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“Bitto, grazie agli allevatori”. Ora spingere su promozione

ECONOMIA E POLITICA - 20 10 2021 - Redazione

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“Il successo del Bitto lo si deve, in primis, al lavoro degli allevatori che ogni anno affrontano la vita d’alpeggio per dare continuità a una tradizione che affonda le sue radici nei millenni, fino a perdersi nella leggenda. E’ sempre bene ricordarlo e, per parte nostra, l’impegno ad agire per difendere una categoria d’impresa che, oltre al valore economico, costituisce un baluardo di tradizione culturale ed economica importantissima per l’intera Valtellina. E’ agli allevatori che va data voce e detto grazie se questo formaggio ha un futuro”.

 

Nel tracciare il bilancio – positivo – della stagione di produzione del più celebre formaggio d’alpeggio della provincia di Sondrio, il presidente della Coldiretti provinciale rimarca “il ruolo crescente che il Bitto riveste per il brand gastronomico valtellinese. Ruolo che ci auguriamo possa essere sempre più rafforzato anche sui mercati esteri, affinchè si possa cogliere in toto il volano offerto dall’appuntamento con le olimpiadi di Milano-Cortina 2026: l’apertura della fase post-pandemia in Europa vede rafforzato l’appeal del made in Italy ed è importante costruire nuove alleanze di filiera. A partire, ovviamente, da turismo e ristorazione: i nostri agriturismi di Terranostra e Campagna Amica, ad esempio, sono impegnati in un’attenta valorizzazione del “paniere made in Sondrio”, svolgendo un’importante azione di promozione anche nei confronti dei visitatori stranieri che raggiungono il territorio”.

 

Per assicurare futuro al Bitto e agli altri formaggi d’alpeggio, però, “occorre una forte sinergia che tenga conto delle difficoltà di chi opera in montagna e che possa rendere sempre più attrattiva l’attività d’impresa in quota anche per le giovani generazioni. Non dimentichiamoci che la transumanza è stata riconosciuta dal 2019 “Patrimonio Immateriale dell’Unesco” e come tale va valorizzata. Occorre un forte marketing territoriale, ma anche il dotare le imprese che operano in alta montagna degli strumenti necessari, tra cui la garanzia di connessioni efficienti. Su questo punto, va detto che la cosiddetta Agricoltura 4.0 può essere d’aiuto anche alla più antica tradizione”.

 

Il lavoro dei nostri allevatori – conclude Marchesini – “rappresenta una presa di coscienza anche politica di una realtà strategica per la salvaguardia del patrimonio zootecnico: nello spostamento di bovini e ovini alla ricerca di prati adatti non c’è solo un’abitudine tramandata da intere generazioni c’è soprattutto una prassi ecosostenibile che porta bovini e ovini alla ricerca di prati adatti alla buona alimentazione necessaria alla produzione di latte, carne di alta qualità. Il futuro è assicurato, come detto, dall’impegno di molti giovani che scelgono di continuare l’attività di famiglia o, addirittura, di intraprendere ex novo un lavoro che è, certamente, anche una scelta di vita a contatto con la natura e la montagna, consapevoli dell’importanza di tramandarne tradizione e memoria”.

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