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16^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 23 06 2017 - Méngu

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/lago san antonio morinone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Era agosto, tempo di ferie.

Ognuno stanco del proprio lavoro e delle proprie vicissitudini aveva diritto al sacrosanto riposo; ma il tempo non guarda in faccia nessuno, nemmeno la stanchezza dei politici.

 

Il giorno 17 la Società Condotte D’Acqua presentava il progetto esecutivo per il pompaggio dell’acqua del lago di Val Pola.

Nel giorno 18 la Commissione Valtellina lo visionò e l’approvò e nel giorno 19 alla Società Condotte vennero commissionati i lavori di pompaggio delle acque del lago; l’impianto avrebbe pompato cinque metri cubi al secondo.

Nel frattempo la Commissione tecnica decise di attuare un altro sistema di pompaggio della  portata di due metri cubi e mezzo al secondo e incaricò la Snamprogetti per l’attuazione.

 

Intanto che il lago continuava a gonfiarsi tra rumori sinistri, una flotta di elicotteri solcava il cielo. Solo l’elicottero permetteva di mettere in salvo le persone e di assicurare il rifornimento alle migliaia di sfollati al riparo di alluvioni e frane; esso consentiva anche di svolgere un’ efficace opera di controllo e sorveglianza del territorio e di svolgere i primi lavori  di ripristino dei servizi essenziali nella valle.

 

L’elicottero è come una libellula. Si alza velocemente nel cielo e si appoggia su terreni anche accidentati; è il mezzo migliore per portare un soccorso immediato alle persone colpite da sventura.

In quei giorni i cieli erano percorsi ad ogni ora del giorno  da ogni tipo di  elicottero. Dai grandi CH-47 Chinook dell’Esercito fino alla “ libellula della Valle “ : il Lama dell’Aerospatiale , pronto,  agile e che letteralmente schizza nei cieli.

 

Intanto il monte Zandila non aveva mai cessato di scaricare piccole frane: lavorare lì sotto era troppo pericoloso. C’era il ricordo dei sette morti.

Occorreva anche consolidare il piede della frana assolutamente in breve tempo, poiché l’acqua del lago saliva continuamente.

 

I temporali d’agosto e la piogge di settembre erano una grandissima minaccia, perciò si studiarono i grafici delle piogge negli ultimi venti anni per conoscere la quantità d’acqua che sarebbe caduta mediamente in quei mesi.

Qualcuno programmò anche i tempi di svuotamento del lago: doveva essere vuoto prima del 19 settembre; le idrovore dovevano prosciugare il lago entro tale data.

Ma per eliminare il pericolo del lago non era sufficiente svuotarlo , occorreva costruire subito anche la galleria che potesse fare da by-passs alle acqua dell’Adda superando il  corpo frana.

In questo gran daffare anche Bormio non era stata dimenticata: una strada doveva essere fatta, anche provvisoriamente, per il collegamento con il resto della valle.

 

Il 24 agosto iniziano i temporali.

I valtellinesi che erano andati in ferie fuori della Valle erano ormai tutti rientrati. Ancora non sapevano che molti di loro avrebbero dovuto abbandonare le loro case controvoglia.

Intanto in valle non si era mai smesso di lavorare. Con il fango alle ginocchia, gli operai erano al lavoro con i loro padroni per ripristinare i macchinari alluvionati. L’attività lavorativa era quasi bloccata e si doveva riprendere al più presto il lavoro.

Altri uomini con possenti ruspe stavano pulendo i letti dei fiumi invasi dal pietrisco, altri ancora stavano ripristinando gli argini degli alvei dei torrenti.

L’acqua doveva trovare il suo spazio senza causare ulteriori danni; quei temporali d’agosto incutevano paura.

I vecchi facevano la loro parte pregando!

La sera la gente , stanca, sfinita guardava la televisione solo per vedere le previsioni del tempo.

Ma altri operai, forse non eroi, ma certamente uomini valorosi, erano lassù sul corpo frana con le ruspe che lavoravano incuranti degli sbuffi di pietra del monte Zandila.

 

Il  24 d’agosto piovve a dirotto; i temporali si susseguirono l’un dopo l’altro. Il Frodolfo portava il suo carico nell’Adda e l’Adda a Valdisotto era grossa, la sua portata era arrivata a quaranta metri cubi al secondo:

il lago di S. Antonio aumentava a vista d’occhio.

Che fare? Le pompe per aspirare l’acqua del lago ancora non c’erano; per la galleria di by-pass occorreva tempo.

Nessuno aveva la bacchetta magica, ma si sapeva che presto con la pioggia insistente il lago sarebbe tracimato; si temeva che l’acqua sfondasse la diga come nella maggior parte dei casi capitati nelle storiche frane che avevano formato dei laghi.

Nell’ottanta per cento dei casi simili, l’acqua tracimando aveva eroso il corpo frana e si era riversata a valle in modo rovinoso.

Si erano fatte delle simulazioni; si era studiata la tenuta del corpo frana del lago di S.Antonio con dei modelli in scala ridotta e con il massimo invaso a 1100 m. sul livello del mare; si erano visti gli effetti sulla valle nel caso che il corpo frana fosse collassato, si era verificato anche l’effetto Vajont nel caso che l’altra grandiosa frana che ancora incombeva dal monte Zandila si fosse abbattuta nel lago.

Dalle prove fatte sul modello si era visto che v’erano delle buone probabilità che il corpo frana avrebbe retto , però esisteva sempre l’imponderabile; ben si ricordavano i casi della frana di Piuro e di quella di Sernio quando lo sbarramento alle acque aveva ceduto.

La gente temeva il peggio.

 

Dopo i violenti rovesci del  24 agosto, l’Adda e il Mallero si erano di nuovo ingrossati e avevano seminato di nuovo impotenza e paura. Il Frodolfo era di nuovo diventato limaccioso e turgido.

L’emissario del lago di S. Antonio da cinque metri cubi al secondo passò a cinquanta, poi raggiunse quasi i cento.

Pioggia, neve e ghiaccio e la temperatura insolitamente elevata si diedero ancora una volta la mano come un mese prima; il lago si innalzava di sessanta centimetri all’ora e la paura si diffondeva in valle.

La Commissione Grandi Rischi si riunì in gran fretta e alle due di mattina del 25 il Prefetto di Sondrio ordinava l’evacuazione dei diciotto comuni della zona a rischio; significava l’evacuazione di circa  20.000 abitanti.

 

Nel frattempo si ordinò anche la sospensione dei lavori per gli impianti di pompaggio.

L’evacuazione iniziò dall’alta valle. Prima toccò a Grosio, poi  a Grosotto sino ad arrivare a Tirano.

I volontari passavano di casa in casa. Dicevano alla gente con fare sommesso e   rispettoso : presto fate la valigia; c’è il pericolo che la diga del lago di S. Antonio ceda e l’acqua e il fango ci travolgano.

In quella tragica notte non era suonata nessuna sirena, non si era voluto aggiungere altra angoscia .

Erano interessati 18 comuni che avevano già redatto il loro piano di evacuazione; i tecnici avevano disegnato sulle carte planimetriche le zone interessate dall’eventuale catastrofica inondazione nel caso del cedimento del corpo frana del lago di S. Antonio .

 

Tutti quelli che dovevano lasciare le loro case, ordinatamente, seguirono rassegnati e preoccupati le disposizioni dei Comuni e della Prefettura; la gente si ritirò sulle baite di montagna, da amici, da parenti ; solo il venti per cento degli sfollati venne ospitato in alberghi o strutture pubbliche e solo alcuni vecchi fecero resistenza ai volontari della Protezione Civile: per loro era troppo dura andarsene. Avevano costruita la loro casa impastando sabbia e cemento, posando mattone su mattone il sabato e la domenica in tempi rubati al riposo, trascurando le loro famiglie. Era troppo tardi per loro ricominciare da capo, ma alla fine cedettero alle bonarie insistenze dei loro figli.

 

Al mattino i paesi del fondo valle erano deserti.

Gli uffici comunali e le Ussl vennero spostate in luoghi sicuri. I malati dell’ospedale di Tirano vennero trasferiti in quello di Sondalo.

L’evacuazione si era completata nei giorni 25 e 26 e gli sfollati furono quasi 27.000.

 

(Continua… )

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