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Il nuovo piccolo romanzetto tiranese - "Quell'insolito matrimonio: fiori d'arancio in piazza Parravicini"

CULTURA E SPETTACOLO - 02 07 2020 - Ivan Bormolini

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/fontana piazza parravicini
PIAZZA PARRAVI,I LA FONTANA

(Prima parte di I. Bormolini) Nel secondo dopoguerra, a Tirano, così come in molte altre località, i problemi economici tra le famiglie erano molteplici, alcuni faticavano a mettere d'accordo il desinare con la cena.

Tanti si erano dati al contrabbando come attività principale, sfidando le avversità di quel mestiere sugli irti sentieri dei nostri monti. Altri avevano preso la difficile decisione di emigrare in terre lontane e sconosciute in cerca di lavoro e fortuna, con l'intento di rispedire a casa buona parte dei denari guadagnati con il duro sudore della fronte.

 

In una casa di piazza Parravicini, viveva con la moglie e due figli un piccolo artigiano edile. Questi era conosciuto da tutti per la sua maestria, diligenza ed affidabilità. Già precedentemente

all'esplosione della seconda guerra mondiale, aveva eseguito molti lavori. Anche durante la guerra, con il suo mulo che trascinava il carro con tutti gli attrezzi del mestiere e i materiali necessari per i suoi interventi, qualcosina aveva fatto.

Giuseppe, questo era il suo nome, era un reduce della prima guerra mondiale. Subito dopo il suo ritorno a casa si era ingegnato dando vita alla sua umile attività, aveva quel mestiere nel sangue frutto degli insegnamenti di un suo zio.

 

Ormai già avanti con l'età e privato degli affetti della madre e del padre, viveva solo in quella casetta di piazza Parravicini, ereditata dai genitori. Lo si vedeva ben di raro in giro, cantiere e casa. Coltivava alcuni prati al fine di dare buona erba e buon fieno a quello che sembrava essere il suo unico amico, ovvero il mulo Tobia, compagno di tante fatiche. Si era ancora lontani dal timore di un nuovo conflitto e una sorta di fiducia regnava tra la gente.

Un giorno, osservando il suo guardaroba, logoro e con quell'abito della festa che usava solo per andare alla messa grande della domenica, aveva deciso che andava data una ritoccata a quei vestiti.

Non solo, anche quel suo divanetto dove ogni sera si sedeva e si fumava la sua pipa, pareva aver bisogno di qualche intervento estetico.

 

Sapeva che nella vicina contrada di Santa Maria, viveva una sarta per altro molto nota in paese per le sue eccezionali doti nel maneggiare aghi, fili e tessuti, ben conosciuta anche dalle famiglie più agiate di quell'epoca.

Si chiamava Adele, anch'essa era piuttosto avanzata d'età e viveva sola, in un'umile dimora dove il suo laboratorio di sartoria, prendeva il sopravvento sui pochi mobili.

Era ormai definita la zitella della contrada; nessuno mai si era spiegato il perché, nonostante la sua bellezza che ancor conservava nonostante il trascorrere degli anni, quella donna fosse rimasta sola.

Ma ecco che vita era pronta a regalare delle ormai inaspettate sorprese; Adele accettando di dare una mano a Giuseppe nel sistemare il suoi vecchi e stinti abiti e rifare la copertura di quel divanetto, si era invaghita del muratore. Ed anche lui, iniziava a provare qualche emozione, nonostante la sua proverbiale timidezza e riservatezza.

 

Così nel giro di veramente poche settimane era nato un rapporto di amicizia che ben presto era divenuto amore.

La cosa ovviamente non era passata inosservata a coloro che abitavano tra la piazza Parravicini, via Ludovico il Moro e la contrada di Santa Maria. Tutti, soprattutto le vecchiette curiose, avevano notato gli strani movimenti dei due, era palesemente chiaro che non era ormai più una questione di semplice sartoria.

Il chiacchiericcio paesano a volte irriverente tra quelle storiche vie, sembrava essere divenuto un discorso a senso unico, tanto che anche tra le corti contadine, si iniziava a magheggiare su questa insolita coppia.

 

Si diceva:

Potranno pure magari sposarsi e farsi compagnia a vicenda, ma ormai di figli non ne potranno più avere, hanno sempre lavorato e messo via soldi....Un vero peccato non poterli lasciare a qualcuno.

Non hanno nessuno, se non pochi parenti alla lontana con i quali pare non abbiano rapporti per vecchie ruggini risalenti ai tempi dei loro avi”

I due che comunque si sentivano osservati da occhi indiscreti, procedevano per la loro strada, nel trascorrere di pochi mesi avevano deciso di sposarsi. In un battibaleno, Giuseppe aveva trasformato la sua casa ricavando spazi necessari per il laboratorio sartoriale di Adele e creando due nuove piccole stanzette. In cuor loro, accorgendosi che quel rapporto si fondava su un sentimento forte e sino a quel momento sconosciuto, avevano intenzione se Madre Natura fosse stata propizia, di avere dei figli.

Una sera si erano recati dal prevosto comunicandogli l'intenzione di volersi sposare. Ovviamente il buon prete, non aveva posto alcun veto a quell'unione e così aveva proceduto a compilare e affiggere le pubblicazioni di matrimonio.

Vi potete immaginare i fedeli in quella domenica mattina dopo la messa grande; quando si erano apprestati a leggere le pubblicazioni nella bacheca posta sulla facciata della chiesa, i commenti non si erano certo sprecati e le malelingue sembravano tagliare il ferro.

Persino il buon prevosto, tolti i paramenti liturgici e uscendo dalla chiesa con il tricorno sul capo, aveva indugiato nell'ascoltare quelle a volte pesanti affermazioni, inerenti ai due quasi novelli sposi.

Udendo le esternazioni dei fedeli e delle pie donne, non era riuscito a tenere la bocca chiusa.

 

Ma di cosa discorrete? Come potete voi giudicare questi due nostri parrocchiani? Non vi siete da poco confessati e non avete appena ricevuto la Santa Comunione? Mi pare che stiate già peccando con queste vostre parole e questa curiosità morbosa! Tornate alle vostre case e riflettete prima di emanare sentenze che non spettano a voi!

Quasi per evitare tutte quelle scene Giuseppe e Adele, quella domenica avevano disertato la funzione in San Martino, recandosi in santuario.

Per quelle che sino a qualche mese prima, parevano due anime solitarie, il problema era quello di trovare due testimoni.

Adele, parlando del fatto con una nobildonna tiranese, alla quale confezionava abiti per sé e per il marito, si era sentita dire che lei e suo congiunto sarebbero stati ben lieti di far loro da testimoni. Quella donna d'alto borgo e il suo sposo conoscevano da anni la sarta con la quale avevano stabilito un rapporto di incondizionata fiducia. Per di più Giuseppe aveva eseguito dei restauri nel loro palazzo, e quindi era conosciuto come uomo riservato e di poche parole, ma dalle mani d'oro. Il futuro sposo pur accettando la proposta, mostrava una certa reticenza, ma le buone parole di Adele, riguardo in particolare alla sua cliente lo avevano tranquillizzato.

 

Dopo essersi confezionata un modesto abito da sposa e un vestito degno dell'evento per il suo amato la data fatidica era ormai giunta.

All'ora stabilita di quel sabato, i due ed i loro testimoni erano davanti al prevosto ben lieto di celebrare quell'unione.

I novelli sposi non avevano organizzato nessun pranzo. Alla fine della celebrazione la sorpresa era giunta dai due nobili, che avevano fatto preparare nella sala più bella della loro dimora un pranzo davvero ricco, a cui era stato invitato anche il prevosto.

I due, un po' impacciati, non sapevano come fare a sdebitarsi con quei due due, avevano gustato quel cibo, annaffiato da buon vino di Valtellina continuando a ringraziare. Sembravano due pesci fuor d'acqua ed erano persino imbarazzati.

 

Ad un certo punto era intervenuto il nobile, che vedendo quella loro mestizia ed infinita umiltà diceva:

Carissimi Adele e Giuseppe, non abbiate timori per questo nostro piccolo regalo di nozze che io e mia moglie abbiamo pensato per voi e per il nostro reverendo prevosto.

Non occorre continuare a dire grazie, godiamoci insieme questo momento e soprattutto non sentitevi in alcun imbarazzo.

La gente ci vede come dei nobili, dei ricchi e come persone a cui portare rispetto e distacco. Vedete, anch'io e mia moglie viviamo in questa grande casa, ma purtroppo non avendo figli, ci sentiamo spesso soli.

Le persone che ci circondano e che sono della nostra stessa estrazione sociale, lo fanno per lavoro, ma il vero sentimento di amicizia è ben altra cosa.

Noi apprezziamo molto di più la vostra compagnia, e sappiate che per noi la differenza di classe, conta ben poco, sono ben altri i valori che ci piacerebbe poter avere nella quotidianità.

La vostra lieta unione ci sta facendo vivere una bella giornata e desidero che suggelli un'amicizia duratura per il futuro.

E adesso continuiamo a mangiare, senza alcun grazie”!

Il giorno successivo essendo domenica, Adele e Giuseppe si erano concessi una giornata di riposo, ed il lunedì successivo la vita quotidiana riprendeva in quella nuova normalità.

 

(Fine prima parte)

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