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Le storiche epidemie in Valtellina e in Valchiavenna

CULTURA E SPETTACOLO - 05 03 2020 - Ivan Bormolini

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/Una rappresentazione storica della peste bubbonica
Una rappresentazione storica della peste bubbonica

(Di I. Bormolini) E' a tutti chiaro che il coronavirus o Covid 19 sia fonte di preoccupazione su tanti fronti. Come mia consuetudine, ho deciso di fare una piccola analisi storica su epidemie e pandemie che nei secoli passati avevano interessato le nostre valli.

Si narra che la prima epidemia di peste era comparsa in Valtellina nel 1631 ed era proveniente dalle zone di Milano, Como e Pavia. In questo caso non era stata stilata una lista dei decessi.

E' facile dedurre che Valtellina e Valchiavenna, siano state risparmiate, grazie anche al loro isolamento geografico da una diffusissima ondata di peste nera, la stessa che il Boccaccio descrive nell'introduzione del Decameron.

 

Negli ultimi periodi del 300, si erano nuovamente sviluppate altre ondate di pestilenza in Italia, ma anche in questo frangente scarseggiano le notizie sui contagi tra le nostre zone.

Il secolo successivo invece è più ricco di notizie e si fanno interessanti le documentazioni in materia. Queste portano a conoscenza di diverse ondate di malattie di diverso tipo e largamente diffusa era la peste.

Nel 1432, si annovera la peste nel morbegnese, nel 1468 un'epidemia aveva interessato la terra di Bormio ed una seconda si era verificata nel 1485 sempre in questa zona.

Nel biennio 1512/14, si fronteggiava ancora la peste a Bormio e a Morbegno.

La stessa epidemia nel 1526 interessava Sondrio, il Terziere di Mezzo e quello Superiore, nuovamente, due anni dopo i residenti di Morbegno ne erano interessati.

Al fine di invocare la cessazione di queste epidemie, che avevano un larghissimo tasso di mortalità, la fede popolare diveniva ancor più sentita.

 

Nel caso della peste del 1432 nel morbegnese, gli abitanti avevano fatto voto di devozione distribuendo pane e vino ai poveri.

A Bormio, soprattutto nel 1495, si era fatto voto a Dio, alla Vergine Maria e ai Santi Sebastiano e Rocco. Non erano mancate le processioni devozionali ai santuari di Santa Maria di Monastero e Santa Maria di Gualdo.

In occasione della peste diffusasi a Bormio negli anni 1512/14, veniva edificata, sempre ai fini devozionali, la chiesa Santa Barbara.

Per tutto il XVI secolo, rimanevano endemiche, ovvero costantemente presenti e molto frequenti, le forme di pestilenza nelle nostre valli.

 

A testimonianza di questo, oltre ai fattori devozionali, si registravano vari provvedimenti che potremmo definire come pubbliche misure.

Fra questi chiusure di passaggi e ponti, vigilanza dei confini comunali ed ancora rifiuto di accesso di persone, animali e cose provenienti da zone infette.

Se poi la malattia si diffondeva rapidamente ed ugualmente, sia assumevano medici, infermieri e nuovi “becchini” addetti alla sepoltura.

Nel giugno del 1629 Villa di Piuro ( divenuta Villa di Chiavenna nel 1861 ), era stata il primo centro ad essere infettato dalle avanguardie dell'esercito imperiale.

 

Dai registri parrocchiali, in merito ai morti si evince che in quell'infausto mese, morivano ben 308 persone. Un dato davvero importante e largamente sopra la media di quel luogo, che in periodi normali registrava circa 11 morti al mese.

Dalla chiavennasca, la peste andava diffondendosi in modo rapido fra le zone della bassa e media Valtellina.

Gli abitanti di Morbegno, rinnovarono la devozione al Beato Andrea da Peschiera, impegnandosi con solenne voto al fine di ottenere il riconoscimento canonico del suo culto, questo avveniva effettivamente nel 1641.

Nel capoluogo di provincia, la peste era già presente nel 1629, in quell'anno si registravano 22 morti.

Nelle zone di quell'epidemia la quale aveva colpito soprattutto la Val Malenco, Montagna ed appunto il sondriese, emerge un nuovo dato eclatante.

 

L'arciprete Parravicini, nei periodi precedenti alla peste calcolava una popolazione di circa 3000 persone, dopo il 1630 questa si era ridotta a 900 anime.

A Chiuro il primo caso di peste si registrava il 15 aprile, in questo paese l'epidemia, durata sino al 1632, aveva provocato 600 vittime.

Per quanto concerne Tirano, la peste si manifestava il 18 ottobre e sono moltissime le tristi cronache risalenti al 1630.

Vi riporto un solo dato: da una popolazione tiranese che nel 1589 contava 5400 abitanti, nel solo gennaio del 1630 si era avuto un enorme tasso di mortalità pari a 145 persone, in febbraio 182 e nel solo 30 marzo 27.

 

Una nuova ondata epidemica si era manifestata nel Terziere Superiore nel 1635, dove il 3 luglio presso Mazzo, l'esercito del duca di Rohan aveva sconfitto le truppe imperiali. Ai saccheggi ed incendi, provocati dai soldati, ne era conseguita una nuova peste, questa si era rivelata particolarmente virulenta nelle comunità che pochi anni prima ne erano state meno colpite.

Mazzo, registrava 135 morti nel 1635 e 297 nell'anno successivo. A Grosotto perdevano la vita circa 500 persone e a Lovero 250.

Ancora una volta il contagio, si era esteso nel bormiese nel modo più grave, in questo luogo dove non era ancora giunta la peste del 1630, stando ai cronisti negli anni 1635/36, si erano sepolti ben 5000 decessi.

 

Ivan Bormolini

 

FONTI: Storia di Valtellina e Valchiavenna. Autori D. Benetti e M. Giudetti. Cooperativa Editoriale Quaderni Valtellinesi. Stampa: Finito di stampare nel novembre 1998 da Polaris srl, Sondrio.

Storia della medicina e della sanità in Valtellina. Società Storica Valtellinese, l'officina del libro editore. Stampa: Finito di stampare nel mese di dicembre 1998 dalla Tipografia Bettini Sondrio.

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1 COMMENTI

05 03 2020 09:03

Méngu

Caro Ivan , ringrazio per il chiaro riassunto delle varie epidemie successe in valle. Mi hai portato ad un pensiero personale, forse non troppo condivisibile tra tante persone del terzo millennio. Ed è questo: mi stupisce la quantità di morti in quelle epidemie. Penso alla grande “ rassegnante, desolazione, sconforto “ delle persone di quei tempi la cui vita probabilmente per molti era grama, ma anche preziosa e sacra come del resto è ora per noi. Ma loro forse avevano meno paura di morire di noi postmoderni, tutelati e curati sino all’ultimo respiro. In tante occasioni la loro medicina era anche la preghiera e la loro sofferenza veniva spesso accompagnata fino alla fine dalla quieta rassegnazione in una volontà e in abbandono in Dio. Forse al giorno d’oggi questo modo di soffrire è venuto meno e la paura ci avvolge come una tetra coperta . Non so dire quale via sia la giusta, ma so per certo che si muore per un nonnulla e la nostra vita è attaccata “ a un filo “ . Forse conviene, nei momenti meno oscuri e salubri, ripristinare e pensare ad una vita meno egoista e più solidale, più fraterna , meno boriosa e prepotente, meno frenetica e più quieta, ed essere convinti che “ uno vale uno “ con qualsiasi colore della pelle e razza che sia. Forse la sofferenza e il disagio e la paura, allora, sarà meno pesante per ognuno di noi. Ciàu e grazie.