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Il pizzicotto fatale

CULTURA E SPETTACOLO - 26 10 2021 - Ezio (Méngu)

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/La mano del “pizzicotto fatale”
La mano del “pizzicotto fatale”

Ridere fa bene al cuore e alla mente, abbassa la pressione e riduce lo stress. Ridere libera la mente di quegli atteggiamenti chiusi e soffocanti. Il sorriso aiuta la mente a creare, a rendere la mente aperta e a prendere la vita non troppo sul serio. Non mi piace la gente e in particolare alcuni preti con il viso sempre triste e con il “pot” (musone). Penso che Gesù, spesso circondato da bambini, abbia molte volte sorriso anche a qualche “brighèla“ ( birichino ) che ascoltando i suoi racconti si annoiava. Penso che Gesù abbia sorriso anche a Maria di Magdala, sua discepola quando lo seguiva nel suo pellegrinare.

 

Diffidate di chi non sorride mai. Quello è come una spia, è uno che non farà mai la pipì in compagnia. Ricordo un mio anziano amico, coscritto del ‘36 che dopo aver fatto ‘per tre giorni baldoria in Tirano, andò in gruppo a Brescia per “vedere e capire le cose del Mondo “. L’amico quella sera era andato, con dei coscritti, in un locale notturno al centro della città. Era stato ricevuto con sorrisi smaglianti dalle signorine discinte che incitavano al beveraggio. Quella sera i coscritti tornarono a casa all’alba bevuti e allegri. Terminato i tre giorni di “seminario”, chi sciancato, chi con occhi slavati dalla fatica, i coscritti si quietarono. L’amico coscritto era un cattolico devoto e, alla domenica, assiduo frequentatore della Santa Comunione. Il sabato decise di confessarsi in Santuario dove la Santa Vergine di peccati ne aveva udito di tutti i colori. Lo confessò un Padre non troppo anziano, dopo avergli fatto recitare le preghiere di rito. L’amico coscritto gli disse: “ho peccato molto in quel di Brescia.”

 

“Racconta figliolo” disse Il Padre con una voce suadente e pronto a perdonare qualsiasi peccato non fatto però da giovani idioti. Il coscritto continuò: “sono entrato in un locale notturno e una bella ragazza discinta mi ha accolto con una bottiglia di Champagne.” “E poi?”, disse il Padre confessore. Poi, noi due ci siamo appartati e stesi su un divano, lei si è tolta la maglietta e …. ” E poi” , continuò il Padre. “Poi le ho fatto il solletico sotto le ascelle e lei si è messa a ridere per il solletico e a bere Champagne a fiumi e così anch’io finché ho scannato il portafoglio. Padre, sono stato contagiato dal suo riso. Abbiamo riso tutto il tempo sdraiati sul sofà, Padre ora mi dia l’assoluzione “ Il Reverendo con un sorriso simile a quello del grande Ridolini disse :” Macacù ( sciocco ), ma quale assoluzione? Ridere non è peccato! Piuttosto dimmi qual è quel “margnàch” ( indolente ) di tenente medico che ti ha fatto abile? Forse non ti ha stretto bene la borsa per sentire se gli attributi ti erano scesi? “. L’amico mi raccontò poi che il reverendo gli disse che non aveva altro tempo da perdere. Poi guardò la colonna di aspiranti alla confessione e gridò: “avanti un altro, ma che non sia un idiota!”

 

Tante volte si ride per le cose buffe che capitano agli altri e un poco meno per quelle che capitano a noi. Ebbene vi racconterò un’altra storia vera che vi strapperà, io credo, una risata, di quelle che anche dopo dieci anni dal fatto continuerete a ridere da soli, come ebeti. Non vi è mai capitato di essere in compagnia e pensare ad un fatto successo ad un vostro amico guardandolo bene in faccia e non riuscite a trattenere una risata anche ponendo la mano sulla bocca? Farete di certo un grande sforzo nel trattenere il sorriso e se vi scappa una scoreggia sarete di certo scusati. E’ quello che è capitato a me vedendo il mio amico Lorenzo, ormai anziano, mentre faceva dei complimenti alla ragazza del bar, con un sorriso da iena vecchia ma non disponibile a mollare il territorio. Sorrideva mostrando una dentatura incredibilmente regolare e bianca che faceva a pugni con la pelle raggrinzita del suo viso. Era una dentiera o si era rifatto, per così dire, la bocca? Mah ! Era da un po’ di tempo che non lo vedevo e guardando la sua dentatura, mi è sfuggito un sorriso. Quel sorriso è stato da lui interpretato come un raggio luminoso e grazioso proveniente dalla bella ragazza.

 

No! Il mio sorriso è venuto da un ricordo di gioventù vedendo ora quella corona perfetta dei suoi denti. Due dei suoi denti anteriori e precisamente gli incisivi della arcata superiore hanno una storia che deve assolutamente essere raccontata. Siamo all’inizio degli anni ’50. Di lavoro in Valle ve ne era poco e molti giovanotti di allora i “ müdàva “ ( andavano con armi e bagagli in Australia ) in cerca di lavoro. Così fece Lorenzo. A vent’anni era già sulla nave Vulcania, nel porto di Genova in partenza per la lontana meta d’oro che spesso si rivelava di “tòla” ( latta ) e dal “ pàn dàli cént crùsti “ ( dal pane con cento croste ) . A venticinque anni, schivata la naia, era già di ritorno in Valle, senza un filo di grasso e dalla salute precaria. Aveva perso alcuni denti, proprio quelli che quando si sorride escono in bella mostra. Colpa, diceva lui, di un canguro che gli aveva sferrato una doppietta in bocca con gli zoccoli. Era un bel giovane e dopo quell’infortunio dei denti cavato dal colpo di zoccolo del canguro si era fatto impiantare, come era d’uso allora, due incisivi d’oro. Quando rideva, la sua bocca sembrava la vetrina di un gioielliere e, per chi osservava, dava segno d’essere ricco e figlio di papà. Tutto sommato aveva oro in bocca e non è cosa da tutti. Giunto in Italia con l’oro in bocca ma con le saccocce vuote si era messo a fare il “ viciurìn” ( conduttore di carri ) a giornata. E qui la storia si fa più intensa. Sempre con l’oro in bocca, non aveva perso il vizietto che il nostro buon Creatore ci ha donato per svolgere il rito sacrale della prosecuzione della nostra specie. Quando giungeva con le sue “ priale “ dall’alpe Trivigno, da Pra Piano, da Piscina o da Canali si fermava sempre a bere il calicino di rosso, fresco di cantina all’osteria di Ronco, condotta in modo professionale da mia nonna Verginia. Lorenzo però era uno squattrinato e mia nonna continuava a fargli credito. Quel giorno segnò sul suo taccuino: “a Lorenzo il 112 ° quartino di rosso a credito”.

 

Lorenzo era seduto sulla panca del grande tavolone in legno del piazzale, era sudato e anche un poco stanco. Il suo quartino di vino era quasi terminato. Aveva chiamato mia nonna per il ricambio, ma la nonna, che era in cucina per sbrigare le faccende domestiche, faceva finta di non sentire. In quel momento ecco giungere Milena, “la gatta “. Era una ragazzotta di 20 anni ed era un piacere vederla salire la mulattiera con lo zaino. Oggi la immaginerei negli alpini. Al posto dello zaino sulle spalle, lei avrebbe portato un cannone senza rinculo e trascinato dietro di sé un battaglione di alpini, incantati e con lo sguardo sui suoi polpacci, sui “galùn”( cosce ) e con la “bàla de l’öcc” ( occhio rovesciato ) rivolta anche un poco più su. Così fu anche per Lorenzo. Quel giorno Milena giunse a Ronco. Con un leggero inchino e una graziosa rotazione d’anche si tolse dalle spalle lo zaino dal basto in ferro. Lorenzo era seduto lì appresso e non resistette a dare un leggero pizzicotto su una chiappa della fanciulla.” La Gatta” che era avvezza a maneggiare tante cose, per esempio le tette per tirare il latte alla sua mucca, non tollerava che qualcuno la toccasse senza suo consenso. Ricevuto il bonario e forse ingenuo pizzicotto sulla chiappa, da Lorenzo, Milena gli sferrò un manrovescio in faccia. Il giovane durante la manovra del pizzicotto aveva sfoderato il suo sorriso di rito e aveva messo in bella mostra i suoi due denti in oro fino dell’arcata superiore. I denti scintillanti al sole rimbalzarono sul pianale del tavolo e si fermarono l’un l’altro appresso. Il rumore del manrovescio di Milena fu come il colpo secco di un pezzotto sbattuto in aria per cavargli la polvere.

 

Mia nonna sentì lo scrocchio, uscì dalla cucina e vide Lorenzo con la bocca sanguinante e con le mani sul viso. Vide anche i due denti d’oro sul tavolo e, osservata da Lorenzo, se li mise in saccoccia. Milena . di botto, si caricò lo zaino sulle spalle e continuò la salita sulla “bruzzera” ( mulattiera) con passo rabbioso. Calmatesi un poco le acque la nonna disse: Lorenzo cosa ti è successo? Lui rispose:” Verginia, portùm amò ‘n quartìn de rùs. L’è ‘l 113 ° e l’è àa chèl furtunàa. Cun i mèe dùu déncc de or che tée metüü ‘n sacòcia u saldàa ‘l cünt de tütt ‘l mè beveràcc “. ( Verginia, portami ancora un quartino di vino rosso. E’ il 113 ° ed è anche il più fortunato. Con i miei due denti di oro che hai messo in tasca ho saldato il conto di tutto ciò che ho bevuto fino ad ora). La nonna si girò tra le palme delle mani i due denti d’oro ancora caldi e fu contenta del pagamento. Poi, con il tempo, Lorenzo per avere un sorriso suadente, si era fatto fare una bella dentiera, quella che gli avevo visto al bar e che mostrava con compiacimento al gentil sesso. Per me però è sempre rimasto il ricordo del viso di Lorenzo con la bocca scintillante per i due denti d’oro, cavati dal manrovescio rabbioso di Milena, “la gatta “.

 

Ezio (Méngu)

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