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14^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 09 06 2017 - Mèngu

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/lago s antonio morinone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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S. Bartolomeo con gli uomini di vedetta, per la sua caratteristica posizione sopraelevata e posta dietro lo sperone roccioso, fu salva. Da lassù, quando il finimondo cessò e il gran polverone si dissolse, gli uomini di guardia poterono dare l’allarme. Essi furono i primi a vedere l’immane disastro, i loro bei paesi non c’erano più. Videro al loro posto una distesa di sassi, alberi spezzati, videro che la frana aveva raggiunto anche le case di Aquilone e tra le poche case rimaste in piedi la gente che correva qua e là barcollante e ferita a cercar soccorso. Capirono che a Aquilone era successo una tremenda disgrazia per la popolazione.

 

Subito il loro pensiero andò agli operai che erano in valle a lavorare. “Sepolti ! Sono stati sepolti !” Gridò un uomo con le mani nei capelli diventati grigi di colpo per lo spavento.

 

Poco dopo, scesa la prima grande frana, un’altra ne seguì ma di minor consistenza, poi scesero ancora continue scariche di sassi. Il drago continuava a scaricare la sua rabbia in valle.

 

Alle 8,50, dopo poco più d’un ora che la frana era caduta, gli elicotteri erano già a S. Bartolomeo e a Aquilone a prestare soccorso alla popolazione.

Desolazione infinita! La Valdisotto aveva cambiato volto: la valle era spezzata in due.

 

Sulla Val Pola si era aperta una enorme bianca ferita e la valle appariva chiusa da un tappo grigio e fangoso che si dilungava a dismisura fino sopra Le Prese, la polvere della frana era arrivata sino a Sondalo.

La notizia si sparse fulminea in valle, la gente rimase ammutolita, spaventata dall’orribile evento.

 

Alle 10,30 del mattino si poterono vedere le prime foto della frana. L’alluvione di alcuni giorni prima non era bastata, una nuova terribile sventura aveva colpito la Valdisotto.

Ma non bastava ancora ! L’immensa frana caduta aveva bloccato il corso dell’Adda e un lago si stava formando in quella zona desolata e di morte. La strada statale per tre chilometri e mezzo era stata sotterrata, la frana era risalita con una immensa ondata sul versante opposto fino a  S. Martino di Serravalle distruggendo l’abitato.

 

Subito la televisione annunciò il disastro.

Uscirono i giornali con titoli spaventosi “ Dopo l’inondazione gigantesca frana“, “Altri 29 morti- Valtellina senza pace“, “Si cercano i colpevoli“, “Requiem per Aquilone“. 

Povera valle: questa volta sembrava fosse veramente la fine!

 

No! Mai! Il mondo sappia che i Valtellinesi si piegano come i giunchi sotto la tempesta ma poi presto si raddrizzano e si rinvigoriscono più di prima! Lo avevano già dimostrato tante volte. L’ultima volta nelle frane di Tresenda nell’ ‘83.

Lo affermarono grandi scrittori come Indro Montanelli con il suo scritto “ Fosse tutta Valtellina “, poi Giorgio Bocca con  “ Valtellina Civile “.

Essi conoscevano bene la valle e l’operosità della gente.

 

Come durante l’alluvione dei giorni 17 e 18 luglio, parecchi giornalisti che non conoscevano a fondo la valle e i suoi valligiani riportarono false immagini e diedero allarmi inutili e spesso dannosi.

Certo! Un terribile altro colpo era stato inferto alla Valtellina, ma la valle, sebbene ferita, non era distrutta.

 

Anzi, quel colpo terribile inferto dal monte Zandila aveva fatto nascere in tutti i valligiani un vincolo di solidarietà mai visto prima. Quella ferita ormai era di tutti, era un pezzo di cuore lacerato in ogni persona e una pietà profonda univa tutta la gente. Impotenti sì, davanti a questa grande calamità, ma non sconfitti. Sconvolti ma non rassegnati, stanchi per le sventure, ma non sconsolati e abbandonati.

 

Indro Montanelli scriveva:“ Ieri, davanti allo spettacolo che la televisione ancora una volta ci proponeva di quei costoni mangiati dalla frana, di quegli squarci aperti dai torrenti impazziti nella carne viva della terra, di quei desolati sudari di fango, mi è venuto fatto di pensare quanto ci piacerebbe sentirci italiani se l’Italia fosse, anche se sommersa, tutta Valtellina“.

 

Il lago di S. Antonio Morignone

Cade la frana e la piana

prativa d’un tempo

diviene acquitrino.

Ora è lorda palude

d’alberi spezzati,

intrisa di brandelli

di cari ricordi.

Il lago, verdastro coperchio

di morte tra rocce lisciate

dalla frana assassina,

sale e ingoia Aquilone.

Dal fondo del lago

salgono botti da morto,

l’acqua si increspa

chiamando a raccolta

i tremuli vivi.

Il lago è un Drago

che incute paura,

colmo d’ira

si appresta

a tracimare in valle

portando rovina.

 

Giorgio Bocca scriveva: “A volte mi chiedo: ma questa Valtellina io l’amo per come è o per come la ricordo negli anni migliori e irripetibili della mia vita? La amo perché è bella, civile, unica, anche oggi nell’ora della sua sfortuna... ”  e poi ancora “… mi hanno dato grandissimo fastidio nei giorni dell’alluvione e della frana sentir parlare a vanvera gente che questa valle non sa cosa sia. Il giornalismo italiano non sarà colpevole di tutti i misfatti  che gli hanno attribuito alcuni Valtellinesi esasperati, ma certo non ha dato nell’occasione buona prova di sé. Imprecisioni continue: i paesi alti come Sondalo, come Ponte, come Teglio inclusi nella mappa dell’evacuazione, discorsi sull’agriturismo e sulla lottizzazione della montagna mentre dagli stessi teleschermi risultava nelle zone colpite la mancanza totale di case e strade. Certo non tutti possono distinguere la Valtellina dalla valle di Bormio come scrive un lettore Valtellinese, ma sapere che a S. Antonio Morignone, dove è crollato il monte, la natura era intatta e come tale ha fatto di testa sua a questo almeno ci si poteva arrivare”.

 

Parole sante !

 

(Continua… )

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