La "medicina" delle tradizioni popolari
CULTURA E SPETTACOLO - 30 01 2017 - Ezio Maifrè
All’uomo non piace essere solo. Per primo lo capì Dio e così gli diede una compagna, con la quale probabilmente litigò fin dall’inizio per le idee diverse, ma pur litigando si sentiva felice perché non era solo. La solitudine, se non voluta , assomiglia un poco alla “ morte” . Così la gente di ogni paese ama stare in comunità, ama la propria parrocchia, ama far le cose insieme. Insomma ama sentire il paese come la sua casa. Nulla di nuovo sotto il sole nel proprio paese? No! Anzi. Nei paesi di nuovo c’è sempre qualcosa. C’è il “proprio“ sole che nasce combinandosi con la natura del luogo come un eterno palcoscenico di colori . C’è l’armonia della propria terra con i suoi odori, sapori e profumi. Ci sono il sentore e l’allegria delle proprie canzoni, della musica popolare, dei suoni del proprio idioma. C’è il forte collante della propria Fede, del suono delle proprie campane, della visione dei campanili costruiti con la fatica dei padri. I campanili sono la guardia del tempo, sono gli occhi dei nostri antenati, la voce di richiamo nei tempi felici e dello sconforto. C’è anche un valore tra noi , non certo ultimo: la bellezza del viso e del carattere dei nostri uomini e delle nostre donne, frutto dalla nostra generazione autoctona. Potrei continuare per pagine e pagine, ma non è necessario rammentare cose che sentiamo tutti e che magari non esprimiamo per verecondo pudore. Insomma, l’Amore per la propria terra è come la Fede. E’ una cosa intima per ognuno di noi e difficilmente esprimibile agli altri. E’ un gioiello che ci teniamo nel cuore come l’amore per la nostra casa. Anche se non ce ne accorgiamo, ogni giorno, anche se litighiamo tra noi per le cose più banali, c’è sempre quel legame “di campanile“ che ci unisce. Ce ne accorgiamo quando stiamo lontani dal nostro luogo natio, da quel cordone ombelicale che ci unisce al nostro paese. Sarà capitato anche a voi d’andare lontani e rimanere per tanto tempo anche in luoghi belli, deliziosi. Ma io credo che il vostro spirito, la vostra mente, i vostri sogni più belli li avrete avuti quando compare la visione dolce e serena dei vostri campanili, delle vostre montagne, i visi dei vostri amici e dei vostri cari. “Come è bella la mia valle”, avrete detto con una esclamazione gioiosa!!! Vi saranno venute in mente quindi anche le vostre “tradizioni“, quelle rimaste nel cuore sin da bambino. Togliete ai vostri bimbi le fiabe, i racconti, le tradizioni, raccontate dai genitori, nonni e avrete commesso un “delitto”: nessuno vi punirà, ma quell’errore vi rimarrà per sempre sulla coscienza e i vostri bimbi avranno perso il “miracolo“ della fanciullezza e della ingenuità. In un Mondo globalizzato, dove si tende alla standardizzazione per interessi economici e politici, molti rimarranno delusi. Saremo certo uniti in massa, in un recinto globale, ma lentamente scompariranno le nostre radici. I tanti “lumini“ che le generazioni dei singoli paesi hanno acceso e che hanno permesso e donato l’Amore per la propria terra, insomma ciò che avevano di intimo e sacro nel cuore, si spegnerà lentamente. Si accenderà invece un enorme faro che sì, farà luce, ma che abbaglierà e disorienterà le genti rendendole falene impazzite. Tra le “medicine“ che dobbiamo tener preziose ci sono quindi le nostre tradizioni. Lo testimonia il tiranese Lazzaro (Cici) Bonazzi, classe 1931, Cavaliere della Repubblica Italiana. E’ l’uomo che vive con il corpo a Canberra (Australia), ma con la mente e con il cuore a Tirano . E’ un monumento vivente delle tradizioni e del dialetto tiranese a Canberra. Vero! E’ emigrato come tagliatore di canne da zucchero nel 1948, ma non ha mai tagliato i ponti con la sua Tirano. Leggete i suoi scritti, le sue poesie, sentite i suoni dello stupendo dialetto tiranese e mi darete ragione. State certi! La sera del 31 gennaio , alle ore 20.00 Cici Bonazzi da Canberra, tenderà l’orecchio per sentire il frastuono del “Tirà li Tòli“,la bella festa organizzata dalla Pro Loco di Tirano. Sono convinto che sentirà “le tole” rimbombare nel suo cuore. Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne, Amministratori e Sindaco in testa siate una miccia per innescare con passione e con tanto amore il suono della stupenda “meludia dèli tòli tiranési “: anche così si potrà far capire che “ Tiràn l’è ‘n gran Tiràn “. Invitate amici, tutti i parenti e non scordate gli amici Poschiavini. Sarà per tutti una ”medicina” , che potremmo goliardicamente chiamarla “ Tira-mi- sù “ per una serata gioiosa fatta per i grandi e come “nanna da sogno“ per i nostri bambini. Mi permetto di proporvi nell’occasione del “ tirà li tòli “ una dizione di Cici Bonazzi. A mio parere i papà, le mamme , i nonni dovrebbero leggerla, sentirla, per poi spiegarla ai loro bimbi prima della festa. E’ un dovere fare capire, raccontare ai ragazzi i tempi passati nei quali forse eravamo più poveri, ma più semplici e felici. Cari genitori, fate sognare i vostri bimbi, perché le più grandi invenzioni, le più grandi scoperte scientifiche sono nate prima dai sogni e poi, con la tecnica, sono stati attuati. E così sarà anche per il futuro: la “ medicina “ delle tradizioni popolari è un valido antidoto contro la dipendenza del cellulare che spesso priva le persone del rapporto umano e anche della festosa dell’allegria d’insieme. Grazie, Pro Loco di Tirano. Ezio Maifrè (Méngu) (Clicca qui per ascoltare l'Audio) L’è frègia e crüa l’ ültìma sìra de ginée. I è i rais e li ràisi che i cur cùma mat I ràis i crida “l’è fo l’urs da la tàna” E se tànta gént la dis che da unòrum, Pichìi, pichìi li tòli e chèl urs ‘l sa desederà E dòpu tüt stu gran picà de tòli e fracàs Méngu
L’è fo l’urs de la tàna
Fìna li stèli e la lüna i par giasciàdi,
‘l bùfa ‘n vént gèlt che ‘l pòrta rée
‘l rumùr deli tòli par li nòsi cuntràdi.
cun derée tacàa filàgni de tòli che frastùna,
i cur iscì fort che gnàa la légur i li bat,
po i gìra ‘ntùran a i büi cun li tòli a curùna.
e ‘ntànt i pìca li tòli cun i bachècc,
i grìgna i pa e li màmi per sta üsànsa sàna
che l’è ‘l regòrd deli stòri dei noss car vècc.
de urs sa ‘na vét pü ‘n dei noss busch,
g’hìi de savè che amò ‘l gh’è ‘n urs che dòrum
al Crap del Còran int ‘n de ‘ n böcc fùsch.
e quandu l’urs ‘l vegnerà fo dala négra tàna
tüc i ràis curagiùs i puderà cridà:
L’è fo ginée
l’è int febrée
l’è fo l’urs de la tàna:
se l’è nìgul ‘l tra ‘n solt
‘n pèt e ‘n gìgul,
se ‘l fiòca al bàla e ‘l tròta,
se ‘l piöf ‘l fa balà i cöf,
se ‘l bùfa vént
par quarànta dì ‘l tùrna int.
la primavéra che la dòrma tra i muncc e i pràa
cu ‘l dèbul sul piàn piàn la puderà svegliàs
e ‘l frècc invèran finalmént ‘l sarà pasàa.
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