MENU

Tutto ebbe inizio nell'autunno del 1629

CULTURA E SPETTACOLO - 05 10 2017 - ivan bormolini

CONDIVIDI

/tirano san martino

(A cura di Ivan Bormolini) In quegli anni la Valtellina era diventata, suo malgrado, un grande campo di manovra per gli eserciti europei. Gli interessi delle grandi potenze europee s'incrociavano e si scontravano, come narra il Varischetti, proprio in questa nostra sfortunata valle.


Soldati di ogni risma scorrazzavano tra le nostre genti rubando viveri e distruggendo le nostre colture.
E' chiaro, e sono gli eventi storici legati alle guerre e alle persecuzioni, che tutto questo generava carestie,  e quando un popolo è malnutrito e ridotto in povertà, le epidemie trovano, purtroppo ancor oggi terreno fertile nel loro rapido dilagare.

 

Ma rimaniamo a quell'autunno del 1629, le condizioni per il diffondersi della peste, erano favorevoli, le epidemie legate a questo male si susseguivano ciclicamente, vi erano brevi periodi di tranquillità, e lunghi tempi in cui la mortalità legata a questa epidemia imperversava in modo drammatico.
L'inizio e la rapida diffusione della peste dall'ottobre 1629, sino a tutto l'anno successivo, leggendo gli scritti di alcuni illustri storici locali, è riassumibile in un solo termini ovvero flagello, anzi per rendere ancor meglio l'idea possiamo dire immane flagello.
La testimonianza drammatica di questo periodo a Tirano, la fornisce “Il Libro dei Morti” custodito nell'archivio parrocchiale di San Martino che i parroci tenevano costantemente aggiornato.
Nel caso particolare che stiamo trattando, è sin troppo dettagliata la triste anagrafe che l'allora parroco Andrea Lanfranchi ( 1 ), aveva redatto sin dagli inizi della peste a Tirano.

 

L'elenco dei morti si apre con un certo Tomaso Malenco, morto di peste che aveva circa trent'anni ed era stato confessato dal Lanfranchi e ristorato con la Santa Comunione, prima di morire ed essere sepolto in Campone. Era il 18 ottobre 1629.
La moglie di Tomaso, Maria, moriva “ in suspectu pestis'” il 9 novembre. Il diffondersi rapido dell'epidemia parla di 30 morti a novembre e 98 a dicembre. Il 1630 si apre con dati ancor peggiori 145 decessi a gennaio, 183 a febbraio e 219 a marzo. In aprile, solo nei primi tre giorni le morti sono state 25, tuttavia l'anagrafe del parroco Lanfranchi si interrompe il 4 aprile, in quanto anch'egli era stato contagiato dal male che l'aveva portato alla morte poche settimane dopo. 

 

Questi numeri però, non esprimono con ogni probabilità l'esattezza dei morti a Tirano, si rammenta infatti che questo lungo necrologio includeva solo i decessi delle persone che i sacerdoti avevano potuto assistere e ne avevano conosciuto le condizioni; è quasi certo che altri potevano essere sfuggiti a chi annotava i decessi in una situazione certamente confusa e caotica come quella che si era generata nel borgo in quel tempo. 

 

Addirittura si era arrivati a stimare la cifra di 4.000 morti solo a Tirano, tali numeri possono sembrare esagerati, ma con quasi certezza ci si riferisce anche alle popolazioni di alcuni paesi dei dintorni che erano convogliate nel Lazzaretto di Tirano.
Attorno al Santuario, si erano realizzate delle baracche da adibire a ricovero degli appestati, poi lo stesso luogo dell'Apparizione era stato trasformato in un grande Lazzaretto, dove gli ammalati languivano sul pavimento dove era stata collocata un po' di paglia. Si evince che nelle registrazioni parrocchiali, la maggior parte dei decessi era segnalata  “in aedibus Mariae V.” ovvero negli edifici del Santuario.

 

Negli studi pubblicati in merito a quel periodo si denota l'eroismo dei sacerdoti tiranesi nell'assistenza agli appestati.
Nel convento dei Capuuccini, sorto nella zona dell'ex ospedale di Tirano, si dice che ben 17 padri avevano trovato la morte nel periodo della pestilenza.
Allora erano assai numerosi anche i sacerdoti della parrocchia, erano 8 addetti alla stessa chiesa e 4 di servizio al Santuario. Si narra che erano tutti morti di peste, appunto assieme al prevosto Lanfranchi, e l'unico superstite era un sacerdote della famiglia Merizzi.

 

Alla fine di aprile del 1630, in soli quattro giorni, è segnalata la morte di Frate Carlo, Padre Pietro, quest'ultimo priore degli Agostiniani che avevano il loro convento nello stabile dell'attuale Municipio, di Frate Bartolomeo e di altri sacerdoti, don Antonio Crotti, don G. Battista Canobbio, don Nicolao Venosta ed il già menzionato parroco.
L'analisi dei fatti ci porta a pensare anche ad un altro grave problema, ovvero la sepoltura dei morti; Tirano era divenuto un unico cimitero, infatti oltre che seppellire nei luoghi tradizionali, ovvero in San Martino, in San Giacomo e a Santa Maria del Castello oltre che nella Basilica di Madonna di Tirano, si seppelliva in Campone, vicino all'Adda esattamente in corrispondenza dell'attuale ponte di via Martiri della Libertà, vicino al Poschiavino, nei campi e nei prati, nella zona di Porta Bormina ed anche negli orti di famiglia “ sepolto in hotulo suo”.

 

Quest'ondata di peste, aveva colpito senza distinzioni alcune uomini importanti e uomini popolani, donne, bambini e giovani, un'immane epidemia che comunque si era protratta non solo per tutto il 1630 ma bensì anche per quasi tutto l'anno successivo.
Ma le autorità locali come si muovevano e con quali regole al fine di tentare di arginare l'epidemia?
E' evidente che nessuno era rimasto con le mani in mano, ad assistere con impotenza al diffondersi della peste. Sappiamo che il bacillo della peste era stato scoperto alla fine dell' 800, ed allora occorreva correre ai ripari con interventi d'urgenza. IL 20 febbraio del 1630 si riuniva un'assemblea del Terziere Superiore dove si emanava un “Editto, decreto e proclama”, in esso erano contenuti divieti prescrizioni e ordini “ acciò le terre infette si curino et le altre si perseverino dal mal contagioso della peste”

 

Viene facile comprendere, in conclusione, come il popolo di Dio implorasse in quei tempi la frase latina “a peste fame et bello libera nos, Domine!”: Signore, allontana da noi la peste, la carestia e la guerra!

 

 

(1) Il parroco di San Martino Andrea Lanfranchi: ha retto le sorti della parrocchia e dei tiranesi dal 1621 al 1630. Succedeva al secondo parroco Martino Manfredotti, eletto quest'ultimo dopo la storica figura di Simone Cabasso.
Durante la peste, annota il Varischetti, morì assitendo con generosa dedizione gli appestati. Nel già citato Libro dei Morti si dice di lui: “ fu sempre pronto e diligentissimo ad assistere i malati e i colpiti dalla peste, li confessava   e amministrava loro i sacramenti con le proprie mani.... Egli pure colpito dal male levate al cielo le mani morì affidando a Dio la sua anima”.
Oltre a questo esempio di uomo che ha incarnato sino all'ultimo respiro ( 22 aprile 1630 ), le drammatiche esigenze dei suoi parrocchiani con amplissimo ed direi eroico zelo, il Lanfranchi era stato protagonista proprio nel settembre del 1629 delle celebrazioni ufficiali della nomina della parrocchia di San Martino a Collegiata, un passo storico importantissimo per la totale indipendenza dall'Arcipretura di Villa di Tirano, quando vescovo di Como era Lazzaro Carafino.

 

FONTI:

  • Aspetti di vita quotidiana a Tirano al tempo dei Grigioni ( 1512-1797 ). Autore William Marconi. Stampa Bonazzi Grafica Sondrio 1990.
  • Tirano. Autore don Lino Varischetti. Finito di stampare il 29 settembre 1961 presso la Tipografia Bettini in Sondrio.
  • La Chiesa di San Martino in Tirano. Autori Gianluigi Garbellini e William Marconi. Finito di stampare nel mese di dicembre 1999 dalla Tipografia Bettini Sondrio.

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI