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Predicare con gioia e con il sorriso

CULTURA E SPETTACOLO - 11 08 2018 - Méngu

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Foto di Wilma Del Simone

Di solito il cristiano santifica la domenica andando alla S. Messa e presta attenzione alla predica. Personalmente sopporto una predica con il tono monotono, triste solo nel caso d’un funerale. Quando mi capita di sentire una predica tendente al martirio, il mio istinto è quello d’abbandonare il convegno. In questi casi mi trattengo dall’andarmene sfogliando il periodico “ La domenica” che normalmente si trova sui banchi delle chiese. Ritengo più conveniente leggere e imparare quasi a memoria la “ liturgia della parola“ scritta sulle prime tre facciate del foglio, che ascoltare per venti minuti un lamentoso, ininterrotto predicozzo dove ogni parola porta al sacrificio, alle privazioni morali e corporali imposte dalla tradizione.

 

Di certo la sofferenza e il male sono grandi verità della nostra esistenza ma occorre accennarle per quel poco che basta poiché tutti noi le capiamo e sentiamo il desiderio interiore di liberarcene. Normalmente andiamo in chiesa per abbeverarci della parola del Vangelo in modo sereno, per scaricarci dagli affanni mondani, per chiedere il perdono dei nostri peccati e non per gettarci ancora in mille interrogativi che ci rammentano croci, dolori, sventure. Tutte queste corone di spine ci pungono il capo e noi siamo desiderosi, per nostra natura, di bene e felicità.

 

Di tormenti materiali e spirituali siamo testimoni e anche attori ogni giorno. Con la predica ci si aspetta non solo il commento della Parola, ma anche come la Parola penetra e agisce nel nostro vissuto, magari con qualche battuta ironica e forte , se necessario, sul nostro modo di fare e con qualche risposta del fedele a tempo debito. Ecco che “condire” la predica con qualche sorriso, con qualche canto, può essere salutare e distoglie le membra dal sopore. Non è peccato dipingere questa “valle di lacrime” anche di verde e pensare che v’è gente che sorride ed è gioiosa accanto ad altra gente che si macera le ginocchia recitando lunghe litanie.

 

Ogni cosa ha il suo tempo e il tempo di preghiera è serenità, quindi anche sorriso e condivisione. Il cristiano sa bene che il suo credo non è mai a costo zero e che per diffonderlo comporta impegno: il “ musone lungo “, il braccio teso con l’indice puntato, non è d’aiuto, anzi è fastidioso. Non credo che Gesù , nelle sue predicazioni e nei suoi pellegrinaggi, abbia “ convinto “ i sui seguaci con lamenti. Gesù e i suoi discepoli e discepole, prima di essere illuminati dallo Spirito erano uomini e donne di popolo come noi.

 

Parlando della conquista del Regno dei Cieli essi l’hanno fatto intendere con fermezza, ma anche con dolcezza infondendo alla gente uno spirito compassionevole e di perdono reciproco e non credo che abbiano predicato con durezza, imponendo paure e catastrofi . Sono convinto che Gesù annunciò la sua Parola alla gente con gioia e con il sorriso, anche se, mi pare di ricordare, che un autore medioevale che si celava sotto il nome di tal Ambrogio scrisse “ egli ha pianto, mai che abbia riso “ . Forse tal Ambrogio pensava che il riso è sulla bocca degli stolti e non sul viso dei buoni e dei pacifici. Quante imposizioni e pesi ha posto in passato la chiesa sulle spalle della gente in modo poco utile, anzi dannoso usando fuoco, torture e parole. Si ricordi Giordano Bruno posto sul rogo! Poi la parola infallibile di una chiesa conservatrice ha dovuto cedere all’evidenza della scienza e ha dovuto chiedere perdono per gli errori commessi. Ne ha dato luminoso esempio Papa Francesco che ha chiesto perdono alla chiesa evangelica Valdese, poi i tre Papi che, nel loro tempo, hanno fatto visita alla sinagoga di Roma chiamando il popolo ebreo “ fratelli maggiori “ e Papa Giovanni Paolo II che ha pregato nella moschea di Damasco invitando a conoscersi meglio, a comprendersi, incitando alla tolleranza e ad essere fratelli sia pur nella diversità e distinzione del credo religioso.

 

Chi legge S. Agostino non si meravigli di trovare un uomo che si batte il petto martoriato di colpe e peccati giovanili. Da ragazzo la lettura di quel Santo, consigliatami da un sacerdote, ha infuso in me un vago pessimismo, una lotta serrata tra il bene e il male quasi manichea che ancora mi perseguita e che è ancora presente con il timore della morte e del giudizio di Dio. Come si può pensare Gesù mentre accarezza i bimbi con la faccia seria, magari imbronciata? lo penso invece che la faccia truce, la mandibola tirata, i denti serrati e digrignanti li ebbe nel momento in cui, con sdegno, ha impugnato una frusta buttando all’aria i banchetti dei venditori nel Tempio e a ben pensarci alcuni banchetti dovrebbero volare per aria anche al giorno d’oggi in tanti luoghi di culto.

 

Ho fatto tutte queste divagazioni, perché non mi piace sentire predicatori d’ogni religione che impongono ai fedeli dei “ gravi pesi “ invece d’ infondere nella gente una sana gioia di vivere con un giusto e onorato timore di Dio . Il creatore desidera la nostra felicità su questa terra e se a volte diciamo che l’inferno è quaggiù è perché l’abbiamo “istituito” noi con il nostro egoismo. La felicità si accomuna alla “ regola d’oro “ che esiste in ogni religione e che ha come suo fondamento il bene e l’amore per se stessi e per gli altri in ugual misura. Questa regola l’abbiamo stampata nella nostra coscienza e il male non può vincerla, semmai la soffoca per poco e poi subito si ravviva. La natura dell’uomo tende sempre al primato del bene e dell’amore, senza troppi proselitismi, forzature e paure, ma solo con il nostro buon agire. Rammento un detto: “ Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso. (Madre Teresa di Calcutta 1910-1997)”.

 

Méngu

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