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17^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 30 06 2017 - Mèngu

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/lago san antonio morinone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Negli sfollati incominciò la grande ansia, iniziarono gli interrogativi ai quali non si poteva dare nessuna risposta certa.

L’ordine era perentorio: nessuno più poteva avventurarsi in valle se non con il permesso dell’autorità pubblica e per brevissimo tempo. Carabinieri e Pubblica Sicurezza controllavano  costantemente le zone evacuate in modo da evitare qualsiasi forma di sciacallaggio.

Intanto febbrilmente si fecero varie ipotesi su come sarebbe stato opportuno procedere per la tracimazione del lago.

Nessuno poteva conoscere la composizione della frana.

Si tennero riunioni, furono molte le ipotesi su come procedere per evitare la catastrofe.

 

Nacquero due fazioni.

I primi volevano subito effettuare la “ tracimazione controllata “; volevano abbassare la soglia del lago sotto la quota dei 1100 m. sul livello del mare con i mezzi meccanici e nel contempo scavare nel corpo frana un alveo. L’acqua, invasata artificialmente tramite la portata dell’Adda modulata minuto per minuto dalle turbine idrauliche della centrale di Premadio, sarebbe tracimata e nel contempo si sarebbero controllati gli eventi.

Altri erano contrari a questa ipotesi perché esperimenti simili avevano dato purtroppo esiti catastrofici. Preferivano operare sul corpo frana abbassandolo di quota per ridurre il volume dell’invaso; nel contempo si sarebbe  proceduto al consolidamento del piede del corpo frana.

Si sa però che il tempo non guarda in faccia  nessuno, non aspetta le decisioni, non interrompe la sua corsa, non è pietoso, è inarrestabile.

Il lago di S. Antonio oramai era diventato imponente, era prossimo a contenere quindici milioni di metri cubi d’acqua e non aveva ancora raggiunto la sommità della frana.

Fortunatamente dopo il 26 di agosto il tempo si era rimesso al bello e la portata dell’Adda era diminuita a cinque metri cubi al secondo e il lago cresceva ora in modo più regolare.

 

27 agosto 

Andava presa una decisione sul da farsi e il ministro Gaspari decise. Tra molte discussioni prevalse il parere della  “ tracimazione controllata “. Anche quelli che erano contrari accettarono di buon grado di iniziare il lavoro. I tecnici dell’AEM di Milano dovevano fornire su indicazione della Commissione Tecnica l’acqua necessaria a modulare la portata dell’Adda a monte del lago.

L’acqua immessa, in aggiunta a quella della portata naturale dell’Adda, avrebbe invasato gradualmente il lago di S. Antonio portandolo lentamente alla tracimazione.

La “ tracimazione controllata” del lago sarebbe quindi avvenuta nel giorno e probabilmente all’ora calcolata .

La Commissione Tecnica lavorò freneticamente per dirigere i lavori degli operai della ditta Cariboni che con le loro grosse ruspe modellavano giorno e notte il corpo frana. Preparavano l’alveo artificiale nel quale l’acqua, dopo aver raggiunto la sommità della diga, sarebbe defluita a valle raggiungendo il suo alveo naturale.

Soprattutto si scavava per abbassare la soglia di tracimazione, poiché la spinta dell’acqua dell’invaso, che si calcolava ormai prossimo ai diciassette milioni di metri cubi, sarebbe stata meno insidiosa .

 

In quei giorni la televisione nazionale riprendeva il lavoro degli uomini che con le ruspe lavoravano sul corpo diga;si esaltava il coraggio di quei valorosi che lavoravano sotto la minaccia sempre attuale di frane dal monte Zandila.

La responsabilità che il ministro Gaspari si era presa era stata grande, ma era stato confortato e affiancato dai  tecnici della Commissione Alti Rischi che ben sapevano il loro lavoro e che erano costantemente presenti sul posto a dirigere le operazioni.

Gli operai della ditta Cariboni con il suo titolare erano in prima fila al lavoro sul corpo frana; ricevevano gli ordini e prontamente scavavano l’alveo che avrebbe condotto docilmente l’acqua al di là del corpo frana.

L’operazione della “ tracimazione controllata “ era estremamente impegnativa e rischiosa.

La gente che seguiva l’evento in televisione era preoccupata, pochi erano a conoscenza degli studi fatti dalla Commissione Tecnica sui modelli in laboratorio. Pochi sapevano che l’acqua , secondo le prove e i calcoli fatti, si sarebbe riversata a valle senza erodere lo sbarramento.

Ma anche tra i tecnici della Commissione v’era il timore dell’imprevisto.

Una consolazione! Il fondo valle per cinquantacinque chilometri era stato evacuato e nel caso di catastrofe ci sarebbero stati dei gravissimi danni alla valle, ma almeno non ci sarebbero stati dei morti. L’appuntamento per la “tracimazione controllata “ fu stabilito per il giorno 30 agosto.

 

 

La tracimazione controllata

Monta l’acqua

sulla frana assassina

che chiude la valle

e lenta invade la piana pietrosa,

tra ruspe che scavano

il letto di invito.

Avanza e si getta

a valle in rivoli scuri togliendo

pietrame al grigio

coperchio di morte.

E’ stanca, è lorda di fango,

forma pozze, lenta trabocca,

si spande, si unisce,

e scava nel tappo di morte.

Il lordo torrente valica

il mostro, si ingrossa, si fa

prepotente.

Momenti di angoscia!

Ecco ! L’acqua raggiunge

l’antico suo letto e irrora di gioia

il cuore di tutti.

 

 

Il giorno 29 agosto tutta la valle venne messa in stato di allarme. L’evacuazione era stata studiata nei minimi particolari, le zone erano state suddivise con il diverso grado di pericolo d’esondazione .

 

Erano stati specificati i luoghi dove l’acqua avrebbe potuto arrivare e portare la catastrofe. Nessuno poteva più transitare nel fondo valle, perciò tutti i permessi di circolazione vennero revocati ; la zona a rischio era ormai deserta . Da Le Prese a Montagna in Valtellina nel fondo valle non v’era anima, perfino a Sondrio 7.000 abitanti vennero allertati. Anche laggiù, nella zona ritenuta a rischio nel caso di cedimento del corpo frana, l’acqua li avrebbe potuti raggiungere nel giro di due o tre ore; per loro però v’era tutto il tempo per abbandonare le case e raggiungere luoghi sicuri.

 

(Continua… )

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