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I dubbi sulla fondazione e la denominazione di una nota chiesa tiranese

CULTURA E SPETTACOLO - 18 01 2018 - Ivan Bormolini

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/chiesa sant agostino tirano

Moltissimi tiranesi, dal passato sino ad oggi, sono abituati a chiamare la chiesetta attaccata al palazzo Marinoni con il nome di chiesa di Sant' Agostino. Viene infatti facile pensare che l'edificio sacro sia stato voluto ed edificato dai frati Agostiniani, che avevano il loro convento nell'attuale palazzo comunale.


E' bello pensare a quelle remote epoche e rivedere i frati che, con il loro saio, attraversavano il bel chiostro del convento per recarsi nella chiesa ad officiare le loro funzioni religiose. Tuttavia i fatti non erano andati proprio così.

 

Si apprende infatti che il convento era stato soppresso nel 1654; i documenti citano il fatto che i religiosi agostiniani erano stati costretti a vendere la loro proprietà ai sacerdoti Eusebio Robustelli e Carlo Pergola, in quanto fortemente indebitati.
Come vi avevo già citato parlando della storia artistica del palazzo Marinoni, sede del municipio dal 1812, la struttura, nella sua complessità, non era come quella dei giorni nostri e soprattutto non si citava la chiesa. Altri documenti infatti parlano di un altro fatto importante: nessun atto di visite pastorali volute dai vescovi di Como, citano il luogo sacro in quelle epoche, evidentemente perché non esisteva.

 

Sappiamo infatti, e lo abbiamo appurato in più occasioni, che i vescovi comensi erano soliti visitare tutte le chiese del borgo e frazioni, o allora contrade, e dare anche doverosi suggerimenti su come dovevano essere conservate e migliorate sotto il profilo delle strutture e delle opere d'arte. 

 

Ma andiamo avanti per cercare di capire: era possibile che all'interno del convento vi fosse una piccola chiesetta dove gli Agostiniani potessero pregare e celebrare i Sacri riti?
Anche a questa domanda si può rispondere in modo negativo; si evince infatti che nella prima metà del XVII secolo i padri Agostiniani officiavano nella chiesa di San Carlo, grazie ad una convenzione con Francesco Venosta, che era proprietario della chiesa annessa alla sua residenza.

 

Abbiamo dunque posto risposta al primo dubbio di tanti concittadini: la chiesa non esisteva ai tempi del convento degli Agostiniani.
I lavori di costruzione avevano avuto inizio nel 1656, due anni dopo la vendita del convento e nello stesso anno della morte di G. Battista Marinoni, di cui avremo modo di parlare più approfonditamente in futuro.

 

Come spesso avveniva in quelle epoche le opere di edificazione precedevano in modo celere grazie anche a varie donazioni.
Devoti canonici, lasciti testamentari e in generale l'ampia generosità dei tiranesi, riconoscenti al Marinoni stesso per la possibilità data ai loro figli di accedere in modo gratuito all'istruzione di base, avevano costituito una ricca dote per l'edificazione della chiesa.
A questi lasciti o donazioni si andavano ad aggiungere anche quelle dei maestri della “Scuola Marinona”, che spesso avevano impegnato per la “Fabbrica” il loro stipendio annuale.

 

Dell'edificazione si erano occupati con grande attenzione i deputati ed i prefetti ai beni della scuola stessa, essendo questa annessa alla scuola e pure gli affiliati alla Confraternita del Suffragio in quanto loro oratorio. Questi ultimi avevano dotato di arredi il sacro edifici,o che due anni dopo l'inizio dei lavori era già officiato.

 

Nonostante la chiesa fosse stata edificata in epoca barocca, la facciata su via XX Settembre si presenta essenziale. Un modesto portale in pietra, il lunettone della finestra e poco altro; il tutto conferisce un senso di severità.
Poco lo spazio dedicato all'arte della facciata; come avvenuto per altre opere locali, l'affresco posto sopra il portale, non conferisce più la sua originale versione: appare stinto e abbandonato ad un inesorabile destino. L'opera, è il caso dire, “evocava” l'importanza del suffragio per i defunti. Qualche nota  è da attribuire alla decorazione del timpano, forse meglio conservata rispetto al citato dipinto.

 

Spicca il bel campanile nel cuore di piazza Lantieri, bella la sua lanterna articolata su due piani; peccato che oggi il candido bianco dell'intonaco, anno dopo anno, si annerisca mostrando i primi segni di un degrado che ci sia augura possa essere limitato da interventi di restauro conservativo.

 

Ma che dire in tal senso, in epoche remote, seppur più povere economicamente, le chiese venivano edificate e arredate con grandi opere d'arte; oggi, conservare questo nostro patrimonio richiede risorse finanziarie difficili da reperire.

 

Ma veniamo alle origini del nome: qui mi torna alla mente un'immagine tiranese nemmeno troppo lontana nei decenni. Di buon mattino, nella chiesa citata, il prevosto, oppure il vicario, celebravano la Messa: prima la campanella posta sul campanile, con il suo bel suono, quasi intimo e famigliare, suonava dieci minuti prima dell'inizio della Santa Messa.
Allora, un buon numero di fedeli, prima di iniziare la giornata lavorativa, si recavano alla funzione mattutina. Poi al termine di questa, dopo la benedizione, facevano tappa alla Latteria di Tirano, “la Casera”,  e con il secchiellino di latta al seguito acquistavano il latte appena conferito dagli allora ancor tanti allevatori tiranesi i quali, quando ancora era buio, giungevano alla Casera con il loro latte fresco, appena munto, posto nelle belle “brentine” portate sulle spalle.
Era un rito: dopo la Santa Messa, la Casera, la colazione con il latte portato ad ebollizione, e poi la giornata poteva iniziare.

 

Vi ho detto questo, per ricordare un detto dialettale allora ricorrente ovvero: “dopu la mesa an Sant'Agustin... ”.
In realtà la chiesa non si chiama così; forse questo nome di battesimo popolare deriva dal fatto che era stata edificata nelle immediate vicinanze del convento.

 

Il luogo sacro è intitolato a San Nicola da Tolentino, frate dell'ordine di Sant'Agostino e canonizzato dalla chiesa cattolica nel 1446.
Il Santo è venerato anche come intermediario delle suppliche che salgono al cielo dalle anime del purgatorio; ecco perché il tutto ci riconduce alla Confraternita del Suffragio dei defunti.
Ancona e pala dell'altare, all'interno della chiesa, ci forniscono una spiegazione in tal senso. Questa risale alla seconda metà del XVII secolo e sono opera del pittore camuno Giacomo Gainoni, detto il Bate.

 

Ivan Bormolini

 

FONTE: Tirano. Il centro storico, storia arte architettura. Autore Gianluigi Garbellini. Stampa Lito Polars Sondrio. Prima edizione febbraio 2009.

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