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La chiesa del Sacro Cuore: il lungo percorso per edificarla

CULTURA E SPETTACOLO - 05 05 2021 - Ivan Bormolini

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/FACCIATA SACRO CUORE

(Di I. Bormolini) Come si è potuto vedere nella fotografia di copertina pubblicata lunedì, l'oratorio era inizialmente privo del tempio. In questa piccola rassegna si andrà ad indagare sulla storia della chiesa del Sacro Cuore, l'ultima in ordine di tempo ad essere edificata a Tirano.

Nei periodi successivi all'inaugurazione della Casa del Popolo, era emersa l'esigenza di costruire una chiesa nelle immediate vicinanze del grande complesso. L'intenzione era quella di fornire ai giovani dell'oratorio un luogo di culto a loro riservato; nello stesso tempo si voleva dotare i nuovi quartieri che stavano sorgendo di un centro spirituale atto a garantire una costante presenza cristiana, con la possibilità di soddisfare il precetto festivo in loco.

Già il 2 febbraio 1913 si dava un acconto allo studio Zanchetta che aveva presentato un disegno della chiesa da costruire annessa all'oratorio.

Sempre nel mese di maggio di quell'anno, dallo Studio di Architettura milanese del capomastro e architetto Ugo Zanchetta e di dell'ingegner Giovanni Lovati, giungeva il preventivo sommario inerente la spesa per l'edificazione del tempio la quale, si aggirava sulle L. 22.000.

Viene da pensare che l'abilità e la professionalità dello Zanchetta, erano molto apprezzate e conosciute già da tempo nella Tirano di allora. Infatti oltre ad essersi già occupato della progettazione dell'oratorio con il socio Lovati, l'architetto aveva già operato da noi, basti pensare al suo disegno per la singolare e bellissima Casa Merizzi, sorta nel 1904 in quello storico viale Vittorio Emanuele, poi viale Italia.

Per seguire i lavori del tempio, è importante notare un minuzioso scambio epistolare tra lo studio milanese e gli amministratori locali rappresentati dal canonico don Modesto Monti.

Dall'analisi della corrispondenza, come scrive lo storico professor Gianluigi Garbellini, risultano evidenti due fattori: c'era la consapevolezza professionale dello Zanchetta e del Lovati, che si trattava di un'opera che ai due stava molto a cuore, la sua puntuale realizzazione si poneva come esempio in Valtellina per l'impiego di tecnologie all'avanguardia e nuovi materiali.

Se vogliamo pensarci bene, anche il progetto presentava forti innovazioni rispetto ai canoni costruttivi di più antichi edifici religiosi, è sufficiente osservare la facciata per comprenderlo.

Tuttavia, questa ventata di innovazione e siamo al secondo fattore, era causa di diffidenze e perplessità da parte dei committenti. Emergeva o meglio traspariva l'ansia del “far presto” e del “far bene” degli amministratori perennemente preoccupati dai costi e dalla paura di non poter far fronte agli impegni.

Si erano però rotti gli indugi, nella primavera del 1914 esattamente il giorno 14 maggio venivano affidati i lavori del tempio all'impresario tiranese Domenico Corvi. Questo rilevando dall'asta l'opera, si impegnava a costruire l'edificio sacro sino al tetto entro la metà di ottobre ed asseriva di concludere il fabbricato non oltre il 30 giugno del successivo anno, dopo la pausa dei lavori dovuti alla stagione invernale.

Il titolare dell'impresa aveva mantenuto quanto stabilito, risulta infatti che la costruzione della parte rustica era terminata nella tarda primavera del 1914, proprio nel momento in cui l'Italia entrava in guerra contro l'Austria-Ungheria.

Dunque le opere erano precedute in modo celere ma non senza momenti di difficoltà e incertezza.

Tutte queste emergevano dalla corrispondenza dello studio milanese che seguiva da vicino l'andamento dei lavori al punto da ordinare persino la demolizione dei muri della parte absidale in quanto non conformi al progetto.

Non senza fatica, l'architetto Zanchetta e l'ingegner Lovati, avevano inoltre dovuto fugare i dubbi riguardanti l'altezza della costruzione ed assecondare le continue richieste dei committenti.

Questi ultimi erano impensieriti anche dalle tecniche costruttive e dai materiali impiegati che prevedevano l'uso di cemento”Portland”, di putrelle, tondini, pilastri e volte ai quali si aggiungevano colate di calcestruzzo poste in opera con metodi allora inconsueti.

Per quel che concerne il capitolo dei pagamenti, l'Amministrazione della Casa del Popolo aveva assolto agli impegni in tre rate: la prima alla metà del lavoro di muratura, la seconda alla posa del tetto e la terza a opere concluse, con una ritenuta del 20%, somma che comunque il Corvi avrebbe ricevuto dopo il collaudo.

Sotto il profilo economico-finanziario, tutto era proceduto bene, grazie anche alla donazione e generosità dell'Arcivescovo Giacomo Merizzi che da solo aveva messo a disposizione il 60% dei fondi necessari per il primo lotto dei lavori.

Con quietanza del 24 gennaio 1916, Domenico Corvi dichiarava di aver percepito per la costruzione del rustico della chiesa la somma di L. 25.744, secondo i patti stabiliti.

Come appurato sin qui, si è parlato di un rustico, quindi di uno stabile bisogno di altri interventi al fine di essere ultimato e poi consacrato.

Secondo la stima del capomastro Luigi Noli del 29 dicembre 1914, quindi precedente all'ultimazione dei lavori da parte del Corvi, per il completamento della chiesa necessitavano ancora L. 40.000. Forse più realisticamente lo stesso costruttore Corvi, al termine dei lavori compiuti dalla sua impresa, decretava che per rendere “funzionante” la chiesa sarebbe stato necessario un investimento pari a L. 10.798.

Il tutto però doveva essere rimandato a tempi migliori a causa del primo conflitto mondiale, per lunghi anni l'erigenda chiesa era rimasta un casermone privo di infissi e come tale, probabilmente assieme al cortile e ad alcuni vani dell'oratorio era passato nelle mani del Comando militare del Genio di Brescia fino al 1920.

L'appuntamento conclusivo sulle vicende di questa chiesa sarà pubblicato domani.

 

FONTE: LE CAMPANE DI SAN MARTINO. N° 4 QUARTO TRIMESTRE DICEMBRE 1992. Articolo: LA CHIESA DEL SACRO CUORE. Autore: Gianluigi Garbellini. Fotocomposizione e Stampa: Tipografia Petruzio Tirano.

La foto di copertina è di Ivan Bormolini.  

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