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15^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 16 06 2017 - Méngu

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/lago san antonio morinone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Nel pomeriggio del 28 i geologi ispezionarono la frana tra  continui rilasci di materiale e sinistri boati; nel pomeriggio del giorno dopo scoprirono un’altra frana di minori dimensioni a monte dove erano le case di S. Antonio Morignone.

 

La Prefettura di Sondrio, quale misura precauzionale ordinò l’evacuazione totale della zona compresa tra Verzedo e Le Prese. Da quel momento la zona verrà interdetta a tutti.

 

Ma un grande e reale pericolo ora si era aggiunto: quello del lago che si stava formando a causa dello sbarramento della frana. Il lago cresceva alimentato dalle acque dell’Adda di 20 centimetri l’ora.

 

Il ministro Zamberletti aveva prontamente istituito la Commissione Tecnica Valtellina composta da 11 valenti e illustri  personaggi quali il Prof. Ugo Maione e Pietro Lunardi, esperti in Grandi Rischi, altri in catastrofi idrogeologiche, lavori pubblici e in igiene e medicina allo scopo di far fronte ai problemi tecnici dell’ emergenza in valle e della frana.

 

Nel frattempo le cose al governo erano cambiate.

Goria, presidente del Consiglio dei Ministri, aveva presentato al Presidente della repubblica Cossiga il nuovo ministro della protezione civile Remo Gaspari. Aveva messo da parte il Ministro Zamberletti che durante i giorni dell’alluvione si era prodigato in aiuto della popolazione valtellinese con tutte le sue forze.

I Valtellinesi erano costernati, ammutoliti.

 

Ma come era possibile? Si era in piena emergenza e il ministro Zamberletti aveva già chiara tutta la situazione della valle, aveva dimostrato competenza, rapidità nelle decisioni durante le prime fasi dell’emergenza. Che bisogno c’era di cambiare il ministro?  Forse gli interessi della politica e di partito contavano più dei morti in valle, dei gravissimi danni dell’alluvione e delle frane? Non si poteva perdere del tempo in discussioni e in avvicendamenti di politici, si dovevano prendere delle risoluzioni importantissime, vitali per la valle. Le questioni politiche potevano essere risolte dopo l’emergenza Valtellina.

 

Tra discussioni, la Commissione Grandi Rischi continuava il suo lavoro e il ministro Zamberletti, pur sapendo d’essere stato sostituito, rimase al suo posto per dirigere l’emergenza con grande professionalità e impegno fino a quando il nuovo ministro potesse prendere visione del disastro.

La Commissione Grandi Rischi prese la decisione.

 

Il lago era una grandissima minaccia per la valle: andava eliminato; per eliminarlo però occorreva prosciugarlo, occorreva pompare l’acqua dal lago e rigettarla a valle del corpo frana. Non bastava. Occorreva anche costruire un by-pass , ovvero costruire una galleria a lato del corpo frana in modo tale che l’acqua del fiume Adda defluisse a valle superando lo sbarramento e rendendo così il grande invaso una piccola pozza d’acqua insignificante.

 

Ci voleva però del tempo e per questo occorreva incominciare subito.

Per lo svuotamento del lago occorreva subito un progetto di massima e nel frattempo occorreva anche consolidare lo sbarramento del corpo frana che aveva formato il lago e contemporaneamente abbassarne la quota .

 

Nessuno sapeva la consistenza e la tenuta dello sbarramento. S’era visto che era formato da massi, limo e da una grande quantità di alberi trascinati a valle dalla frana. L’acqua del lago crescendo, con la sua spinta, avrebbe potuto causarne la rottura improvvisa.

 

Il 31 luglio il ministro Remo Gaspari che aveva preso il posto di Zamberletti, non senza qualche polemica,  visitava la Valtellina alluvionata per rendersi conto di persona della situazione, per valutare i danni e per stabilire l’entità degli interventi immediati e il da farsi .

Insieme al ministro giunsero in valle altre delegazioni per interessarsi a fondo del “ problema della Valtellina”.

 

Questa volta tutti temevano che la stagione turistica in valle fosse ormai compromessa. Per raggiungere Bormio occorreva fare un lungo giro di cinque ore attraverso la Svizzera scendendo dal passo del Foscagno.

Il lago continuava a crescere alimentato dalla portata dell’Adda, anche se per alcuni giorni non era piovuto.

 

Giunse poi un altro allarme.

Nuove ispezioni sul corpo franoso del monte Zandila avevano rivelato che una nuova frana incombeva sul lago. Se fosse caduta poteva avere l’effetto Vajont . L’acqua poteva invadere con una ondata la zona di Cepina e distruggere case, seminare ancora morte.

Non si dovevano rischiare altre vite umane.

 

Il 4 agosto la Protezione Civile decise di evacuare gli abitanti di Valdisotto: 1200 persone che abitavano a monte dell’invaso lasciarono le loro case .

Non pioveva ancora, ma le acque dell’Adda che portavano circa cinque metri cubi al secondo facevano aumentare l’acqua del lago continuamente .

 

La paura del lago era grande in valle . Tutti si rendevano conto che, con la rottura dello sbarramento, le acque del lago e la grande quantità di materiale trascinato riversandosi in valle potevano distruggere paesi interi.

 

Il 6 agosto il Presidente della Repubblica Cossiga fece visita in Valtellina.

Il 7 agosto il Consiglio dei Ministri stanziò 130 miliardi di lire per far fronte alla emergenza.

L’8 agosto i primi risultati: si chiese alla Società Condotte D’Acqua di presentare il progetto di massima dell’impianto di pompaggio con idrovore per lo svuotamento del lago e il relativo costo.

 

Occorreva lavorare in sicurezza sul corpo frana.

Si installò un sistema di monitoraggio della zona instabile della frana, furono posati i distanziometri laser per poter leggere anche i  più leggeri movimenti franosi e furono posati teleidrometri e telepluviometri per la misura e la trasmissione a distanza dei dati idrometrici e pluviometrici.

 

In quei giorni i tecnici della Aem vennero incaricati dalla Protezione Civile di misurare il volume dell’acqua contenuta nel lago che continuava ad aumentare inghiottendo le case di Aquilone, prati e boschi. Contemporaneamente il ministro Gaspari con i tecnici della Commissione Valtellina discuteva del progetto che la Società Condotte D’Acqua doveva presentare in tempi brevissimi per svuotare il lago di S. Antonio.

 

Dopo pochi giorni, visto il progetto di massima, la Regione Lombardia dava l’incarico di redigere entro sette giorni il progetto esecutivo alla Società Condotte D’Acqua.

Ora il Ministro Gaspari e la Commissione Valtellina si davano un gran da fare, il lavoro era frenetico e non c’era un minuto da perdere.

 

Il 10 agosto il lago conteneva  3 milioni di metri cubi di acqua.

L’11 agosto giunse in valle il presidente del Consiglio Giovanni Goria; visitò Bormio e vide la nostra bella valle. Se la prese con i giornalisti poiché avevano dato agli eventi dell’alluvione una impronta troppo marcata e tornò a Roma.

 

(Continua… )

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