Il tatuaggio di Ettore
CULTURA E SPETTACOLO - 12 04 2021 - Ezio (Méngu)
Il tatuaggio di Ettore Ogni tradimento inizia con la fiducia ( Martin Lutero) Ettore si era fatto tatuare sulla schiena l’aquila Celtica con la scritta in grande “Rosina, mio tesoro“. Ma un giorno, la dolce Rosina, l’aveva trovata in casa con un altro uomo in sconcia posa. La reazione dell’offeso marito era stata quella di un gentlemen inglese. Dell’intruso prese le mutande, la camicia, i calzoni, e le lucide scarpe e le gettò dalla finestra. Poi lo cacciò nudo come un verme per la tromba delle scale del palazzo. L’uomo, uscito dallo stabile corse in strada a raccogliere il tutto. Mentre cercava di ricuperare le mutande volate su un ciliegio, lo vide una donna pia e di mezza età che si mise a gridare “ l’è ‘l diaul. ‘l diaul, Vèrgin Maria , vardìi che cùa lùnga chèl gà, la par ‘n mànèch de scùa de ‘na strìa ! “ Poi si fece il segno della Croce con altre tre donne che sentendo le urla erano alla finestra che si coprivano il viso con le dita larghe sugli occhi. Nella casa il marito offeso gridava alla donna : a mì, a mì fam stù tòrt ? Rusìna ciàpa i tòo stràsc e van fò de ‘stà cà. Rusìna , ràus ! ràus ! “ Peccato però che andar fuori di casa, dopo un mese, fu lui. Perché questa ingiustizia a quel giovane marito con sulla schiena la scritta indelebile del suo amore ? Val la pena di raccontare la storia. Quel tatuaggio a regola d’arte se l’era fatto fare a Monaco quando ventenne aveva trovato un buon lavoro in una segheria proprio al centro della “ foresta nera “. Boscaiolo, come sanno fare bene i Valtellinesi, era soddisfatto della paga. Nelle sue rare venute in Valle si era innamorato di una ragazzotta, anche lei contadina, che aveva tutti i pregi della ragazze grosine di un tempo che dopo aver lavorato tutto il giorno come bestie, trovavano il tempo per una gentilezza verso il marito sudato per aver filosofato tutto il santo giorno nella piazza grande del paese. Erano gli anni ’60 e gli italiani all’estero, specie in Germania , erano visti come il fumo negli occhi perché, secondo i “crüch “ ( cosi li chiamavano affettuosamente gli italiani ) durante l’ultima guerra, erano stati poco disciplinati e affidabili. In verità i padroni della segheria, prima di prenderlo a giornata avevano voluto sapere dove era nato e cresciuto. Quando Ettore disse di essere Valtellinese annuirono e dissero : “ Sehr Gut, wunderschön ! “ Furono dieci anni di duro lavoro ma poi ritornò in valle, dopo aver messo da parte un discreto gruzzolo. La casa l’aveva già in Tirano ma per ottemperare alla sua amata passione di boscaiolo si comprò un cavallo, alcuni boschi , dei buoni prati, e una baita nella zona di Trivigno. Dopo altre tre anni sposò l’amata Rosina il cui nome, come dicevo, l’aveva tatuato sulla sua schiena sotto l’aquila Celtica a ricordo degli anni di lavoro in Germania. A chi legge ricordo un detto e, anche se l’ho inventato io, ha la sua validità e d’ora in poi lo chiamerete detto del Méngu :” Lavoratore indefesso, ama il tuo lavoro ma non troppo, se non vuoi che tua moglie ti faccia fesso. “ Ettore era proprio un grande lavoratore, di quelli che mane e sera si rompono la schiena e giunto a casa la sera, dopo aver ingoiato un boccone , “ ‘l sa tràva giù ‘n de ‘l lécc scavèzz “. L’unica cosa che poteva fare la Rosina era quella di rimboccagli le coperte e sognare una carezza amorosa. La cosa continuò così per altri tre anni sino quando capitò quel fatto che vi ho raccontato all’inizio di questa storia. Insomma , il mio proverbio sciaguratamente aveva colto nel segno. In fin della fiera Ettore si trovò solo e per di più con quel tatuaggio dedicato all’amata infedele, che ora viveva con un altro che di lavoro faceva l’impiegato comunale. E fin qui, chi legge, dirà: “ embè, sono cose normali che capitano al giorno d’oggi ! “ D’accordo, ma con il tatuaggio sulla schiena e con il nome della Rosina come la mettiamo ? Ettore era un buon boscaiolo e i boscaioli sudano per il loro lavoro. Lui pover’ uomo non poteva levarsi la maglia di lana, quando a Ronco si fermava con la “priàla” con i suoi amici per far la partita a carte e bersi il calicino. L’avrebbero deriso , poiché già qualcuno lo chiamava“ Rusina, raus! raus ! “ e certamente nessuna altra donna l’avrebbe preso come compagno con quel nome tatuato sulla schiena. Per Ettore, quella scritta fatta un tempo con Amore era diventata una condanna. Ma non fu così per lungo tempo poiché un bel giorno per Ettore ci fu un Santo ( o una santa donna ? ) che vedendo la sofferenza del nostro boscaiolo provvide in un modo strano , ma doloroso, ad una risoluzione definitiva. Ettore era a Ronco con Michele, Stefano, Carlo e Mario. Cinque “ priàle” ferme sulla “ bruzzéra “ , una dietro l’altra con i muli pacifici come tre lire. I “viciürìn” si erano fermati per una “pòsa “scendendo da Trivigno, ma poi quella “ pòsa “ era diventata un simposio di calicini e gioco a carte trascurando le loro adorate mogli che, appena giunti a casa, li avrebbero messi sotto sofferenze come nei “ piùmb de Venézia “ . Mia nonna vedendoli così quieti disse: “ Giuanòt ghìi fam ? Se vulìi cun ì calisìn de rùs, pödi fav scià quàtri chisciöi, ben cargàa de fumàcc “. I cinque annuirono e continuarono il batter di carte in silenzio. La nonna accese il camino, prese la più grossa padella che aveva, la mise sul fuoco sino a farla venire rovente , poi prese la pastella di farina nera e bianca che aveva già preparato in cucina e prese un “ gran gnòch “ di strutto di maiale. Tagliò “ giù òt slèpi de furmàcc de caséra “ e via andare. Dopo circa venti minuti i chisciöi erano rosolati e fumanti. Apparivano dorati di formaggio e naviganti nello strutto che “ ‘l fümàva cùma sùta la fiàma “ . Ettore era con gli amici, con la solita maglia di lana in corpo , di quelle belle maglie con i tre bottoni d’osso che si potevano allacciare sul collo e che per sfilarle ci voleva l’aiuto dell’amata e nel caso di furia amorosa l’uso del coltello. La nonna prese la padella con i chisciöi e per far bella mostra lasciò che la viva fiamma ardesse ancora un po’ nello strutto. Si avviò con passo deciso al tavolo ben soleggiato sul piazzale. Non si sa di chi fosse stato il piede, ma mia nonna se lo trovò di traverso sulla sua gamba sinistra e incespicò. I “chisciöi” volarono in aria come passeri e la padella e lo strutto bollente in fiamme finirono tutti sulla schiena di Ettore. Immaginatevi il resto. La maglia di lana di Ettore si inzuppò di strutto bollente. Ettore gridò più di un maiale prima del colpo di mazza e tentò di sbottonare la maglia sul collo inutilmente poiché assalito dal dolore lancinante.. Gli amici urlarono “ ‘l föch , ‘l föch . l’ Etore ‘l brüsa cùma ‘n zufranèl “ . Solo Mario, purtroppo negato per fare il pompiere e ignorante in chimica, prese un grosso boccale di grappa con la scritta “ Viva Rùch e la Verginia “.Era una di quelle grappe che se ne bevi un sorso ti fa rimanere a bocca aperta per mezzo minuto e se poi fumi una sigaretta diventi un mangiafuoco. Gli versò la grappa sulla schiena con l’intento di spegnere la fiamma. I cinque cavalli sotto le stanghe delle “priàle “ vedendo l’alta vampata di fuoco presso i loro padroni nitrirono furiosamente e scaricarono, per lo spavento, un quintale di sterco. Mia nonna corse in casa per prendere una coperta ma la porta della stanza stentò ad aprirsi, almeno così disse, e così passò un poco di tempo mentre l’Ettore saltava sul piazzale come un “ soltamartìn “ . La nonna arrivò con la coperta di lana del suo letto, gli corse incontro, l’avvolse e il fuoco sulla maglia di lana si spense. La carità e la misericordia di mia nonna è da ricordare tra i posteri. Gli slacciò i tre bottoni di quello che restava della maglia, poi la cintura dei pantaloni poiché anch’essa essendo di cuoio aveva subito un inizio di incendio. I pantaloni caddero e si vide che per fortuna il fuoco non aveva causato danni al poderoso arsenale riproduttivo, sebbene fumasse ancora. Mia nonna gli sfilò delicatamente i pezzo fumanti della maglia di lana dal dorso. Non vi posso descrivere le urla di Ettore, forse erano simili ad uno crocefisso, però gli amici lo incoraggiavano dicendogli “ resist, che la Verginia la ta destàca dèla pèl a tòch a tòch la maglia ! “ Quando tutti i brandelli della maglia di lana furono in mano di mia nonna disse: Vèta Etore, su in tòch de maglia l’è restàa tacàa sü ‘l tò tatuacc con sü “ Rosina mio tesoro “ . La tò maglia adès la par ès ‘n manifèst del sciur Sindàch “ . Al momento Ettore non capì, poi mia nonna gliela mise sotto il naso. Anche se a Ettore fumava ancora la schiena e un poco ancora il suo apparato riproduttivo, emise un sorriso compiacente e poi svenne. Gli amici lo portarono a dorso di mulo all’ospedale. Il medico chiese cosa fosse successo e Ettore rispose con occhi di dolore “ L’è stacc ‘l sul de Rùnch , ma so ‘ndurmentàa de schèna e nòo ciapàa ‘na grant pelàda “ . Lo fasciarono e lo portarono a casa. Dopo un mese passò a Ronco con la sua “priàla “. Si fermò da mia nonna e disse porgendole un mazzo di rododendri , rossi come fuoco . “ Tòh, Verginia iè per tì “ . Poi si tolse la canottiera. La sua schiena era pulita e rosea come quella di un culetto di bimbo, il suo arsenale riproduttivo gli disse che si era salvato ma non glielo mostrò salvo, e da quel giorno molte donne gli ronzarono intorno. Ezio (Méngu)Vicende di Gente di montagna
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