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3^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 17 03 2017 - Ezio Maifrè

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Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1, Parte 2

 

Parte 3

Nelle catastrofi naturali, nelle alluvioni, anche la natura sembra lottare per salvare se stessa; a volte sembra  soccombere ma poi essa pian piano risorge stimolata da una forza misteriosa; con il tempo riprende il suo equilibrio naturale e sembra ignorare ciò che le era successo. Ciò che per noi appare un evento catastrofico, drammatico, di pura distruzione è però solo uno degli aspetti degli inesorabili eventi naturali. La distruzione porta morte, ma anche rinascita di vita nuova. E’ la ruota della natura che gira incurante della fatica, dei dolori e della morte dell’uomo; gira e poi anch’essa si quieta per un poco ma poi ben presto riprende ancora il suo giro senza curarsi di nulla.

Forse è solo così che il mondo si rinnova. Vita e morte, rinascita e disfacimento, gioie e dolori sono gli anelli d’una catena che ci legano alla natura. 
 

“Dalle folgori e dalle tempeste liberaci o Signore“.
I nostri padri incidevano queste parole sul bronzo delle campane delle chiese di Valtellina; erano le campane che nei momenti più difficili facevano sentire i loro rintocchi richiamando i fedeli nella casa di Dio, luogo comune di preghiera e di conforto.
Frane e alluvioni sono sempre state i morbi che hanno infestato con terribile e monotona cadenza la Valtellina e la Valchiavenna.

 

Venerdì 17 luglio: “tocchiamo ferro!” 
Così dicevano gli anziani che già avevano vissuto le tristi e dolorose esperienze delle alluvioni e delle frane. Loro avevano ben presente “ l’antico male “ della valle.
Erano passati solo pochi anni da quando nel 1983 la furia dell’acqua si era scatenata con gran violenza in alcune zone della nostra valle. Allora, dopo un persistente maltempo di trenta giorni di pioggia, ora sottile ora a scrosci, erano successi fatti luttuosi; la sventura si era abbattuta in maggior misura nella zona di Tresenda, nel comune di Teglio il 22 e il 23 del mese di maggio. Dopo quel maltempo continuo vi furono quattro giorni di pioggia incessante.

 

Sul versante retico iniziarono i primi segni di cedimento. La furia delle acque aveva eroso i terreni, l’acqua aveva invaso i vigneti, aveva impregnato la terra al punto tale che i poderosi muri in pietrame dei terrazzamenti delle vigne, eretti da tempo immemorabile, sotto quella spinta eccezionale d’acqua e fango non avevano retto. 
Piccoli smottamenti avevano innescato, calando dall’alto, imponenti frane, trascinando interi terrazzamenti dei vigneti e le frane di fango, agili come serpenti, erano scivolate in un baleno sulle case sottostanti causando dei morti, distruggendo case e negozi.
Erano state tre le frane.

 

Quella del giorno 22 caduta alle ore 12,15 era stata la più luttuosa. La massa di fango aveva trovato a quell’ora tanta gente nelle case e con la sua rapidissima caduta e con il tremendo spostamento d’aria aveva causato 14 morti.
Poi v’era stata la frana inaspettata di Valgella che aveva investito, distruggendola, la “ Casa Speranza “ dove vi erano ospitati degli handicappati: quattro furono i morti.

 

Terribile prova per i credenti nella Divina Provvidenza, grande alibi per i non credenti!
Il giorno 23 alle ore 7.05 scese a Tresenda l’ultima frana sul paese ormai evacuato; distrusse altre case ma non causò vittime. 
Ancora prima “l’antico  male” si era ripetuto nel 1960 con vasti allagamenti a Piateda, a Berbenno e Ardenno.
La disastrosa alluvione del 17 settembre1960 fu causata da un'eccezionale piovosità; caddero tra il giorno di giovedì e venerdì 235 mm di pioggia.
L’Adda si gonfiò paurosamente, allagò ogni piana, da Tresenda fino allo sbocco del fiume nel lago di Como;
allagò il Pian di Spagna. Fu devastata anche parte della città di Sondrio. 
I danni furono gravissimi , ma, per fortuna, dopo due giorni di diluvio, il tempo si rimise al bello e così si poté iniziare la ricostruzione.


Altre alluvioni ricordavano i più anziani.
Quella del 1927 e quella del 1911.
Nel 1927 la Valtellina e la Valchiavenna furono martellate due volte a distanza di 45 giorni.
La prima alluvione capitò la notte tra sabato e domenica del 25 settembre. La seconda si abbatté nel pomeriggio del 9 novembre.
Terribile e monotona sequenza ! Dopo i violenti nubifragi nella notte, la temperatura si era alzata a causa del vento caldo. La neve e i ghiacci con la temperatura insolitamente elevata si erano in parte sciolti e avevano liberato enormi masse d’acqua che avevano gonfiato i torrenti già tumultuosi. La situazione si aggravò la domenica sera.

L’Adda aveva rotto gli argini tra Sondrio e Morbegno, mutando il percorso del proprio alveo in più punti, interrompendo per lunghi tratti la strada nazionale e la ferrovia, allagando la piana tra Sassella e Masino. Il Mallero e il Mera avevano distrutto gli argini. 
Il 9 novembre, quarantacinque giorni dopo, arrivò la seconda alluvione. Furono devastate alcune case di Sondrio e gran parte del territorio della Valmalenco, del Morbegnese e del Chiavennasco subì gravi danni.
L’Adda con furia inaudita, ingrossata dagli affluenti retici e orobici, si abbatté sulla valle in modo disastroso, ancora più del mese di settembre ricoprendo il fondo valle di acqua, ghiaia e fango da Tresenda sino a S. Pietro Berbenno. Fu spazzato via il ponte di Caiolo e la strada nazionale in più punti. Nell’alta valle, nella strada statale, crollò il ponte tra Bolladore e Mondadizza e fu distrutto un tratto di strada.
A Chiavenna crollarono ponti e case.

 

In quel nefasto giorno, i giovani, sentendo raccontare dai vecchi questi disastrose alluvioni, dicevano:” basta non vogliamo più sentire disgrazie !”
I vecchi però con fare sommesso insistevano nel raccontare; pensavano che la memoria storica fosse essenziale per salvarsi dalle disgrazie e così continuavano  sommessamente il loro racconto mentre i giovani sbuffavano per la noia.
Raccontarono anche dell’alluvione  del 1911.
Questa alluvione assomigliava molto a quella successa nel luglio ’87; allora, dopo un lungo periodo di siccità, spirarono per giorni e giorni i venti di scirocco che con la pioggia scatenarono l’inferno.

 

La notte del 21 agosto 1911 fu paurosa.
Tuoni e lampi squarciavano la valle facendo intravedere le cime dei monti; l’acqua scrosciava da ogni dove formando pozze da sembrare stagni. La pioggia mista a grandine era stata di 140 mm in 24 ore.
Una tale quantità d’acqua caduta significava per certo il disastro. La grandine aveva martellato e distrutto i vigneti e da tutte le valli scendevano torrenti tumultuosi che trasportavano grandi quantità di terra e sassi. Dei 78 comuni della Valle, 58 ebbero gravi danni. Il comune di Fusine fu il più colpito. Grossi macigni scesero dalla Val Madre trasportati dal Madrasco seppellendo case, distruggendo ponti e coprendo quasi tutto il territorio di detriti. Uguale sorte toccò allora a Caiolo, a Colorina, a Cataeggio in Val Masino. Tirano ebbe gli argini dell’Adda distrutti nella zona di Ganda e la piana nella confluenza tra l’Adda e il Poschiavino fu allagata. I vecchi si ricordavano di questi fatti perché li avevano vissuti. Avevano sentito narrare dai loro avi anche dei terribili fatti  di Sernio nel 1807. Una frana abbattutasi dal monte Masuccio aveva chiuso il corso dell’Adda e aveva creato un lago somigliante a quello di S. Antonio. Il paese di Lovero, dopo breve tempo, fu in parte sommerso dalle acque del lago. Gli abitanti di Lovero e di Tirano intervennero prontamente per fare defluire l’acqua dal lago, ma sventuratamente le cose non andarono per il verso giusto.

 

Nel mese di maggio del 1808 la frana di terra e sassi caduta dal monte Masuccio e che aveva formato il lago cedette di colpo e una enorme massa d’acqua irruppe in modo disastroso tra Tirano e Villa cambiando persino il percorso del fiume. Quella “tracimazione naturale “ portò rovina.

 

Ancora! Avevano sentito narrare che nel lontano 4 settembre 1618 una frana, staccatasi dal monte Conto, si era abbattuta sul magnifico abitato di Piuro devastandolo e seminando morte e distruzioni; della intera popolazione del borgo solo quattro si salvarono.
Fin qui giungeva la memoria e la tradizione storica dei più grandi disastri causati da alluvioni e frane in valle. 

 

(Continua... )

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