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L'opinione. "Finita la S. Messa si aprono le porte al museo”

CULTURA E SPETTACOLO - 18 07 2018 - Méngu

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L’organo del Santuario

E’ estate ed è tempo di svago, per quanto sia possibile, per ognuno di noi . Mi capita di vedere in questi giorni una gran folla di turisti che attornia lo splendido  tempio dedicato alla Beata Vergine in Tirano. Sul portone principale e sulle due porte laterali del tempio v’è un avviso ben esposto e che raccomanda i visitatori  di non disturbare durante la celebrazione delle S. Messe. Ed è una logica e sacrosanta raccomandazione poiché in quell’edificio, splendido ma non grandissimo, durante  le funzioni religiose, da sempre, aleggia la sacralità condivisa dai presenti e dal celebrante.

 

Ogni azione non confacente al luogo sacro deve quindi, per quanto possibile, essere evitata per non distogliere dal raccoglimento e dalla preghiera. Ma non sempre è così. Una logica deduzione sarebbe quella di coloro che non vogliono partecipare alla S. Messa di stare tranquilli e senza schiamazzi nell’ampio piazzale ad aspettare che la funzione religiosa abbia termine, non ammassandosi presso il portone principale e magari ammirando e fotografando le belle strutture architettoniche esterne o sorbendosi una bibita nei graziosi bar lì appresso.

 

Queste considerazioni mi sono passate per la testa quando il celebrante al termine del rito ha detto con tono sorridente e, io credo, ironico: “Finita la S. Messa si aprono le porte al museo“. L’espressione è stata accolta da molti fedeli con un sorriso d’approvazione probabilmente perché veritiera e sentita, ma proferita con fare signorile e con tono bonario dal sacerdote. La frase fa però pensare al paradosso tra chiesa e museo di tanti luoghi di culto e invita alla meditazione. Personalmente darei all’espressione del sacerdote un dieci e lode o, se vi è più simpatico, la faccio anche mia poiché rivela una verità.

 

A volte si può dedurre da comportamenti  di tanti turisti che il tempio tanto caro a noi tiranesi sembra svolgere due funzioni: quello di luogo sacro e quello di museo. Mi par giusto far notare che esiste una religiosità anche nella visione delle opere d’arte, a condizione però che il nostro pensiero vada nella direzione della sacralità e dell’assoluto rispetto del luogo. Del resto la “tradizione” è da sempre disegnata e appesa sui muri delle chiese, in particolare in quelle cattoliche, ma le generazioni che ci hanno preceduto consideravano quei simboli o quelle pitture parte della loro religiosità e era quasi sempre accompagnata dal silenzio, dalla meditazione e dalla devozione.

 

Oggi però non appare sempre così. Spesso mi capita di vedere il tempio trasformarsi da un quieto silenzio in un agitarsi di gente con zaini e scarponi e con abbigliamento poco consono al luogo. Gente che vaga tra sedie e banconi su e giù, di lato e di traverso, in circolo con  i più variegati aggeggi elettronici scattando foto, spesso incuranti del rispetto e della riservatezza dei fedeli assisi ai banchi in preghiera.

 

Ma qualcuno può dire: va bene così! La gente è spinta dal desiderio di vedere una chiesa tanto bella e declamata dai mass media e dai “pacchetti turistici“, viceversa la gente non avrebbe in molti casi, il desiderio di entrare per fede. E poi, aggiungono: “Suvvia, siamo in un tempo dove è tutto relativo, tutto deve apparire razionale e tutto può cambiare secondo orari e regolamenti, esigenze e convenienze.“  Penso: allora può bastare un cartello appeso alle porte a far la differenza tra il tempo della chiesa- chiesa  e il tempo della chiesa-museo? Secondo me, no.

 

La chiesa è un luogo di culto anche se contiene opere d’arte e rimane chiesa per sempre. Il museo è un luogo di raccolta pubblica o privata di oggetti relativi a settori della cultura, dell’arte, della scienza e della tecnica e non c’è il sacro (leggi tabernacolo). A far questa differenza però è responsabile anche chi è tenuto alla custodia e al rispetto del luogo.

 

Ricordo di essere entrato nella grande moschea di Abu Dhabi. In quella moschea durante le funzioni religiose le porte erano presidiate da guardie. Terminata la funzione religiosa uno alla volta ci hanno fatto entrare  non senza prima farci togliere le  scarpe e le donne indossato l’abito nero. Io, non sapendo leggere l’arabo, dopo essere entrato nella moschea ho scattato delle foto, ma subito una guardia mi ha tolto di mano la macchina fotografica graziandomi dal sequestro poiché in quel luogo era vietato fotografare. Tra il colonnato di quella moschea, malgrado l’affollamento, regnava un religioso silenzio e ogni rumore sembrava attutito dal grande tappeto posto sul pavimento.

 

Ora, anche se qualcuno può pensare che il troppo storpia, va detto che il sacro è degno di rispetto per qualsiasi luogo di venerazione e se nel nostro caso un tempo era il sacerdote che sull’uscio o in chiesa dava il benvenuto, ora, in tante nostre chiese vi sono i “custodi  volontari“ che oltre offrire libri, immagini e medagliette controllano lo scorrere dell’incessante folla che passa a volte con incuranza e poco rispetto davanti a luoghi dove la pietà popolare ha deposto i  più intimi pensieri e raccomandazioni.

 

Il cosiddetto “ turismo religioso”  che in molti casi porta dei benefici economici deve però fare i conti con la sacralità del luogo e rammentare agli “ospiti“ che non stanno, per nulla, visitando un museo, ma la casa di Dio e dei suoi fedeli. 

 

Méngu

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