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12^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 26 05 2017 - Méngu

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/Valdisotto, Le contrade di Tirindrè e Aquilone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1Parte 2Parte 3Parte 4Parte 5Parte 6Parte 7, Parte 8, Parte 9, Parte 10, Parte 11

 

Il monte Zandila era intatto come la natura l’aveva fatto, incontaminato e con i magnifici boschi d’abete; il fondovalle, prima dell’alluvione , sembrava un mondo incantato da fiaba, tutto era stato rispettato per secoli.

Salendo la valle, poco a monte del Ponte del Diavolo a 1198 m. di altitudine, sorgeva sul pendio e in una panoramica posizione la chiesa di S. Martino di Serravalle. Era una delle più belle e antiche chiese della Valtellina, costruita tra il VII e IX secolo e sorta su un insediamento umano preistorico del secolo V-VI avanti cristo.

 

Accanto alla chiesa v’erano “ I bait del Boscàl “, antiche case contadine costruite in un ameno paesaggio di verdi e pianeggianti prati.

Un tempo la contrada era abitata tutto l’anno.

Sull’altro versante opposto, proprio sul pendio dal quale si è staccata la maledetta frana, v’era la località “ Le Plegne” “ Orcaccia” e poco più in basso “I Plaz e ‘l Solck”  .

 

Quelle baite con quei prati declinanti strappati dalla fatica dell’uomo alla montagna, formavano tra gli abeti secolari un incantevole quadro alpino.

Passato il Ponte del Diavolo, il primo borgo che si incontrava salendo la valle dalla statale dello Stelvio era la contrada di Morignone ( Berignon ) a 1062 m. di altitudine.

Era abitato da 37 famiglie con un totale di 93 anime.

Da qui partiva la mulattiera per S. Martino di Serravalle, un borgo antichissimo che distava circa un chilometro da S. Antonio (Streita).

 

Sul dosso della montagna il campanile di S. Bartolomeo era a sentinella della borgata da tempo immemorabile.

La cascata di Fulian dava un tocco di fiaba al paesaggio.

L’Adda scorreva docile a lato sul versante destro orografico della piana prativa di Morignone ed era contornata da una corona d’alberi tali da nasconderla in tempi sereni.

Più su, lasciato Morignone, subito appariva  la piana di S. Antonio situato a 1071 m.di altitudine. Il paese era attraversato dalla strada statale.

 

Le prime case della “ Streita “ con l’albergo Camoscio  davano il benvenuto. Il colorato e snello campanile della Chiesa Parrocchiale dedicata a S. Antonio da Padova, alto trenta metri, si ergeva accanto all’abside della chiesa e al piccolo ossario a guardiano del paese. Gli faceva da corona tutt’intorno un bel gruppo di case con la scuola elementare, la casa parrocchiale , il cimitero, la cooperativa confezioni. Da qui partiva la strada, che tra splendidi abeti, conduceva a S. Bartolomeo.

Nel borgo abitavano 53 famiglie per un totale di 161 anime.

Sul lato opposto, vi era la contrada di Poz.

 

Il gruppetto di case situato sulla destra orografica a 1061 m. di altitudine era adagiato sotto la montagna franata ed era raggiungibile tramite una strada che attraversava la piana di S.Antonio scavalcando l’Adda con un esile ponte; vi abitavano 18 famiglie  per un totale di 63 anime .

 

Dalla borgata di Poz una stradina conduceva alla contrada di Tirindrè poco più a monte; vi abitavano 13 famiglie per un totale di 35 anime.

Sopra il borgo di S. Antonio, sulla statale,  si incontra la contrada di Aquilone ( Culïon) a 1094 m. di altitudine dove il soffio assassino della frana ha fatto vittime e distrutto alcune case; vi abitavano 26 famiglie per un totale di 53 anime.

 

Il monte Zandila però era malato, le sue antiche crepe lo stavano a dimostrare; ora, dopo l’alluvione, i suoi mali si erano aggravati e da un momento all’altro poteva staccarsi una frana di alcuni milioni di metri cubi di roccia e sassi.

Lo dissero i geologi guardando le fenditure che si erano aperte nel terreno sotto i “ Crap del Solk “ .

Povera gente ! Era laggiù nel fondovalle indaffarata a salvare le sue cose e un'altra spaventosa tragedia incombeva sui suoi paesi.

 

Quella spaccatura sul monte Zandila era lunga più di cento metri e larga più di venti, il terreno era pregno d’acqua ; non si poteva rischiare, occorreva subito sgomberare la valle lì sotto.

Il 26 di luglio milleduecento persone furono evacuate da Mondadizza, Le Prese, Verzedo , Morignone, S. Antonio Morignone.

 

I geologi conoscevano bene la Valtellina. L’avevano studiata a fondo quando avevano costruito le grandi dighe per la produzione di energia elettrica, sapevano che era soggetta a frane talvolta prevedibili, talvolta imprevedibili senza segni premonitori, conoscevano bene le enormi frane preistoriche cadute con il ritiro lento dei ghiacciai che avevano cambiato l’aspetto di queste valli. I grandi conoidi di detriti depositati allo sbocco delle valli laterali erano la conseguenza antica di frane e alluvioni.

 

Grandi laghi come quello di Poschiavo erano nati perché il fiume nel fondo valle era stato sbarrato da frane.

Questi grandiosi fenomeni, che a noi appaiono catastrofi , visti nella storia della valle non sono poi tanti rari.

Ora anche il monte Zandila stava cercando il suo equilibrio a danno della valle sottostante, l’antica frana post-glaciale era già conosciuta da tempo, ma non aveva dato segni premonitori e nessuno poteva prevedere un evento di simile portata.

 

Martedì mattina 28 luglio ore 7,23.

Quaranta milioni di metri cubi di terra, fango, sassi, alberi precipitarono in meno di 30 secondi a 200 chilometri l’ora sulla valle sotterrando Morignone, S. Antonio Morignone, Poz, Tirindré, S. Martino Serravalle e con lo spostamento d’aria distrussero l’abitato di Aquilone.

La frana risalì sul lato opposto della montagna per 250 metri in altezza, invadendo la valle a sud fino al ponte del Diavolo e provocando uno sbarramento in valle.

 

Di questi paesi solo Aquilone non era stato evacuato; nessuno pensava che la frana potesse essere tanto imponente e giungere a tanto con il suo carico di morte; sette operai che stavano lavorando lì sotto per recuperare macchinari e materiali e per cercare di far defluire le acqua dalle case allagate di Morignone furono seppelliti. Al Centro Sismologico dell’Università di Pisa fu registrata un’onda sismica del quarto grado della scala Mercalli.

 

Ecco come successe.

Quella mattina del giorno 28, prima che cadesse la frana, alcuni uomini a S. Bartolomeo avevano visto il monte Zandila che continuamente scaricava del materiale.

Il drago si stava risvegliando; gli operai che lavoravano in valle avevano avuto la sensazione che qualcosa di grosso dovesse succedere.

Il monte sembrava sbuffare e continue scariche di sassi or qua ora là precipitavano a valle.

 

La frana di Val Pola

Piovve,

fortissimamente piovve.

Dal giorno di triste presagio,

per tre giorni piovve.

Beve, la val Pola,

l’acque tumultuose

delle cime dello Zandila,

le ingoia tra gli anfratti

rocciosi dell’antica frana.

Il suo fardello d’acque è pesante

e più non lo regge.

Un boato !

Ogni pietra è scossa,

vibrano gli abeti,

 chinando le cime

come uomo che muore.

L’onda pietrosa s’ abbatte

sui placidi borghi

e sui sette eroi nella valle allagata.

Non sazia

risale sul monte di fronte

come acqua scossa

nel catino

e il soffio mortale invade Aquilone.

S’alza la polvere

tra cupi rimbombi

e poi lenta svanisce alta nel cielo.

Appare la valle!

Gridano da S. Bartolomeo:

“Sepolti ! I nostri amici sono stati sepolti!

Le nostre case sono state sepolte !”

Da Aquilone sale un pianto di bimbi.

 

(Continua… )

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1 COMMENTI

26 05 2017 15:05

Méngu

Oggi, sulle pagine di questo giornale appare un articolo di Bettini Giancarlo su Indro Montanelli che Tutti, ma proprio Tutti devono leggere poiché il prestigio, la serietà, la coerenza dei Valtellinesi è stata descritta in modo lapidario dal grande giornalista , animo schietto, indomabile e fiero. *** Titolo : “Vittorio Feltri, Eugenio Scalfari, Camilla Cederna: “Il Giornale nuovo” dell’amato Montanelli” *** Condivido il Tuo articolo , caro Giancarlo, e penso che molti Valtellinesi con i capelli ormai bianchi abbiano un caro ricordo del grande giornalista Indro Montanelli. Cito quello che scrisse in un suo memorabile articolo di fondo , il 24 luglio sul “ Giornale nuovo “ di Milano, riguardo noi Valtellinesi quando vi fu la disastrosa Alluvione del ’87. “Stanziamo i soldi, ma diamoli ai valtellinesi. Sono gli unici che sanno come spenderli per le loro valli e che forniscono garanzia di non rubarli. E’ gente che merita, come a suo tempo la meritarono i friulani, la nostra fiducia. Il coraggio, la compostezza, la misura, la dignità con cui hanno saputo reagire alla catastrofe, sono, o dovrebbero essere, un esempio per tutti. Ieri, davanti allo spettacolo che la televisione ancora una volta ci proponeva di quei costoni mangiati dalla frana, di quegli squarci aperti dai torrenti impazziti nella carne viva della terra, di quei desolati sudari di fango, mi è venuto fatto di pensare quanto ci piacerebbe sentirci italiani se l’Italia fosse, anche sommersa, tutta Valtellina “