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La comunità monastica, la vita sociale e le umane debolezze

CULTURA E SPETTACOLO - 22 10 2021 - Ivan Bormolini

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/santa perpetua

(Di I. Bormolini) Facciamo un breve riassunto: nell'articolo pubblicato ieri ho fatto menzione in merito a Santa Perpetua e a San Remigio di una particolarità della vita monastica che faceva esplicito riferimento alle preoccupazioni riguardanti la vita famigliare e l'incalzare della vecchiaia.

E' quindi giusto dare seguito e spiegazione a tutto questo: emerge infatti che in quel contesto sociale alcuni coniugi, di comune accordo, sceglievano di vivere come “fratello e sorella” presso il convento, facendo donazione di tutto il loro avere.

A questa richiesta, si sommava quella più frequente formulata da alcuni anziani soli, i quali, identificavano nel monastero un luogo sicuro in prevenzione dell'età che avanzava.

Anche in questo caso, corrispondeva la donazione di tutte le loro sostanze che divenivano a disposizione dei monaci e quindi proprietà del convento.

Ma ecco alcuni esempi:

Nel giorno 13 dicembre 1326, si scoprono due decisioni importanti per la vita di due residenti locali.

Armanno Ferrari, abitante presso il mulino di Santa Perpetua, consegnava nelle mani di frate Bartolomeo e del canepario Guglielmo di Teglio, confratelli dei beati Remigio, Pastore e Santa Perpetua, tutti i suoi beni, mobili e immobili, tutto ciò avveniva in cambio di assistenza, vitto e “vestimenta nel futuro”.

In quel giorno anche Giacomo Melliarioli, sempre residente in Santa Perpetua, faceva dono ai conversi di ogni suo avere al fine di ottenere come contropartita le garanzie di cibo, bevande e vesti per tutto il tempo della sua vita.

Qualche volta era un converso stesso a far dono dei suoi averi al convento, è il caso di Guglielmo Mengono di Lignone, contrada di Teglio.

Guglielmo, “confrater domus Sancti Remigi”, il 20 gennaio 1309 faceva donazione di tutte le sue proprietà in territorio di Teglio. Il tutto non era certo poca cosa, si parla infatti di campi, selve, fienili, casa con forno e cortile, compresi i boschi.

 

IL CULTO E LE UMANE DEBOLEZZE: Appare semplice l'ordinamento interno presieduto da un ministro definito minister, oppure rettore o priore, a questo si affiancava un canepario o un economo, caneparius o economus, che aveva le funzioni di dispensiere e cassiere.

Il servizio divino e la cura delle anime, erano compito di un unico sacerdote definito presbiter, il quale, era coadiuvato da un sacrestano definito monicus.

Tutti gli altri erano fratelli e fratelli conversi o sorelle converse, a loro erano affidati i compiti più umili e la lavorazione della terra.

I documenti riguardanti la vita quotidiana nei conventi non danno grandi informazioni, è immaginabile che questa sia stata frugale e scandita tra preghiera e lavoro.

Tuttavia quelle giornate non erano al riparo dalle umane debolezze, scrive infatti sempre il professor Garbellini che in più di un'occasione, c'erano stati autorevoli interventi e richiami al rispetto delle regole.

Il 29 giugno 1248 il monaco Rodolfo, fratello del vescovo Uberto e suo vicario generale, ordinava ai conversi e alle converse di San Remigio e Santa Perpetua di obbedire al ministro e al caneparo, nel pieno rispetto della regola del loro ordine con la minaccia di provvedimenti in caso contrario.

Più di un secolo dopo, il 7 dicembre 1368, sono ancora più descrittivi i dettami di un secondo documento recante quella data.

In quel caso, davanti al capitolo del convento, composto da dodici frati e presieduto da Simone De Albricis di Poschiavo in rappresentanza del priore Tebaldo Capitanei di Sondrio, erano presenti il decano, ovvero il sindaco, ed altri rappresentanti del comune di Tirano.

In quell'assemblea si stabilivano regole più severe per la vita dei monaci, si rafforzava il ruolo del canepario, venivano posti rigidi vincoli alle spese e si faceva divieto ai confratelli di frequentare le osterie ed indebitarsi oltre la misura dei quattro soldi imperiali all'anno.

Questo fatto, questa decisione di inasprire le regole, porta a pensare che in qualche modo quel che viene definito come il costume della piccola comunità si era discostato dal rigore della regola monastica, la quale prevedeva obbedienza, povertà e sobrietà nei modi.

 

FONTE: SANTA PERPETUA E SAN REMIGIO antiche chiese alle porte della Rezia. Autore Gianluigi Garbellini. Tratto da “La comunità monastica” , pagine 105, 106, 107, 108.  

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