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Due rabdomanti a Ronco (ovvero: chi cerca trova)

CULTURA E SPETTACOLO - 31 05 2021 - Ezio (Méngu)

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/Un viandante si disseta al “funtanìn” della Valle della Ganda
Un viandante si disseta al “funtanìn” della Valle della Ganda

Carissimi, la pandemia di Coronavirus, per nostra fortuna, si sta affievolendo e tra le infinite cose di cui ci ha privato in questo anno e mezzo, c’è anche il sorriso. Il nostro viso è il palcoscenico della nostra anima e se la mascherina non copre gli occhi copre però la bocca e ci preclude la vista della “dolcissima smorfia“ che sboccia sul viso delle anime gentili.

 

In questo tempo di pandemia mi è mancato il sorriso della gente che incontravo per strada, anche se il sorriso l’ho visto molte volte anche negli occhi. Non mi bastava. Mi piace vedere la gente allegra e sorridente per cui il “mio sfogo” sul giornale in questi mesi è stato quello di scrivere, tra l’altro, qualcosa che togliesse i pensieri tristi. Qualcosa che donasse almeno una risata. Forse è la presunzione di un vecchio che ricorda che ai suoi tempi l’allegria era di casa, specie tra la gente di montagna che spesso, tra le tribolazioni, aveva l’umore di prendere il vissuto per i fondelli. Il sorriso è una medicina che rafforza l’animo e consolida l’amicizia tra le persone. Si possono strappare sorrisi con ironia e anche dal “ ridicolo “ nel segno dei nostri piccoli difetti ma senza offendere. Il sorriso dei semplici di cuore affoga la nostra innata prepotenza ed è un buon compagno per il perdono e alla ormai dimenticata “ santità “ di chiedere scusa. Il sorriso è una ricchezza che dobbiamo serbare sempre nel cuore. Ebbene, è mia intenzione proporvi ancora dei raccontini che lasciano il tempo che trovano ma se in quel tempo vi scapperà un sorriso io avrò fatto “ centro “, diversamente non abbiatene a male e scusatemi.
 

Due rabdomanti a Ronco

(ovvero chi cerca trova)

Chi non lo sa, dopo aver letto lo scritto lo saprà. Non v’è venuta d’acqua sorgiva nella zona circostante l’alpe di Ronco per un raggio di oltre un chilometro. All’alpe Piscina ce n’è in abbondanza e sorge appena poco sopra. Con delle tubazioni rifornisce quasi tutte le case dell’Alpe Canali, quelle di Ronco, sino a giungere con le tubazioni sotterranee ad una casa presso la valle Tigozzi e poi raggiugerne una sopra la Prima Croce. Ma negli anni ’50 non era così, poiché quelli che alpeggiavano a Ronco e dintorni dovevano rifornirsi d’acqua dal “ funtanìn” della Valle della Ganda “ . E’ una sorgiva d’acqua distante quasi un chilometro da raggiungere con un sentiero che costeggia prima i prati dell’alpe e puoi si tuffa in uno stretto sentiero sul lato Nord – Est dell’impervia Valle della Ganda. Si giunge così alla spettacolare sorgente che getta circa un litro d’acqua ogni dieci secondi e che scaturisce da una roccia protetta da un antichissimo e malmesso crotto. Volete fare una scommessa con me ? Ebbene se riuscirete a tenere il palmo della mano sotto il getto della sorgiva per tre minuti senza ritrarla rattrappita dal gelo prometto che non vi tormenterò per tre settimane con i miei scritti su questo giornale. L’acqua esce, estate e inverno a circa cinque gradi Celsius. Se mettete l’acqua in una bottiglia di vetro all’ istante si appanna e trasuda come se la bottiglia fosse stata nel frigorifero. Poi se bevete un poco di quell’acqua fredda a canna guardatevi se i denti sono sani come martelli altrimenti vi scoppieranno in bocca per il gelo.

 

Quell’acqua ora se ne va in Valle e chiama “vendetta” poiché è bevuta solo dai cervi e dai caprioli. In verità io, quando salgo all’alpe Ronco faccio sempre visita a quella sorgente e scorta d’acqua. Pulisco il sentiero dal fogliame, così pure la vasca di raccolta della sorgiva. Poi prego il Signore che gli Amministratori del Comune di Tirano e in particolare quelli della Comunità Montana , che tanto amano la montagna, scoprano questa sorgiva e bontà loro ci cimentino una volta alla cura del crotto ora dissestato. Il sogno sarebbe di portare quell’acqua così buona a servizio delle case nella zona dove scarseggia. Bene, ora lo sapete e se andate a trovare quella sorgente vi pago tutta l’acqua che berrete, così pure al Sciur Sindàch e subordinati compresi. Ora viene il bello del mio ricordo che è degli anni ’50. Mia nonna, mi mandava alla sorgente con il “brentin” di alluminio da dieci litri. Avevo sette anni e vi assicuro che pesava più di sette chili moltiplicato per 3,14 data la mia età e la fatica dell’impervio sentiero. Ho brontolato più volte con la nonna poiché non ci volevo andare e anche perché lei consumava quasi cinquanta litri d’acqua al giorno per le sue faccende domestiche. Contate voi i viaggi che dovevo fare. Ebbene un giorno si fermarono due strani tizi che in seguito scoprimmo d’essere della Val Padana o giù di li. Bevvero alcuni calici di rosso portati da mia nonna con cortesia d’altri tempi, parlando del più e del meno. Scoprimmo che erano due rabdomanti. Chi sono i rabdomanti ? Sono delle particolari persone che hanno l’arte di trovare le vene sotterranee di acqua servendosi di una bacchetta di legno biforcuta. Il rabdomante tiene le due estremità e sentendo delle vibrazioni è in grado di individuare l’acqua o i liquidi sottoterra.

 

Mia nonna questo lo sapeva e raccontò per filo e per segno che a Ronco non c’era sorgiva d’acqua nel raggio di un chilometro, ma il vino che teneva nel “ cantinin “ dissetava egregiamente tutti quelli che si fermavano alla vecchia osteria della “ Vérginia “. Uno dei due rabdomanti guardandosi in giro con occhio d’aquila sbuffò e con alterigia disse: “ impossibile, in questa zona ci deve essere acqua in abbondanza, basta cercarla “ La nonna sapeva che alla fine degli anni trenta avevano invano dato retta ad un altro rabdomante che con la sua bacchetta diceva di aver trovato l’acqua un una zona prospicente alla valle della Ganda. La zona era in fondo ad un prato che esiste tutt’ora. I nostri nonni l’avevano ascoltato e avevano scavato una galleria lunga più di 30 metri in quel sito dove, secondo il rabdomante, scorreva un torrente d’acqua. Dopo alcuni mesi di scavo e con spese notevoli, pur sentendo a orecchio l’acqua scorrere, nei pressi della lunga galleria alcuni travi dello scavo cedettero e la galleria crollò. Per mancanza di soldi si smise la ricerca dell’ acqua e tutto rimase come prima. Ronco era senza sorgive d’acqua. La nonna disse ai due forestieri. “ Bene, cercate l’acqua in questa zona, se la troverete per voi due, il beveraggio di rosso del “ mazzacavàl “ l’avrete a vita. “Cercate nella zona intorno alla mia casa tra i boschi e prati. Potete incominciare da subito, io purtroppo devo scendere per impegni a valle con mio nipote per tutta la settimana. Quindi ne avete di tempo e vi do carta bianco entro la mia proprietà. Potete dormire nel fienile appresso la casa” . Ai due rabdomanti piacque il posto e non a torto perché dall’alpe di Ronco la vista spazia dalle cime del Caronella a quelle del Bernina sono a giungere alle cime dei monti della Val Grosina. I due si misero al lavoro il giorno dopo con la loro bacchetta e dopo alcune ore ecco il gran vibrare del bastone cornuto.

 

Si era messo a vibrare presso il prato poco distante dal crocefisso, poco sotto la mulattiera. Segno che sotto il prato a pochi metri doveva trovarsi dell’acqua o perlomeno del liquido. Petrolio no di certo. Uno dei due trasse dal taschino del giubbotto anche un pendolo. Oscillava che era un piacere. Era certo, li sotto c’era il liquido sperato. Trassero dai loro zaini una specie di trivella simile ad un cavatappi ma lungo più di un metro. Lo stelo era fatto in modo che si potesse aggiungere altri pezzi lunghi un metro. Non so spiegarvi come fecero tutta la trivellazione manuale che durò due ore, ma dopo due metri buoni lo stelo della trivella affondò di brutto e si fermò alla profondità con un secco battito. I due estrassero la trivella del buco e annusarono. Uno disse. “ che frescura, che profumo, abbiamo trovato una vena antica, forse da frana paleolitica. L’altro estrasse un tubo dallo zaino, lo infilò nel foro, poi con arte aspirò l’aria e d’un botto si riempì la bocca di vino. Corsero verso il crocefisso della Seconda Croce, si inginocchiarono e gridarono al miracolo però senza farsi troppo sentire dalla gente che passava. Non sto a raccontarvi l’estrazione del vino con il tubo nel buco, ma i “ viciurin “ che passavano con le “priale” sulla strada li sentirono cantare per quasi tutta la settimana sdraiati come dromedari e con il tubo in mano. Passato la settimana io e mio nonna siamo tornati a Ronco e abbiamo visto i due rabdomanti distesi sul prato. Uno aveva ancora il tubo in bocca, mentre l’altro disse a mia nonna biascicando “ In tanti anni di esperienza, mai abbiamo trovato una sorgiva così buona “.

 

Mia nonna si guardò intorno e lanciò un urlo. Vide che i due avevano trivellato il prato proprio sopra dove c’era il “ cantinin “ con dentro la botte di vino del “ mazzacavàl “. Dallo tasca trasse la chiave del “ cantinìn “ , entrò e vide il tubo infilato nel coperchio della botte da 50 litri. . La scosse. Era quasi vuota, Diede uno strappo al tubo che penzolava dalla volta del “ cantinin “ e il rabdomante sul prato che aveva in mano il tubo si trovò con la mano vuota. Tralascio gli improperi di mia nonna verso quei due “ rabdomanti “ ai quali fece poi pagare i cinquanta litri di vino del “ mazzacavàl “ e l’alloggio nel fienile per la settimana. La cosa in un baleno poi si seppe per tutti gli alpeggi della montagna di Trivigno. Ci furono risate così potenti che alcuni si bagnarono le mutande , uno si sganasciò e poi fu chiamato “ ganasìn “ poiché ogni volta che pensava all’accaduto “ ‘l grignàva de per lüü “ e i due “ rabdomanti “ della Padania furono costretti ad andarsene da Tirano alla chetichella, ma contenti perché avevano trascorso una settimana d’incanto all’alpe di Ronco. Di sorgenti d’acqua a Ronco ancora non se ne parla e se anche oggi io cerco rabdomanti avviso che il “ cantinin “ della Vergina è ormai desolatamente vuoto.

 

L funtanìn de la Vàl de la Gànda

Fresca e silente esce dall’anfratto roccioso,

cristallina brilla sotto il sole,

raccolta nel cavo della mano

dona frescura e baciata calma l’arsura,

poi, con un tintinnio argenteo

fugge fra le foglie del bosco,

così come la vita.

 

Ezio (Méngu)

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