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Accadde oggi a Tirano, 19 luglio 1620: il Sacro Macello

CULTURA E SPETTACOLO - 19 07 2017 - ivan bormolini

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/Raffigurazione del Sacro Macello_1

(A cura di Ivan Bormolini) La situazione politica e la famosissima questione religiosa erano stati motivi di ulteriore inasprimento dei rapporti tra i governati Grigioni, dominatori delle nostre valli già dal lontano 1512, e le nostre popolazioni.

 

Il clima, soprattutto dagli inizi del 1600 si era fatto molto teso ed alle motivazioni appena citate vanno aggiunti anche alcuni aspetti di carattere economico.

 

Il vaso dunque era colmo di irosi sentimenti e aspettative di ritrovata libertà. In un momento dove il crescendo delle tensioni era all'ordine del giorno certo le nostre popolazioni non avevano modo di ribellarsi, occorreva organizzare una rivolta in gran segreto ed agire con fulminea sorpresa.

 

Tutto questo lo sapeva bene l'organizzatore di quella rivolta valtellinese, il grosottino Giacomo Robustelli, una nobile figura di gentiluomo e soldato. Era un abile guerriero e da giovane aveva servito il duca di Savoia, fremeva di sdegno contro l'invasore straniero ed ambiva a liberare le nostre valli.

 

Intorno alla sua figura e alla sua abilità in campo militare si erano ben presto riuniti altri uomini valtellinesi e nel 1618, dopo la terribile morte a Thusis dell'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, avevano avuto inizio i preparativi della rivolta.

 

Il gruppo, che si riuniva ovviamente in gran segreto tra Grosotto, Tirano e Boalzo, era composto da vari nomi della nobiltà valtellinese, i tiranesi Marco Antonio e Simone Venosta, assieme a Gian Battista Marinoni, poi divenuto prevosto della parrocchia di Tirano, i tellini Azzo e Carlo Besta, il pontasco Giovanni Giucciardi e Giangiacomo Peribelli di Albosaggia.

 

Questi uomini erano in contatto con varie personalità religiose e politiche della nostra regione ed avevano provveduto ad assodare un esercito di uomini armati, composto da circa 200 unità. Oltre a questo i capi della rivolta godevano di larghi mezzi finanziari giunti dal governatore di Milano Gomez Suarez Feria.

 

Tutto dunque era pronto, ogni minimo dettaglio era curato e la rivolta poteva partire proprio da Tirano, nei dintorni del palazzo Pretorio in quella domenica mattina del 19 luglio 1620.

 

Nella notte del 18 luglio 120 uomini armati sotto il comando del Robustelli, erano entrati nel borgo attraverso la porta Poschiavina, aperta nottetempo da una guardia prezzolata. Un altro contingente si appostava nel frattempo presso il castello di Piattamala, al fine di evitare l'arrivo di truppe di rinforzo dai Grigioni. Il gruppo di Tirano si era diviso in due disponendosi nella case adiacenti al palazzo Pretorio, mentre altri si erano appostati nei pressi della chiesa di San Martino, con ogni probabilità nell'attuale palazzo Quadrio.

 

Ma perché, i capi della rivolta avevano scelto proprio quella data?

La risposta, pur nella drammaticità degli eventi che di li a poco si sarebbero succeduti, pare molto semplice. Nella serata di sabato 18 luglio e per tutta la notte presso il palazzo Pretorio, si erano riuniti molti nomi noti del governo Grigione in valle che erano stati invitati dal podestà di Tirano per festeggiare la nascita di sua figlia. Pare che quella notte, questi personaggi avessero banchettato a lungo tanto che un testimone dell'episodio aveva scritto “ erano conciati di vino e di confettura tedesca “.......Dunque facili ed importanti bersagli.

 

Prima di proseguire nel descrivere gli eventi, ricordando quella notte, voglio riportarvi le belle e intense parole che Cesare Cantù ha scritto nel suo libro “Il Sacro Macello di Valtellina”:

...Dunque la strage doveva cominciarsi a Tirano, ove aggregati i manigoldi in casa del Venosta, coll'avidità del fanatismo già pareva loro mill' anni d'essere al sangue. Appena si oscurò quella notte, trista per cielo perverso, più trista per i disegni che si dovevano maturare, sono fuori, altri a guardare le vie perché non esca fama del fatto, altri a serragliare la strada di Poschiavo, altri a collocarsi opportuni. Poi un sogno pieno di fantasmi e di paure, quale scorre fra il concepire d'una terribile impresa ed il compirlo, stettero aspettando l'ora pregna di tanto dubbio avvenire, con quel gelo di cuore, con quell'indicibile sospensione d'animo, che non conosce se non chi la provò.” Va qui ricordato che il Cantù, per narrare i fatti di questi efferati episodi è stato il primo storico a battezzare questi Vespri Valtellinesi con il nome di Sacro Macello, se ci pensiamo bene due parole che così accostate lasciano spazio a molte riflessioni.

 

La mattina del 19 luglio, allo spuntare dell' alba, improvvisamente quattro colpi d'archibugio davano il segnale dell'insurrezione, subito avevano risposto le campane di San Martino con il loro suono a martello. In breve tempo i tiranesi colti di sorpresa, dopo una normale notte d'estate si erano riversati sulle strade. I ribelli avevano assaltato con forza e ferocia il palazzo Pretorio uccidendo il podestà Giovanni de Capual, il suo cancelliere Michele Lazzaroni ed il cognato di quest'ultimo Maffeo Cattaneo. Avevano trovato la morte anche il podestà di Teglio Andrea Enderlin, il vicario di valle Antonio Salis, Samuele Andreoscha, ministro di Mello e il protestante Antonio Nicolay a cui furono prima strappati gli occhi. Erano morti anche un certo Giovanni Nazzari con la moglie ed i figli semplicemente perché aveva cercato di sottrarre dal linciaggio il Nicolay, a questi si aggiungeva Giovanni Monti pretore di Brusio ed altri riformati che avevano preferito la morte all'abiura.

 

Da quella strage nel palazzo la rivolta era dilagata per il borgo alla ricerca di protestanti e Grigioni. La chiesa di Santa Maria, che come abbiamo già ricordato in passato, era officiata dai protestanti era stata presa d'assalto ed il Ministro Antonio Basso vi aveva trovato la morte, una terribile scena che aveva visto la violenta decapitazione del Basso e l'esposizione del macabro trofeo sul pulpito da cui predicava.

 

In quella mattina per le vie e per le case di Tirano si susseguirono scontri sanguinosi e scene raccapriccianti. Il Giussani, citato da monsignor Lino Varischetti, come il più autorevole e documentato storico della rivoluzione valtellinese, ha potuto assodare che i morti nel nostro borgo non avevano oltrepassato la sessantina.

Nel giro di poco tempo l'insurrezione era divampata a Teglio, a Ponte a Sondrio e Chiavenna.

 

A Teglio la stage aveva avuto inizio già nella tarda mattinata di quella domenica di sangue, Azzo Besta aveva ucciso il primo riformato Giovan Pietro Danz di Zuoz, dietro la chiesa di evangelica di Sant'Orsola. La stessa chiesa era stata sbarrata dall'interno dagli assediati, ed era stata data alle fiamme, dopo che erano stati fatti uscire i fanciulli, le donne e pochi apostati. Già perché anche donne e bambini, come citato nel caso dei figli e della moglie di Giovanni Nazzari, erano morti.

 

La morte delle donne dei bambini, con ogni probabilità, non solo dunque nel caso dei tre di Teglio, dimostra ancor oggi che sicuramente la situazione era scappata di mano ai capi dell'insurrezione, in quanto l'ordine impartito prima dell'inizio della rivolta era quello di risparmiare donne e fanciulli.

 

Si dice anche, che in quelle tragiche giornate di sangue, dal 19 al 21 luglio, alcuni mestatori, avevano trovato facile occasione per compiere delle vendette personali.

 

Torno ancora a proporvi le parole del Cantù che così scriveva in merito all'inizio del Sacro Macello:

Là sul biancheggiare dell'alba quattro archibugiate danno il segno convenuto, le campane suonano a popolo, compunti il cuore di paura, balzano dal sonno i quieti abitanti, ma come all'uscire ascoltando gridare “ammazza ammazza” e vedono darsi addosso ai Riformati, tutti sentono il perché di quell' occorruomo.

Ogni cosa è un gridare, un fuggire, un dar di piglio all'armi, chi per difesa, chi per offesa, e piombare sovra i nemici... Il Robustelli, entrato in Brusio in val di Poschiavo, schippettò un trenta persone, poi mise a fuoco il paese” Falò, diceva egli, per la recuperata libertà di religione.”

 

I GIORNI SUCCESSIVI: come abbiamo fin qui appurato per le nostre valli e per le nostre genti quei tre giorni tra il 19 ed il 21 luglio, erano stati determinanti seppur drammatici. Il Sacro Macello infatti è da identificarsi come un episodio tristissimo della storia di Tirano e della Valtellina. Sangue e violenza, ieri come oggi, infatti non trovano mai alcuna giustificazione.

Sul piano politico e militare l'insurrezione era stata un pieno successo, in pochissimi giorni gli ispanofili avevano ottenuto il completo controllo del terziere nominando nuovi responsabili e funzionari. Governatore era stato eletto il cavalier Giacomo Robustelli. Quest'ultimo aveva fatto rimettere in efficienza le fortificazioni di Tirano, ben sapeva infatti che i Grigioni, che durante quelle giornate si erano precipitosamente ritirati, certo sarebbero tornati per tentare di riconquistare le terre perdute dopo l'insurrezione.

Erano passate poche settimane da quelle giornate di luglio, l'undici settembre di quello stesso anno i Grigioni erano giunti in valle. Ma di questo nuovo capitolo in cui si inseriscono due fatti curiosi, ve ne parlerò proprio l' undici settembre.

 

FONTI:

  • Tirano, autore don Lino Varischetti. Finito di stampare il 29 settembre 1961 presso la Tipografia Bettini di Sondrio.
  • Sintesi di storia della Valtellina medio-alta, autore Ennio Emanuele Galanga. Finito di stampare nell'agosto 1992 dalla litografia Poletti in Villa di Tirano (Sondrio)
  • Il Sacro Macello di Valtellina, autore Cesare Cantù. Impianti e stampa Industrie Grafiche Bresciane, Brescia.

 

Le due immagini storiche, “La raffigurazione del Sacro Macello e il ritratto del cavalier Robustelli” sono tratte dal libro Tirano di don Lino Varischetti e dal volume Sintesi di storia della Valtellina medio-alta di Ennio Emanuele Galanga.

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