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I restauri del 1874: la generosità dei tiranesi

CULTURA E SPETTACOLO - 02 03 2019 - Ivan Bormolini

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/san martino

Concludo questa tre giorni dedicata alla controfacciata ed alla facciata della nostra chiesa parrocchiale ed agli ingenti altri lavori voluti dal prevosto don Luigi Albonico a partire dal 1874, con il tema del reperimento delle risorse finaziarie necessarie per dar vita ai restauri del tempio.

Come avevo citato all'inizio di questo “Speciale arte tiranese”, il desiderio di ristorare ed ampliare la Collegita da parte dell'Albonico, necessitava di una notevole somma di denaro.

Il clima tra la comunità civile laicizzata e la parrocchia non era idilliaco, comunque vista la necessità di reperire fondi, la Fabbriceria inviava al comune l'invito a concorre alle opere.

 

Il 15 dicembre 1873, giungeva la risposta ufficiale dallo stesso comune. Senza esitazione, scriveva il sindaco Ferrari, il consiglio comunale, si limitava a sancire l'offerta di lire 2000 fatta dalla cessata Fabbriceria del santuario, come sussidio alla comunità, senza aggiungere altro stanziamento come espressamente richiesto.

Pur giudicando esigua l'offerta di palazzo Marinoni, l'11 gennaio 1875, nello studio tiranese del notaio Giuseppe Buttafava, si perfezionava il documento relativo ad un mutuo di durata decennale di lire 6000, con interesse annuo del 5%. Il tutto allo scopo di sopperire alle spese incontrate per i restauri della chiesa parrocchiale di Tirano.

Contraenti erano don Albonico, nelle vesti di unico debitore e monsignor Luigi Fè. I creditori erano monsignor Pietro Vivenzi e il dottor Antonio Pievani.

 

Certo per don Albonico si trattava di una cifra enorme.

Si era appellato ai parrocchiani affinchè, mediante una pubblica sottoscrizione, si impegnassero a raccogliere lire 2000 annue per cinque anni, in modo da saldare i debiti che si andavano contraendo.

Lunghissimo era l'elenco degli offerenti, il tutto era iniziato nel 1875 e si era concluso nell'agosto del 1879 con una somma totale raccolta pari a 9746, 39 lire.

Nella lista vi si trovavano il nome di tutte le famiglie tiranesi, comprese quelle di Madonna di Tirano.

Aristocratici, borghesi, il ceto contadino, tutti si erano mostrati uniti nell'unico intento di migliorare la chiesa parrocchiale.

Il tutto è testimoniato nel faldone della chiesa di San Martino al fascicolo “ Offerte, spese 1875-1881, ed Elenco sottoscrittori dal 1875 al 1879”.

Grazie a questo prezioso contributo, con atto notarile del 12 luglio 1878, i creditori davano al prevosto “piena quitanza e liberazione”, dichiarando estinto ogni impegno inerente al mutuo.

In questa vicenda se vogliamo economicamente molto complessa, si inseriscono due figure importanti al fine delle finanze e dei lavori del 1874.

 

Va ricordata in primo luogo la generosità della signora Antonia Grana, madre di Antonio Pievani.

Antonia Grana aveva, offerto per i restauri di San Martino la notevole somma di lire 4000, che corrispondeva ai due terzi del mutuo. La signora non aveva preteso gli interessi, ma aveva condonato anche buona parte del prestito con “ un dono si generoso nella sostanza e si delicato nella forma”, come scriveva don Albonico il 20 marzo 1878.

Anche l'architetto Carlo Maciacchini, per la progettazione e direzione dei lavori non aveva chiesto alcun onorario, se non il rimborso delle spese vive perchè “intedeva farne un dono alla chiesa e riteneva di aver fatto il tutto in onore e gloria di Dio”.

Il tutto è confermato in una lettera scritta da don Albonico alla Fabbriceria di Tirano, dove si afferma che al Maciacchini, veniva rimborsata la somma di lire 555,65:

“Non tenne conto se non delle spese borsuali e non mise fuori niente per l'opera sua di architetto”.

A titolo di gratitudine, prevosto e fabbirceri, avevano deciso di spedire nella residenza milanese dell'architetto ventiquattro bottiglie di buon vino valtellinese, commissionato presso la Società Enologica di Sondrio.

 

Da una nota, risulta la fattura della stessa Società Enologica datata 27 aprile 1887, per una spesa di lire 69.18 affrontata per dodici bottiglie di vino rosso e dodici di bianco, il tutto comprendeva trasporto e dazio.

Comunque già il 13 marzo 1877, Carlo Maciacchini, aveva riceva ricevuto il vino e così scriveva:

“ veramente non era il caso di prendersi tanto incomodo, perchè egli aveva fatto ben poco a vantaggio della chiesa di Tirano”.

In realtà, e lo sappiamo bene non era stato così, l'umiltà dell'uomo Maciacchini e le indiscusse doti di architetto di fama nazionale, ancor oggi nella nostra chiesa parrocchiale ci parlano di lui, facendoci apprezzare le sue maesose capacità.

Voglio ricordare che lo stesso architetto veniva poi successivamente contattato per la i lavori nel presbiterio della stessa Collegiata, ma anche questa è un'altra storia, ricchissima di particolari che vi racconterò nei prossimi mesi.

Va annoverato infine, che la firma dell'architetto di origini varesotte, è ben presente anche nella chiesa parrocchiale di San Pietro Martire a Baruffini, in merito all'ampliamento del 1876.

Anche a Villa di Tirano, nella chiesa di San Lorenzo la sua abile capacità è riconducibile agli ampliamenti e modifiche avvenuti tra il 1875 ed il 1880.

 

Ivan Bormolini

(fine terza ed ultima parte)

 

Fonte: La Chiesa di San Martino in Tirano. Autori Gianluigi Garbellini e William Marconi. Stampa Tipografia Bonazzi Sondrio

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