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19^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 14 07 2017 - Méngu

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/lago san antonio morinone

Questo scritto, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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31 agosto.

Giornali e televisioni affermavano: “Il lago ora non fa più paura”; “ Valtellina, è passata la grande paura”; “Il fiume ormai non spaventa più”.

Ma non era vero: il lago era sempre una minaccia, e come!

 

Il monte Zandila non aveva mai cessato un momento di sbuffare con continue scariche di sassi. I geologi avevano notato che sul versante della frana vi era ancora una grande massa instabile di sassi e terra che poteva in ogni momento riversarsi nel lago.

La grande massa d’acqua del lago si era infiltrata dappertutto. Nel versante di S.Maria Maddalena , paese situato e mezza costa, si erano innescati fenomeni franosi  che avevano lesionato alcune case e gli abitanti avevano notato che le porte e le finestre delle loro case non si chiudevano più regolarmente, segno che parte di quel versante stava scivolando verso valle.

 

La “ tracimazione controllata “ aveva solo dato un poco di tranquillità alla valle nel caso in cui la portata dell’Adda, con le piogge di settembre, fosse di nuovo aumentata.

I tecnici della Commissione sapevano che i problemi non erano del tutto risolti perchè il corpo frana, che certamente continuava ad impregnarsi d’acqua, avrebbe potuto in ogni momento collassare.

 

Gli sfollati non potevano dunque, malgrado l’evento della “tracimazione controllata “ fosse riuscito, rientrare nelle loro case con la tranquillità assoluta .

Era stata vinta solo la prima battaglia; la guerra continuava.

 

La Commissione decideva, ora che si era visto la tenuta dello sbarramento, di abbassare la sommità del ciglio con le ruspe. Sospesa l’immissione d’acqua regolata dalle turbine idrauliche dalla Centrale di Premadio , gli operai della Cariboni continuarono ancora il loro frenetico lavoro di spostamento terra. Occorreva rimodellare l’alveo da dove era tracimata l’acqua per abbassare di alcuni metri la quota dello sbarramento e ridurre il volume d’acqua del lago.

Mentre il monte Zandila continuava a scaricare pietrame il ministro Gaspari si assumeva la completa responsabilità del lavoro di quegli uomini sul corpo frana.

 

La popolazione andava tranquillizzata.

Dopo alcuni giorni il Ministro diede l’annuncio alla popolazione sfollata che entro il 19 settembre la società  Condotte d’Acqua avrebbe realizzato l’impianto di pompaggio che avrebbe svuotato il lago.

Vi era però chi non aveva condiviso la“tracimazione  controllata “. Dicevano che si era corso un rischio inutile. Il lavoro da fare subito, secondo loro, era quello di svuotare immediatamente il lago con delle pompe, prima dell’arrivo delle piogge di settembre; dicevano anche che il tempo di “ cantar vittoria “ non era ancora venuto e che occorreva aspettare almeno quindici giorni per vedere effettivamente i risultati.

 

Intanto il 2 di settembre altre piogge facevano staccare un altro grande ammasso di terra e sassi nel lago creando nuova paura.

Il lago tracimava ancora.

 

Il 3 settembre la Protezione Civile dava l’ incarico a Aem di iniziare la costruzione di un nuovo impianto di pompaggio della portata di cinque metri cubi di acqua al secondo da immettere nel canale Premadio–Valgrosina tramite la finestra di Massaniga. I tempi di realizzazione erano di venticinque giorni.

 

Il 4 settembre il Ministro Gaspari ritornava in valle e annunciava che l’emergenza era terminata. La gente gradualmente, secondo un piano prestabilito, poteva tornare alle sue abitazioni.

Ma il lago faceva ancora paura ! Gli sfollati non avevano tutti i torti poiché si sapeva che i mesi di settembre, ottobre e novembre sono i più piovosi in valle.

 

Era necessario pretendere che quel lago di S. Antonio fosse svuotato immediatamente per garantire la tranquillità ai paesi della valle.

Iniziarono discussioni e polemiche, però alla fine tutti furono concordi su un fatto: il lago di S. Antonio andava eliminato per sempre.

Passarono alcuni giorni e il ministro Gaspari di nuovo garantiva che l’emergenza era cessata, ma la gente che rientrava nelle case era poca perché non si fidava.

Solo gli operai erano rientrati di buon grado nelle loro fabbriche pronti, nel caso d’emergenza, a scappare. Avevano anche loro paura, ma dovevano salvare il posto di lavoro; sapevano come era duro dover far la valigia per cercar lavoro altrove.

 

Si sa però che l’uomo lentamente impara a convivere con il pericolo quando v’è necessità e in quei giorni incominciarono a rientrare gli abitanti del fondovalle di Faedo, Piateda, Poggiridenti e Montagna. Come lumache, pian piano, anche gli altri sfollati , dopo il 6 settembre fecero ritorno nelle loro case.

Rientrò circa l’ottanta per cento della popolazione.

Rimasero fuori casa circa 1.500 persone; quelle di Valdisotto.

Intanto lo svuotamento del lago era stato deciso all’unanimità dalla Commissione Tecnica e da tutte le  Amministrazioni Comunali interessate.

 

L’ 8 settembre riprendevano i lavori sul corpo frana per la costruzione degli impianti di pompaggio.

Il pericolo però era ancora grande; continuavano le scariche di sassi e i rumori sinistri.

Da Presure Santa Maria i Vigili del Fuoco erano all’erta; erano pronti a dare il segnale di allarme con le sirene in caso di pericolo. A turno , gli uomini osservavano i distanziometri installati sul versante della cima Coppetto che segnalavano i minimi movimenti  franosi.

I mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco con i sommozzatori ispezionavano metro per metro le acque del lago in cerca dei dispersi, lavorando nel pericolo dello specchio d’acqua navigabile, invaso da migliaia di alberi galleggianti  scortecciati dalla caduta della frana.

 

Il lavoro era febbrile.

La Società Condotte, la SNAM Progetti e l’AEM di Milano, che dovevano fare ognuno un impianto per lo svuotamento del lago, si misero subito al lavoro.

Tutti, proprio tutti avevano decretato che il lago di S. Antonio andasse cancellato dalle carte geografiche così come purtroppo erano stati cancellati i paesi di Morignone, S. Antonio Morignone, Poz e Tirindré.

 

Nel contempo si era anche decisa la realizzazione di due gallerie di by-pass che una volta prosciugato il lago dovevano garantire poi il regolare deflusso dell’acqua dell’Adda. Sul corpo frana si dovevano subito realizzare delle grosse briglie che avrebbero stabilizzato l’intero sbarramento nello sciagurato caso che l’acqua, in futuro, non fosse transitata nelle due gallerie di by-pass. Erano state studiate le migliori soluzioni per garantire la massima sicurezza per la valle.

L’ANAS nel contempo avrebbe poi iniziato la costruzione di una strada provvisoria per collegare Bormio alla valle: tempo massimo quattro mesi.

 

(Continua… )

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