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Il calore umano nelle “strèci” sui viali

CULTURA E SPETTACOLO - 18 09 2018 - Méngu

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“Strécia“ , per le tante persone che non conoscono il dialetto tiranese significa un luogo di passaggio ristretto, angusto. In tutti i borghi storici esiste la “strècia . Un esempio assai noto e famoso è la “strécia de Ilda“ di Grosio sulla vecchia strada statale, dove un tempo c’era Ilda con la bottega e la trattoria “Arzentina“ . In quella strettoia passavano agevolmente due carri, ma con i tempi moderni quel luogo si è rivelato un imbuto. Due macchine che si incrociano non passano e una delle due deve fare da gambero per dare passaggio all’altra tra cortesie ma anche con qualche invocazione a san Cristoforo protettore degli automobilisti.

 

Ma se “li strèci “ sono nate nei secoli passati, non è raro che alcune “strèci“ possano nascere al giorno d’oggi. A Tirano in questi ultimi anni sono nate varie “strèci“. Queste strettoie moderne di Tirano nascono di solito in luoghi eleganti, dove lo “struscio” è di casa, con l’aggiunta del passaggio di una miriade di turisti di ogni nazionalità. Personalmente quei luoghi li considero posto previlegiato di osservazione dove si possono trarre ispirazioni, pensieri e appunti sul comportamento civile e sull’immagine dell’uomo dei nostri tempi. Ogni giorno quelle “ strèci “ si rivelano un palcoscenico, un teatrino inesauribile di scenette , ma lo è particolarmente nei giorni di intenso traffico pedonale sui viali .

 

Sedetevi all’ombra degli aceri su quelle comode panchine in legno che trovate appresso e vi divertirete senza pagare il biglietto. I più che leggono questo scritto sanno cos’è il  pedriöl “ o imbuto . L’imbuto è quell’attrezzo che, pur versando una quantità di liquido a volontà nel cono, ne lascia passare però solo una ben definita quantità a causa della strozzatura del tubo di scarico. Ora considerate il marciapiede lato Sondrio del bel Viale Italia invaso dalla gente che passeggia mano nella mano, ridendo o brontolando. Immaginate le mamme con il passeggino con il bambino nato da poco e un altro bimbo che scodinzola ai lati , immaginate le frotte di turisti che con il passo svelto, carichi di zaini hanno fretta di vedere le nostre bellezze e sono timorosi di perdere la corsa del Trenino rosso. Immaginate la nuvola di ragazzi scodinzolanti con le loro biciclette tra gruppi di turisti guidati dal capo gruppo con bandiera di ogni nazionalità , alzata e sventolante per paura di disperdere le sue pecore.

 

Tutta questa folla cosa fa quando arriva alle “strèci”? Con grazia o con impeto rallenta, si ammassa, e si getta nell’imbuto della “strecia”, a volte strusciandosi o a colpi di spalla. E’ qui che con i miei appunti traggo alcune scenette osservando gli improvvisati attori. Ecco i turisti giapponesi, piccoli e dalla gambe storte, bianchi in viso come ostie, che avanzano con il cappellino a scodella rovesciata e cedono il passo con grazia ai locali che passeggiano boriosi credendo che il passo spetti solo a loro. Mi è capitato di scontrarmi, in una di quelle” strèci” con un signore giapponese, spalla a spalla . Quel leggero tocco fisico tra noi due mi ha rammentato l’arte dell’inchino giapponese. Il signore giapponese, dopo avermi dato il passo e le sentite scuse con un ghirigoro di parole gutturali a me incomprensibili, mi ha fatto l’inchino Saikeirei, per intenderci quello del massimo rispetto. Si è chinato di 45°gradi e io, quasi imbarazzato mi sono chinato dopo di lui oltre i 45° gradi, con uno scricchiolio di vertebre. Di nuovo lui s’è chinato e poi io di nuovo fino a che un locale che ben conosco mi ha spinto a lato dicendomi “destöt“ (toglit ) e lasciami passare perché ho fretta” .

 

Un'altra volta ho visto avanzare in fila per otto dei coreani, probabilmente del nord. Sono passati con passo veloce, compattandosi nella “strécia “ in fila per tre con mento alto e volitivo lasciando a lato lo spazio per passare solo un gatto. Mi è capitato di vedere incrociare mamme con il passeggino e arpionare le ruote dei loro quadricicli, o di vedere frenate rabbiose di ciclisti che, in bilico e barcollanti, davano il passo strusciando i loro ferri negli aceri e schivando i polpacci delle signore che guardavano terrorizzate i pedali delle biciclette.

 

Ma le azioni carine e cortesi non mancano nelle “strèci”. Ho visto signori gentili dare il passo a signore di corporatura rotonda che si attardavano, con passi da bradipo, a varcare la “ strècia “. Ho visto frotte di turisti assiepati in quel luogo per attendere il loro posto nei graziosi ristoranti, come pure gente curiosa che passava appresso guardare nel piatto della gente che mangiava con noncuranza. Ho visto auto guadagnarsi strada e spazio con movimenti lenti sul viale e sui passi carrai quasi spingendo la gente con il cofano dell’auto. Tutto sommato quelle “ strèci“ sono una miniera di modi di essere per chi transita. Ma va bene cosi, perché il teatrino è gratis e aperto a tutti! Mi è anche caro suggerire un pensiero poetico inspirato dalla poesia “ La strècia di Ilda” di Gabriele Antonioli di Grosio.

 

Le nostre “ strèci “ o strettoie sul viale Italia e il viale delle Stazioni si potrebbero considerare come uno spazio o luogo per un abbraccio fraterno, di tutte le persone d’ogni popolo, per volersi bene e sopportarsi a vicenda sia pure nella fretta e nel bailamme del giorno d’oggi. Allora ben vengono “ li strèci “ quando “ li stréci “ portano calore umano e fanno sentire le persone meno sole in questo mondo dove i miliardi di “ messaggini “ hanno tolto il contatto umano e il desiderio di dire “ posso, permesso, grazie, mi scusi , buona giornata. e buona sera “ facendo sentire il proprio calore umano e guardandosi nel viso e negli occhi, nostro specchio dell’anima.

 

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