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Aceri campestri, vi voglio in forma!

CULTURA E SPETTACOLO - 30 07 2018 - Méngu

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Chi di noi, passeggiando con il naso all’insù lungo i viali che portano alla Basilica di Madonna di Tirano e guardando le foglie degli aceri che fanno da ombra ai viandanti, non si è posto un interrogativo e si è domandato: “ è estate e gli aceri con la loro chioma compatta e tondeggiante di norma formano un ombrello di verde intenso; perché ora hanno le foglie rinsecchite ,vischiose e fuligginose?

 

Sarà forse per il clima afoso, o perché la pioggia manca, oppure per l’inquinamento dovuto alla sterminata e continua fila di auto e camion che sembrano accarezzare morbosamente le foglie? Come mai molte piante ormai robuste presentano lungo il fusto una necrosi con formazione di vuoti e di piccole caverne e di pustole?

 

Queste domande mi sono passate per il capo l’altro ieri osservando nei particolari quegli aceri, non senza però provare un vago dispiacere vedendo le foglie gialle pendere, come piccoli pipistrelli, dai rami. Ne ho raccolta una per terra e l’ho posta nel palmo della mano, poi ne ho staccata una da un albero verdeggiante e ne ho fatto il paragone. La prima era piccina e contorta e di un giallo simile ad un malato d’itterizia, ai lati presentava delle croste, la seconda era d’un verde smagliante  intenso. Anche le piante si ammalano come noi, ho pensato, sempre con quel vago senso di dispiacere ho deposto le foglie in un cassonetto. Ho continuato la mia passeggiata ed ho notato, questa volta con piacere, che al mondo ci sono ancora persone di buona volontà che si curano della natura. Ho notato che su i tronchi di alcune piante con le foglie ormai rinsecchite c’era infisso un tronchetto metallico tondo con un tubicino collegato ad una sacca quasi vuota simile a quella d’una flebo. Tutto mi è apparso chiaro. Le piante con le foglie ormai rinsecchite erano malate e qualcuno evidentemente si prendeva cura d’esse. Il tronchetto  metallico infisso all’albero non era altro che il terminale contenente un lungo e resistente  ago che spinto con forza a battiti era penetrato sino al midollo della pianta. La sacca di “ flebo “ posta sopra e allacciata con una bretella conteneva la medicina che penetrando nella linfa della pianta l’avrebbe guarita. Il meccanismo mi è apparso chiaro ma non mi era chiaro il perché della malattia della pianta.

 

Poco più in avanti ho notato un foglio appeso ad un tronco di un acero che dava la spiegazione. Gli aceri campestri malati erano stati “ attaccati “ dagli afidi, parassiti che provocano danni alla pianta succhiando la linfa sino a farli morire. Quindi la malattia della pianta non era dovuta al clima afoso, né alla mancanza di acqua e neppure all’inquinamento anche se durante questi miei pensieri alcuni camion mi sono passati appresso benedicendomi con la loro vampata calda d’un cocktail di gas maleodorante, pungente e schifoso. Nulla di tutto questo però era dovuto alla malattia . La colpa della agonia delle piante era dovuta solamente agli afidi, anche se il mio pensiero veleggiava insistentemente sul detto “ sei quel che mangi “. Ho cercato di cancellare dai miei pensieri l’idea  che le piante si ammalano anche per il forte inquinamento. Certo è che  non mi metterei al posto di quelle piante in quel luogo e per tutto il tempo di vita , poiché sarei sicuro di morire gasato o intossicato dall’acqua impregnata dalla miscela oleosa e biancastra pregna di idrocarburi che si nota dopo agni pioggia sull’asfalto e che penetra nel terreno, senza contare della pioggia acida. Ora le piante malate sono in cura con delle flebo medicinali e  rinvigoriranno.

 

Personalmente seguirò l’evoluzione della loro malattia  poiché  desidero vedere quegli aceri in forma il più presto possibile. Riflettendo a fondo, quei cari aceri forse rappresentano il nostro vivere moderno, dove la natura tutto dà e noi tutto le togliamo solo per nostro piacere e comodità. Ricordo ciò che mi disse il rimpianto e luminare tiranese dott. Soncelli Vittorio un giorno in cui mi visitò per una ulcera dolente allo stomaco, guardandomi severamente “voi giovani fate di tutto per rovinarvi la salute e poi quando siete vecchi fate di tutto per riacquistarla”. Parole sante. La mia esperienza conferma che noi siamo “quello che mangiamo” , cosi come le piante che si nutrono di tutto ciò che le circonda.   
 

Méngu 
 


 

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