo, visto che mancano 5 minuti alla partenza prevista e il binario non è ancora stato comunicato. Infatti, pochi minuti dopo, sulla bacheca elettronica compare il ritardo: 25 minuti. Binario: ancora sconosciuto. Prima sbuffo, poi penso positivamente: "Vuol dire che il treno partito da Tirano è ormai vicino a Milano, che grossi problemi non ci sono, né sulla linea, né sul convoglio." Passano infatti 15 minuti e decine e decine di persone smettono di fissare inutilmente la bacheca e si portano a passo spedito verso il binario n.7: seguo subito anch’io quel primo sciame e quando mi infilo sulla terza carrozza, vedendo diversi posti liberi, mi compiaccio per la prestazione. Poi mi guardo in giro, e noto che accanto a me, sull’altro lato della carrozza, ci sono due signore dai lineamenti asiatici intorno alla sessantina: com'è possibile che nonostante lo scatto quasi immediato e il mio passo frettoloso mi abbiano battuto?

 

- Questo treno va a Tirano? - domando a loro, perché adesso dentro di me si è intrufolato il dubbio di aver preso una “cantonata” nel seguire alla cieca quelle persone.
- È treno appena arrivato da Tirano" mi risponde una di loro, e scrolla le spalle per sottintendere che molto probabilmente sarà quindi anche quello che ripartirà per Tirano. Il ragionamento non fa una piega ma il fatto che a farlo sia una donna di sessant’anni che parla l'italiano con un po’ di fatica mi fa sorridere: ha già appreso tutto del nostro sistema di trasporti locali – dove la “previsione” del binario di partenza è essenziale per trovare un posto a sedere, evitando di farsi l’ora di viaggio fino a Lecco in piedi.

 

Passano infatti cinque minuti e la carrozza è già piena; tre ragazze hanno trovato posto proprio accanto a me, parlano di università, una di loro si mette a fare una chiamata e improvvisamente dice al suo interlocutore: - Sono sul treno delle 19.20.
Corrugo la fronte: - Scusate, ma questo non è il treno delle 18.20 che era in ritardo?
- No, questo è il treno delle 19.20 – mi rispondono.
Penso: "Avranno deciso di sopprimere anche il treno delle 18.20 accorpando tutti su quello successivo.” Sbuffo: questo significa che arriverò con un'ora di ritardo a Tirano, invece dei 25 minuti già contemplati. Poi chiudo gli occhi e cerco di schiacciare un pisolino. Ma ecco che intorno alle 19.05 un annuncio sul treno mi sveglia: stanno comunicando che il regionale delle 18.20 sta per partire dal binario 11, e che il treno in cui siamo saliti partirà comunque puntuale alle 19.20.

 

Nella mia carrozza molti si alzano, prendono borse e valige e scendono dal treno mettendosi a correre lungo il binario. Le tre ragazze davanti a me sono rimaste invece sedute, come pure le due signore asiatiche:
- Per pochi minuti, tanto vale rimanere qui – si dicono le ragazze, discutendo tra di loro.
La loro ingenuità mi fa sorridere. Poi mi sento in dovere di intervenire, di sfoggiare la mia ventennale esperienza su questa tratta, non senza un briciolo di compiacimento:
- Se l'altro treno parte fra pochi minuti – dico – significa che questo treno non partirà mai puntuale. La linea è infatti a binario unico. E poi perché fare quell’annuncio?

 

C'è molta confusione adesso: tutti discutono sul da farsi e sebbene molte persone stiano lasciando il treno, molte altre invece ci stanno salendo. Anch’io sono indeciso su come comportarmi: mi affaccio alle porte del treno e quando per la prima volta vedo qualcuno con la giacca Trenord, decido di andare a confrontarmi con lui.
- Ragazze, mi fate la cortesia di tenermi il posto? – dico, decidendo, per istinto, di prendere con me già lo zaino e la borsa. Quando arrivo davanti all’addetto Trenord devo aspettare diversi secondi prima di avere la sua attenzione: sta infatti parlando al telefonino e nello stesso momento “destreggiandosi” con altri passeggeri disorientati. Guardo il suo viso giovanile, sbarbato e leggermente deformato dallo stress, poi arriva il momento di confidargli il mio ragionamento: con la mimica del volto sembra dirmi “beh, è chiaro”, aggiungendo a conferma di tutto: - Sbrigati! L’altro treno sta partendo!

 

Così corro anch’io al binario 11, salgo sulla prima carrozza e con una piccola nota di disappunto constato il declassamento che ho accettato: le carrozze sono del tipo “vecchio”, quelle che generalmente vengono utilizzate nelle tratte brevi “per studenti”: il finestrino è appannato, alcune scritte coprono in parte la visuale. Ho trovato posto vicino ad un signore così tranquillo e rilassato da farmi presumere che non abbia fatto la mia stessa corsa; sistemo lo zaino nel portabagagli sopra di me e poi penso alle tre ragazze: “Mi staranno ancora tenendo il posto?”. Un po’ mi dispiace non essere tornato indietro ad avvisarle, ma la paura di perdere il treno in partenza ha vinto sul senso di solidarietà. ”D’altronde è tutta esperienza, perderanno la loro ingenuità.”

 

Intanto però è passato un minuto, forse due, e il treno ancora non si muove. Quando passano altri due, tre minuti, nuovi dubbi iniziano ad assalirmi finché, all’improvviso, dal finestrino noto che decine e decine di persone stanno lasciando il treno. Passa un minuto, forse meno, e vedo un altro addetto Trenord venire nella mia direzione.
- Parte prima il treno sul binario 7, quelle delle 19.20 – sta dicendo a tutti. Probabilmente ha attraversato tutto il treno prima di arrivare da me, e probabilmente è stato costretto a farlo perché gli autoparlanti sulle carrozze “vecchie” non ci sono o non funzionano.

 

Io non so più cosa fare, allargo le braccia sconsolato. Poi riprendo zaino e borse e scendo nuovamente dal treno: faccio in tempo a fare pochi passi e vedo che l’addetto che mi ha informato del “cambio programma” sta discutendo vivacemente con un altro collega; altre persone gli stanno attorno e quello che improvvisamente sento dirgli è: - Il treno delle 19.20 è appena partito.
Sono sbalordito. La tensione sale; molte persone che si erano già riportate al binario 7 adesso stanno tornando indietro, “imbufalite”. Accerchiano l’addetto Trenord ed iniziano ad inveirgli contro; lui cerca di calmarle promettendo che il treno partirà fra dieci minuti, – Fra dieci minuti parte – continua a ripetere, cercando di districarsi tra quei volti deformati dalla rabbia.

 

Anche lui è chiaramente sotto stress: sa, non può non sapere, che se questo treno non partirà al più presto sarà costretto a scappare via per evitare di essere “linciato”.
Adesso una donna gli sta urlando addosso tutti i suoi problemi, in una crisi isterica che sembra non finire mai. “Non vorrei proprio trovarmi nei sui panni” penso, ammirando come quell’uomo riesca a fronteggiare questa situazione con polso, senza reagire a tutti gli insulti che sta ricevendo: ed è talmente in gamba che in pochi minuti riesce a convincere tutti a salire sul treno.
Riprendo posto accanto al signore di prima; è al telefonino e con una tranquillità “zen” si è messo a raccontare quanto sta succedendo, aggiungendo in chiusura del racconto: - Siamo al paradosso, al parossismo.

 

Il treno poi finalmente parte, intorno alle 19.30, e per me è quasi una sorpresa. Chiaramente quando arriviamo a Lecco ha già accumulato dell’ulteriore ritardo; i più scendono, come al solito, e mentre costeggiamo il "lago del Manzoni" ci sono più posti vuoti che occupati. Nessuno è ancora venuto a chiedermi il biglietto, e l’unico passaggio di un addetto Trenord avverrà solo mezz'ora dopo, quando stiamo già percorrendo la Valtellina: - Qualcuno deve proseguire per Bormio? – domanda a tutti.
Una ragazza sulla mia carrozza dice che deve andare a Cepina. L'addetto la informa che adesso chiamerà il collega sull’altro treno, che chiederà alla compagnia di autobus di “aspettarci”; ma siccome il collegamento bus tra Tirano e Bormio non è ad appannaggio di Trenord, non può promettere nulla - dice.

 

Poi nessuno di Trenord si fa più vedere, e un uomo ne approfitta per fumarsi una sigaretta. Parla un inglese che sembra inventato, a volte urla, e non capisco se stia parlando con qualcuno o da solo: in ogni caso decido di cambiare carrozza, visto che sono già piuttosto stanco.
Il treno arriva a Tirano intorno alle 23.20. Piove ancora e mentre scendo dal treno scopro di aver dimenticato il mio ombrellino nel trasbordo. Comunque non c'è da preoccuparsi: è l’ombrellino numero 234 che perdo e non ci ero granché affezionato visto che l'avevo comprato solo poche ore prima.

 

Stefano Ferrari

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