La riflessione: Gli affari sono affari
CULTURA E SPETTACOLO - 18 12 2017 - Méngu
Chi ha sulla coscienza un affare disonesto, non legga quest’articolo! Non mi rammaricherò di certo di aver perso quel lettore. Incomincio con il dire che la frase “gli affari sono affari”, proferita per giustificare una prevaricazione o magari un inganno, è a mio parere squallida e non dovrebbe appartenere alle persone che hanno il senso dell’altruismo. Questa affermazione apparirà forse eccessiva in un tempo postmoderno dove l’economia è caratterizzata da una finanza dettata dal capitalismo rampante e dalla globalizzazione economica. Nei moderni mercati le regole esistono, ma sovente sono ampiamente disattese e il profitto appare un totem da invocare a qualunque costo e poco importa quale sia il regime o la politica in cui gli affari si fanno. Gli affari disonesti spesso vanno a braccetto anche con diverse ideologie politiche, per poi creare danni incalcolabili distruggendo l’ambiente, sconvolgendo le economie locali, creando migrazioni di genti, povertà, distruggendo i diritti dei lavoratori, alimentando corruzioni di ogni tipo per arricchire pochi e nel contempo creando miseria di molti. Non è mia intenzione parlare delle varie ideologie e politiche nazionali con cui gli affari si fanno magari sottobanco. Vorrei parlare del vocabolo ”affare” definendolo “come le operazioni economiche indirizzate al ricavo di un profitto” in un contesto particolare che chiamerei “giusto e onesto profitto” . Oggigiorno al contrario più è il profitto dell’affare, più l’affare si riterrà un buon affare aldilà di ogni regola morale. L’affare quando contiene in sé il germe della truffa, dell’inganno, della non buona fede, dello strozzinaggio è una cellula cancerogena della buona etica. In genere è sempre la persona più debole o quantomeno la più sprovveduta che ne va di mezzo. Non si può fare una buona economia con una cattiva etica. Per le persone oneste, l’imbroglio è mal tollerato, ma per i truffatori è segno di gran vanto e di intelligenza. Ma cos’è il giusto guadagno? Io penso sia il dono di ricevere una giusta remunerazione, un profitto del proprio impegno materiale o intellettuale. In generale il guadagno lo si concepisce come frutto ottenendo più di quanto speso e anche un giusto riconoscimento per il tempo speso per i lavori intellettuali. Ma non è detto. Ci può essere “guadagno”, secondo la buona morale anche per chi ha dato e non ha ottenuto. Cattivo affare questo? Forse, se si è egoisti. Esiste una regola per dire che abbiamo fatto un buono e giusto affare? Sì, ed è quella che Charles Dikens ( 1812 – 1870), scrittore e giornalista propone nei suoi scritti: “ Ecco la regola degli affari: fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi !”. La frase, del resto non è nuova e la si può contrapporre alla “ regola d’oro” della morale cristiana, che esprime un concetto comune in quasi tutti le religioni “ tutte le cose dunque che volete che gli uomini vi facciano, fatelo anche voi per loro “ (Matteo – 7,12). Chi però pensa che questa “ regola d’oro “ valga per tutti è un illuso. Purtroppo sembra prevalere un’ altra regola e cioè: “fatela agli altri, perché gli altri la farebbero a voi“. Da questa dura e spietata filosofia d’agire nasce il detto “ gli affari sono affari “ per cui negli affari non siamo più amici, semmai “ soci d’affari “ : Vale, in questo caso anche il detto “ ognun per sé e Dio per tutti “. Immorale espressione da dove scaturiscono gli imbrogli, le tentazioni. Qui il senso della buona morale, sotto i colpi della disonestà collettiva va in frantumi. La società stessa va in frantumi e insieme ad essa sfumano quei principi di solidarietà e amore innati nell’animo umano. Sovente, per nostre sventura, giustifichiamo la nostra coscienza con il detto “gli affari sono affari“ senza porre null’altra obiezione dimenticando di impegnarci in una logica tra morale- affare impostata sulla logica della fraternità. Méngu
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