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18^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 08 07 2017 - Mèngu

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/alluvione 1987

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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30 agosto, domenica.

Le televisioni che dovevano riprendere l’evento da trasmettere alla nazione erano appostate a lato sui monti con i loro potenti teleobiettivi; erano lassù che scrutavano ogni parte del corpo frana, facendo vedere all’Italia intera l’enorme ferita del monte Zandila. Scrutavano palmo per palmo la massa di sassi e terra chiara come l’argilla che aveva sotterrato i paesi di Morignone e S. Antonio Morignone e le altre frazioni. Mostravano il lago il cui invaso aveva semisommerso alcune case di Aquilone e che ora era di quasi diciotto milioni di metri cubi.

Quell’acqua, ora marrone ora grigia a seconda del colore del cielo, era pronta a riversarsi su tutta la valle se le cose fossero andate male, se la “ tracimazione controllata “ si fosse rivelata un errore madornale.

 

Tutti erano con la trepidazione nel cuore.

Solo i ruspisti della Cariboni non sembravano esserne toccati. Impavidi li si vedeva scavare e spostare terra e sassi sul corpo diga con le grosse ruspe.

Come formichine sul corpo frana scavavano, si muovevano con i loro macchinari spostandosi ora qua ora là, apparentemente con manovre senza senso.

 

L’acqua intanto, modulata delle turbine della centrale  idroelettrica di Premadio, aumentava l’invaso in modo regolare.

Alle 4 del mattino del 30 agosto, come programmato, il lago era cresciuto fino a lambire la sommità dello sbarramento, poi lentamente l’acqua aveva imboccato l’alveo artificiale scavato dalle ruspe.

Alle nove del mattino milioni di persone erano incollate davanti alla televisione con il fiato sospeso .

Ognuno in valle sentiva angoscia e paura. Tutti tacevano e pensavano alle cose che sarebbero potuto succedere; gli sfollati facevano i calcoli dei danni che avrebbero potuto avere; pensavano alla casa, ai beni conquistati con la fatica di ogni giorno, al posto di lavoro. Povera valle ! Cosa sarebbe successo nel caso d’un cedimento dello    sbarramento ?

 

L’acqua ora avanzava lentamente sul corpo frana, era un rigagnolo che man mano aumentava di consistenza.

Gli operai con le loro ruspe dovevano guidare quel rigagnolo d’acqua che sarebbe poi diventato più consistente, dovevano incanalare l’acqua facilitandone il deflusso. Quegli uomini al lavoro con le ruspe , al pari delle più grandi celebrità, erano sotto gli occhi di tutti. Ogni loro movimento era seguito con trepidazione dalla gente incollata alla televisione. Il loro capo Paride Cariboni e i tecnici della Commissione davano loro continuamente ordini. L’acqua, modulata nella portata, la si vedeva avanzare nel canale per poi scomparire tra la grande massa di terra.

Il corpo frana stava bevendo l’intera portata di cinque metri cubi d’acqua al secondo, stava inzuppando lo sbarramento , stava forse rendendo instabile l’ammasso di terra, sassi, alberi sradicati che aveva reso possibile quel lago.

 

Era il grande pericolo temuto dai tecnici della Commissione. Si temeva che l’acqua bevuta dal corpo frana rendesse instabile quell’ammasso di terra e sassi, di tronchi spezzati che faceva da sbarramento alle acque del lago. In tal caso esso sarebbe poi crollato sotto l’erosione dell’acqua che tracimava .

Gli sfollati sui monti, quelli ospitati negli alberghi, quelli presso i parenti, erano muti e pensosi .

Tutti pregavano in cuor loro per la salvezza della valle .

Io, sotto i tigli di Ronco , guardavo la mia città. Vidi la mia Tirano deserta , senza suoni e rumori ed ebbi paura.

Di scatto misi le mani sul volto, chiusi gli occhi e in quel momento ebbi la visione.

 

“Prima vi fu un silenzio di tomba, poi udii un urlo lacerante di dolore, lungo, interminabile che rimbombò in tutta la valle!

Subito dopo si alzò un vento caldo, l’odore di terra mi penetrò nelle narici , udii il piangere sommesso di mamme e di bambini.

Udii gente invocare perdono a Dio.

Capii ! Inorridii!

Il corpo frana del lago di S. Antonio , durante “la tracimazione controllata “ era franato!

L’acqua tracimando aveva eroso il grande sbarramento di terra e sassi e il grande lago si era svuotato.

Vidi, laggiù in valle, un lungo serpente nero d’acqua e fango avanzare furioso tra turbini di vapori.

Vidi  il turbine d’acqua catapultare in aria e trascinare le case come fossero fatte di cartapesta lasciando dietro di sè una immensa palude piena di alberi spezzati.

Diciotto milioni di metri cubi d’acqua si erano riversati d’un colpo su tutta la valle seminando distruzione e morte.

Passò un po’ di tempo e vidi che la valle, da Le Prese a Sondrio, era divenuta una pietraia desolata, un unico alveo di fiume.

Poi mi apparve la bassa Valle fino a Morbegno e poi ancora il Pian di Spagna. Tutto era un immenso acquitrino e la valle era diventata una landa desolata di fango.

Poi vidi il lago di Como; le sue acque erano scure e fangose, coperte d’ogni sorta di detriti. Sull’acqua galleggiavano bambole di bambini!

Piansi nel vedere la magnifica e verde valle distrutta dalla furia delle acque del lago di S.Antonio !

Volsi di nuovo lo sguardo sulla pietraia desolata di Tirano e vidi il prodigio.

Dal quel luogo diventato palude, vidi lentamente risorgere nel suo splendore la Basilica della  Madonna di Tirano: era rinata dalle sue rovine. Poi, sopra la Basilica, vidi una grande luce e nella luce intensa comparve una Signora vestita di azzurro. La vidi alzare le braccia verso il cielo, poi stendere le braccia prima verso monte e poi verso valle.

In quel momento vidi rinascere la valle. Tutto tornò come prima!

Passò un po’ di tempo e vidi la Signora sorridere e scomparire nel cielo limpido tra un soave profumo di viole.

Guardai la valle; era ritornata bella e fiorente. Le ferite della grande alluvione erano state tutte risanate.

Vidi Valdisotto. Sul monte Zandila dove era caduta la grande frana c’era un bosco di abeti. Verdi pascoli ricoprivano la piana dove un tempo c’erano i paesi di Morignone, S.Antonio Morignone, Poz, Tirindré.

L’Adda scorreva docile a lato del monte di S. Bartolomeo.

Sentii cantare dei bambini e una gioia immensa mi invase il cuore.”

 

Tolsi le mani dal volto, aprii gli occhi e guardai in valle.

Non era successo nulla di quello che avevo visto nella mia visione. Laggiù l’acqua dell’Adda era ancora poca e di color chiaro e lassù sul corpo frana l’acqua tracimata aveva formato una grande pozza dove si era quietata.

L’acqua della tracimazione aveva imbevuto la grande massa di terra e sassi e ora poteva continuare la sua corsa a valle.

Il drago si era finalmente dissetato.

 

La grande pozza si era ingrossata, era traboccata e l’acqua aveva eroso altra terra. Dalla pozza usciva ora un torrentello che si era diviso in due, tre rivoli scuri e fangosi e aveva ripreso  il suo cammino verso valle; poco a poco i rivoli fangosi si erano ingrossati sino a gettarsi nel suo vecchio alveo dell’Adda presso le Prese.

La “tracimazione controllata” aveva avuto esito positivo!

Si udirono nelle case urla di gioia: la gente si abbracciò commossa. I visi si rasserenarono e tutti gli sfollati tirarono un sospiro di sollievo: le loro case erano salve! Alcuni fecero il segno di croce e ringraziarono Dio e i santi, altri si grattarono la testa e dissero che era andata bene.

 

Il corpo frana del lago di S. Antonio aveva assorbito più di cinque milioni di metri cubi d’acqua ma aveva tenuto.

La temuta erosione non era avvenuta e ora l’acqua si era avviata docile verso valle.

La giornata fu memorabile. Le televisioni con i loro potenti teleobiettivi, appostati sulla roccia di Pravadina, seguirono tutto l’evento in diretta e moltissimi italiani poterono finalmente esultare per il successo !

Intanto, instancabilmente, i ruspisti della Cariboni continuavano il loro lavoro sul corpo frana, scavavano, allargavano l’alveo aiutati dalla forza dell’acqua tracimata che si era fatta di portata più consistente.

I tecnici della Commissione tirarono un sospiro di sollievo, ma sapevano molto bene che il pericolo non era passato .

 

 

Una grazia nella sventura

Ascolta !

E’ un lamento

o forse il soffio del vento?

Dalla terra perduta,

tra le pietre assassine,

tra la coltre fangosa,

si alza il lamento dei morti.

Sussurrano con voce

velata di pianto

“ Siamo morti per nulla ?”

Una voce Santa risponde:

“O cari, siete i miei gigli di campo !”.

Per voi e per la fede di molti

ho spento l’ira del Drago che

voleva ingoiare la valle

con l’acqua fangosa del lago.

Non siete morti per nulla,

o miei gigli di campo.

 

 

(Continua… )

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