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La scuola che ci insegna a crescere

SCUOLA - 20 04 2018 - Alessandro Cantoni

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Fiducia nei ragazzi e nella Scuola. La Dott.ssa Rossana Russo, Preside dell’Istituto di istruzione superiore Balilla Pinchetti, parla di crescita e di speranza. Benessere degli studenti, valorizzazione, ma anche una sana fatica, l’importanza dei successi e degli insuccessi per imparare ad affrontare la vita, nelle sue difficoltà. Un dialogo a tu per tu con la dirigente. 

 

 

Dottoressa Russo, in una recente pubblicazione, il sociologo Paolo Crepet si interroga sul futuro della scuola italiana. Si chiede: la scuola ha ancora il coraggio di bocciare?
Io direi proprio di sì. La scuola boccia. La scuola superiore si trova a gestire il percorso di uno studente, anche in previsione di un inserimento lavorativo, e quindi deve verificare il possesso dei requisiti. 
Sarebbe interessante ragionare sul valore della bocciatura. Non lo ritengo, di per sé, un successo. Sarebbe meglio riuscire a individuare qual è la strada dello studente e quindi optare per un orientamento o mettere in campo quelle che possono essere delle azioni per sostenerlo, come corsi di recupero, sportelli help, qualche volta incontri con la psicologa. Tuttavia si mettono in campo tutte le azioni prima di arrivare al termine dell’anno e alla decisione finale. 

 

È necessario che la Scuola mantenga il suo ruolo educativo. Educare significare tirare fuori, in questo caso il talento e le passioni. Lei crede che l’istituzione scolastica svolga ancora questa sua funzione?

Ci prova. Il fatto che molti ragazzi abbiano diversi stili cognitivi mette alla prova la Scuola e gli insegnanti, cercando di capire qual è la chiave per riuscire a coinvolgere gli studenti. Dobbiamo essere più coinvolgenti, tenendo conto che ciascuno ha la sua personalità e il proprio stile. 

 

Gli studenti iscritti a istituti tecnici-professionali, in Italia, sono in costante diminuzione. Non crede siano necessari maggiori investimenti, vòlti allo sviluppo e all'intensificazione di queste scuole? Come ritiene si possa affrontare la questione? 
Partendo dall’esperienza del nostro Istituto, posso dire che gli iscritti sono aumentati nelle classi primarie. Sul tecnico c’è una situazione stazionaria. Innanzitutto, è importante un orientamento impostato nell’ottica del benessere dello studente. Non sarebbe produttivo avere un numero eccessivo di liceali né di studenti professionali. Per quanto riguarda la nostra provincia, tuttavia, vi è molta necessità di studenti di formazione tecnico-professionale. Per loro, però, è fondamentale non manchi un aggiornamento costante dei laboratori… 

 

Esattamente. Si parla infatti molto spesso di industria e di scuola 4.0, malgrado numerosi istituti siano sprovvisti dei più elementari supporti tecnologici. A quali modelli virtuosi occorre guardare, secondo lei? 
Dal punto di vista dell’investimento tecnologico, in alcuni stati europei si sono già fatti molti progressi. Fortunatamente, anche le nostre scuole stanno cercando di potenziare l’ambito tecnologico. 

 

Con successo?
Con successo, perché quantomeno viene garantita la presenza di laboratori. Nel professionale è imprescindibile. Lo stesso vale per l’istituto tecnico e i licei. Per quel che riguarda l’ambito tecnico-economico ci devono essere dei programmatori e laboratori. Da qualche anno ci hanno sostenuto i progetti europei. I PON, che prima erano destinati solamente a poche regioni del Mezzogiorno, per lo sviluppo economico, ed ora sono stati estesi in tutta Italia. Con il nostro Istituto, partecipiamo a laboratori didattici innovativi e abbiamo ottenuto la possibilità di acquistare e rinnovare due laboratori, uno del professionale e uno del tecnico. 
Sulla mentalità siamo ancora un pochino indietro. Non può mancare questo aspetto dell’innovazione, che è più di servizio. Non è prioritario quanto quello teorico, ma la scuola deve essere aggiornata il più possibile. 

 

Lei sa che nelle grandi aree metropolitane, è ormai possibile entrare in contatto con diverse figure professionali specializzate (tecnici, idraulici, elettricisti, ebanisti, ecc.) grazie ad applicazioni installabili su smartphone o altri dispositivi elettronici. Ritiene si possa realizzare un progetto simile anche nel nostro territorio?  
Sarebbe più che auspicabile. Io vedo che i giovani hanno una totale naturalezza nei confronti delle App, in generale. Percepisco questo come un linguaggio e uno strumento del tutto naturale. Molti di loro si dilettano, anche con successo, a inventare nuove applicazioni, che hanno una funzione di servizio davvero utile in diversi contesti. Credo che familiarizzare con questo linguaggio potrebbe rivelarsi utile. In un contesto più piccolo come il nostro si procede molto per conoscenza diretta, ma non ritengo assolutamente improbabile la sua proposta. Anzi, probabilmente i nostri ragazzi ci aiuteranno a proporre questo tipo di nuove soluzioni. Sarebbe importante, a livello lavorativo, sfruttare questi progetti anche in altri contesti, come quello sanitario o scolastico, per rendere più semplici visite, ecc. 

 

Ha parlato di invenzione. Lei sa che creatività, coraggio e capacità di mettersi in gioco sono i tasselli fondamentali per costruire il proprio domani. Non crede si siano sbiadite un po' troppo queste qualità? Soprattutto, a mancare è la parola futuro, innovazione. In tutto questo, qual è la responsabilità della Scuola e delle istituzioni? 
La Scuola ha una grossa responsabilità. Segue gli studenti dall’infanzia fino alla maggiore età. Dal mio punto di vista, il modo migliore per venire a scuola sarebbe quello di divertirsi. Un luogo in cui venire volentieri, senza temere la fatica e, al tempo stesso, guardare con fiducia al proprio futuro. 
Spesso, invece, la Scuola è percepita come una costrizione. È vero che c’è poca possibilità di scegliere, come invece accade nelle Università. Il curriculum degli studenti è già piuttosto definito. La Scuola rende però merito agli studenti, mettendoli nelle condizioni di sviluppare il proprio talento, la propria creatività. Devono essere liberi di scegliere la strada per il loro futuro con fiducia. La Scuola vuole aiutarli a crescere, ma ci sono comunque degli obblighi, non molto graditi! Il percorso è costellato di difficoltà, che aiutano a crescere. 

 

Sono d’accordo. Lei sa che in molti Paesi del nord Europa, gli insegnati svolgono un ruolo pedagogico fondamentale. Gli studenti vengono seguiti quasi individualmente. Quanto conta, in questo senso, che i docenti segnalino le competenze degli studenti? Per farlo non servirebbero ulteriori criteri di valutazione, oltre a quelli già esistenti? 
La didattica per competenze è un tema che si affronta da diverso tempo. Gli insegnanti hanno seguito un corso sulla didattica per competenze, qui a Tirano. Il passaggio non è semplicissimo, perché poi si arriva al famoso esame di Stato in cui gli aspetti contenutistici vengono richiesti. Però le due cose non sono in contrasto. Si parte da una conoscenza, fondamentale, per poi arrivare a saper fare qualcosa di più specifico, legato al proprio ambito. 
Ho avuto modo di conoscere alcuni sistemi scolastici europei. Abbiamo partecipato a scambi con la Finlandia, la Catalogna, la Germania. Effettivamente, ci hanno spiegato come funziona. Da noi viene ovviamente privilegiato l’aspetto culturale, imprescindibile. Nella fase dell’istruzione superiore credo sia fondamentale un’ottima impostazione di tipo formativo.  

 

Parliamo ora del sistema scuola-lavoro. Com’è stata valutata l'alternanza scuola-lavoro da parte sua e dei ragazzi? L'hanno considerata un'esperienza utile e conforme ai loro bisogni?
Faccio una premessa. Nell’ambito degli istituti tecnico-professionali, l’alternanza scuola-lavoro era già praticata da diverso tempo, ma sotto forma di stage volontario. L’obbligatorietà ha rimarcato il senso della fatica di entrare in contatto con le realtà locali, in un territorio comunque limitato e nonostante l’elevato numero di studenti. 
Abbiamo però cercato di parlare con gli studenti per comprendere quale fosse il loro percorso e curriculum. Il passaggio più delicato è stato con i ragazzi del liceo. 
Pare che questa proposta sia stata valutata abbastanza positivamente anche dai ragazzi. Ci sono state esperienze particolarmente rilevanti, come quelle fatte in università, che hanno dato l’opportunità di partecipare a dei laboratori. Certamente gli studenti sono molti, quindi non è semplice gestire ogni singola scelta. Siamo sempre pronti a migliorare. 


Veniamo ora ai diritti delle donne. L'Istituto di istruzione superiore Balilla Pinchetti ha aderito all'iniziativa del Miur, Noi siamo pari. Un progetto, ricordiamolo, contro gli stereotipi. Crede si siano conseguiti importanti traguardi in materia di pari opportunità? 

C’è ancora molto da fare. Il fatto che noi ne parliamo è molto significativo, ma ci sono due aspetti da considerare. Da un lato le pari opportunità nell’ambito lavorativo, professionale. Dall’altro c’è il discorso del rispetto. Quello che emerge è che vi sono ancora molti femminicidi o situazioni analoghe. Su questo si è cercato di sviluppare un percorso in collaborazione con l’associazione Veronica Balsamo, nelle classi. È importante che vi sia la consapevolezza che tutti dobbiamo partecipare a far sì che il rispetto diventi un valore interiorizzato. 

 

C’è, secondo lei, questa cultura del rispetto in ambito scolastico? 
C’è molto da fare, anche se si sta lavorando in questo senso. 

 

Senta, un'ultima questione. Le vorrei chiedere cosa ne pensa del "buonismo genitoriale". Non crede che gli insegnanti dovrebbero recuperare maggiore autorevolezza nei confronti di alunni e genitori?
Secondo me i genitori devono recuperare fiducia nei confronti della Scuola. Prevale però l’idea che non debba più esserci una divisione dei ruoli, delle competenze. Bisogna dire agli studenti come stanno le cose. Un’insufficienza non è la fine del mondo… È un momento di crescita, se spiegata e fonte di riflessione per poter migliorare. I ragazzi non devono avere paura di qualche insuccesso, perché lo avranno comunque nella propria vita. La scuola è una palestra di vita. Non bisogna temere l’errore, perché è impossibile pensare che non sbaglino mai. Non ci sarà sempre un genitore che possa correre a salvarli.
Tendenzialmente c’è un’ottima collaborazione con le famiglie. La sinergia è fondamentale. Senza questo aspetto non si andrebbe da nessuna parte.  

 

A cura di Alessandro Cantoni

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1 COMMENTI

21 04 2018 12:04

Méngu

“Un’insufficienza non è la fine del mondo… È un momento di crescita, se spiegata e fonte di riflessione per poter migliorare. I ragazzi non devono avere paura di qualche insuccesso, perché lo avranno comunque nella propria vita”. Desidero soffermarmi su questa affermazione che , a mio avviso, è molto importante. Parlo per la mia esperienza. Studente negli anni ’60 all’Istituto Tecnico Esperia di Bergamo ho avuto modo d’aver professori molto preparati e , cosa ancor più gradita pensando con l’intelletto d’oggi , professori severi e giusti. Ricordo il mio professore di elettrotecnica che durante gli esercizi alla lavagna ci seguiva con occhi d’aquila, e ad ogni colpo di gesso errato ci diceva “ attento, lei si sta scavando la fossa con le proprie mani “ . Era una “ locuzione “ che certamente non era gradita all’interrogato e che faceva tremare le vene ai polsi, ma che ci temprava il carattere facendoci ragionare anche con la tremarella d’aver un tre sul registro e d’andare a ottobre o anche d’essere bocciati. Lo stesso la professoressa di matematica che ci diceva, una volta si e una volta no guardandoci in faccia, “ mi sembrate rimbecilliti “ . Poche volte ci sussurravano “bravo”. Sbagliato ? Forse si con la mentalità d’oggi. La Vita , specie al giorno d’oggi, si è fatta più spietata e meno solidale di allora, perciò occorre essere corazzati davanti ad ogni delusione , ad ogni insuccesso per poter rialzarsi e continuare il percorso. A volte gli insuccessi temprano, anzi una vita continua di successi è una vita monotona e stanca. Il successo ubriaca rendendo molli e imbelli e alla prima vera tempesta si cade. La natura stessa insegna che v’è il bel tempo e il cattivo tempo. Ci sono anche le tempeste, dopo la tempesta occorre alzarsi e non mugugnare e rimpiazzare la palla agli altri colpevolizzando. Quando poi sento che i genitori degli scolari giudicano i loro maestri mi vien da dire che il giudizio lo deve fare solo il preside che è titolato per questo. Troviamo genitori più ignoranti dei loro figli, e che magari fanno la voce grossa con gli insegnanti . Poveretti, mentecatti e ignoranti, vadano loro sui banchi di scuola, che con ogni probabilità ne sanno meno dei loro figli. Metterei sulle aule di visita agli insegnanti un cartello con scritto “ Esamina te stesso e poi parla “ . Ricordo con nostalgia e amore insegnanti come Turri , Mariani, Grasso, Sidoli , Calabrò e tante brave maestre , severe con noi ma che ci hanno educato e dato un insegnamento che continua in noi e che noi vecchi, malgrado la nostra buona volontà, non possiamo più dare ai nostri figli o nipoti perché ormai, secondo le moderne teorie di insegnamento, siamo obsoleti e non degni di essere ascoltati. Obsoleti non tanto, a guardare certi risultati su certi giovani d’oggi. Dirò la mia fino in fondo: qualche pedata nel sedere, qualche scappellotto, qualche punizione severa i genitori farebbero bene a darli ai loro figli e farebbero ancor meglio a riflettere prima di giustificare i loro figli innanzi ai loro insegnanti. Quando veramente occorre, gli scappellotti, le pedate nel sedere, le punizioni le diano pure senza rimorsi di coscienza , poiché state sicuri, che se non li darete a tempo debito e da giovani , quando cresceranno mal educati e ignoranti li daranno a voi quando sarete vecchi e avrete delle amarissime delusioni. Ricordate: la buona educazione e la cultura val ben più dei “ contentini “ o delle robe che lascerete in eredità. Chiedo scusa se ho parlato da incompetente scolastico, ma mi sembra di aver parlato da competente della Vita.