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Alla ri-scoperta del bosco: quando "scappa, scappa"...

CULTURA E SPETTACOLO - 12 08 2019 - Méngu

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/Un classico “còmut”
Un classico “còmut” (foto di Mèngu)

Non credo di dire panzane se affermo che una persona con “mens sana in corpore sano” almeno una volta ogni due giorni si accovaccia per fare il grosso, cioè la “pupù“. Su questo giornale amo parlare degli usi e costumi della montagna e spero di non turbare qualcuno se parlerò del “còmut“ e di un altro posticino per fare il proprio bisognino quando “scappa- scappa“ e si è in un luogo dove non ci sono bar o ristoranti per chiedere di andare in bagno.

 

Il fatto può capitare, ad esempio, in montagna passeggiando nei i boschi. Da giovane e in allegra compagnia in montagna quando il bisogno era impellente ed ero preso da un contorcimento intestinale da trattenere il fiato, per assentarmi dalla brigata , alzavo la mano destra e dicevo “ devo fare una cosa che nessuno di voi può fare per me” . Tutti capivano e mi accompagnavano, con lo sguardo misericordioso e consenziente, nel bosco. Poi con mosse da canguro mi avviavo verso la fitta vegetazione e per anticipare i tempi, mi calavo i pantaloni a metà gamba. Sceglievo il primo luogo ombroso sottomano, lontano dalle ortiche e dai formicai , mi accovacciavo come un cagnolino ( he però non ha bisogno di calarsi le mutande) e con occhio languido e pieno di soddisfazione facevo il mio bisogno.

 

Beh, diciamo pure che chi non ha mai provato “a farla “nel bosco almeno una volta non ha soddisfatto “ il desiderio ancestrale per eccellenza “. Fatela e proverete una felicità fin ora sconosciuta , forse più forte di molte dichiarazione d’amore del giorno d’oggi. Fatelo con semplicità e umiltà, ognuno con il proprio stile e con i propri tempi. Se siete raffinati e super ecologici e ne avete il tempo portatevi un fazzoletto di carta biodegradabile , scavate una buca di grandezza che stimerete voi stessi e che poi con il testimone dentro, dopo uno sguardo fugace in giro, ricoprirete con tre colpi di scarpa. Per questo rito nel bosco non mi risulta che ci siano divieti comunali, al massimo risparmiate di farla sopra i funghi porcini e le signore interessate stiano all’occhio che non ci siano guardoni nei dintorni. Carissime, vi potrebbe succedere di non terminare il bisogno e scappare con le mutande a metà gamba e rivedervi su video. Ma v’è un altro posto dove si possono fare i propri bisogni ed il luogo era comune in quasi tutte le case di montagna e anche nei boschi. Il sito è chiamato tutt’ora in dialetto tiranese “ còmut “ ed è quel che in termini moderni si chiama ora bagno. Inutile dire che chi al tempo aveva il “ còmut “ o all’interno o all’esterno della casa non andava nel bosco a farla ed era considerato un previlegiato. Poteva permettersi, oltre alla sua privacy“ anche quello di ricuperare il tutto per ingrassare l’orto. Il “còmut” generalmente era un luogo assai ristretto, costruito in legno o anche in muratura con delle assi sopra la fossa distanziate tra loro quanto basta. Dopo essersi accovacciati e aver studiato l’esatta posizione per far cadere a piombo le “ sacre” reliquie tra i liquami, si appoggiava il palmo delle mani alle due pareti opposte per evitare squilibri dovuti ai fiatoni di spinta.

 

Generalmente i “còmut “ erano muniti anche d’una porta in legno ma che i più temevano di chiuderla per evitare soffocamenti o svenimenti dovuti a esalazioni della fossa. Lasciando la porta aperta, si negava al soggetto la privacy ma si poteva controllare se “ l’inquilino “ per fatalità o per peso non avesse rotto le assi deteriorate da umidità e fosse disgraziatamente caduto nella fossa . Spesso i giornali dei miei tempi riportavano notizie bomba come questa : àla Rusìna ‘l gà sa rùt li às del còmut e sa là pü truàda!!! ” (alla Rosina si è rotto l’asse del cesso e non si è più trovata ) . Ricordo la sventura capitata al mio amico Mario che, bambino , l’ho visto dibattersi nella fossa, ed emergere “ impantanato” come da una sabbia mobile. Lavato e profumato , ha odorato di “còmut” per tre giorni. Un consiglio: se vi scappa fatela nel bosco. Avrete l’enorme vantaggio di sentire la brezza sulle chiappe , e se siete fortunati, sentirete anche il cuculo “ guardone “ che canta sul larice appresso: “ Cucü, cucü, falla con calma e ne farai di più.”

 

Il posticino della Vanagloria

Nel bosco odo il canto del cuculo

appollaiato su un vecchio larice.

Oh, uccello che lasci agli altri

la cura della tua prole, io come te

mi accovaccio tra le fresche frasche e

qui lascio la mia “ pupu “

in una fossa sulla nuda terra.

Lascio la mia vanagloria, la mia boria,

la mia superbia racchiusa nella mia reliquia

bramata dalle mosche e dai tafani.

Qui dono ciò che non posso trattenere

e il mio dono è simile a quello

dei ricchi, dei potenti, degli ingordi,

dei re e dei papi.

 

l post dèla vanagloria

N dèl busch sénti cantà ‘l cùculo

pundàa sü ‘n làres vècc .

Uh, urscèl che ta làset ai òtri

cürà i öv de la tò niada . mi cùma ti

ma ‘ncrisciuli ‘n tra li freschi fraschi e

fòo ‘l mée strùns, ‘n de ‘n böcc ‘n téra.

Làsi tütt ‘l mè urgòi, la mè boria ,

la mè süperbia seràda int ‘n dèi mée strùns

iscì car àli muschi e ai tavàn.

Chilò regali chèl che pödi mìga tegnì

e ‘l mè regal l’è ugual a chèl

dei sciur, dei putent , dei ingurt,

dei re e dei papi.

 

Méngu

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