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Ridi che ti passa! - Lo sberleffo murale

CULTURA E SPETTACOLO - 13 12 2018 - Méngu

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Sono uno di quegli uomini che negli anni ’70 ha assistito e, un poco assecondato, la seconda rivoluzione femminista. Alcune rivendicazioni erano iniziate già nel ’68 ed erano richieste di diritti per una eguaglianza sociale, culturale e sessuale con il mondo maschile. La lotta era sostenuta da studenti, dai partiti di sinistra e da tantissime donne che si rendevano conto d’essere relegate ai margini in molti campi. Molti movimenti femminili rivendicavano diritti come l’aborto, la creazione di asili nido e altre giuste conquiste sociali.

 

Tutto sommato quei movimenti rifiutavano l’uomo come portatore di un ruolo predominante sulla donna. Non voglio fare, né commentare la storia del femminismo degli anni ’70, mi piace però ricordare come in certi casi si viveva questa battaglia di idee in ambiti lavorativi tra uomini e donne, o meglio in questo caso, tra ragazzi e ragazze.

 

Il fatto che narro l’ho vissuto nel Canavese, in un grande complesso industriale che occupava centinaia di giovani maschi e femmine. Non di rado, nelle pause di lavoro, nascevano vivaci discussioni sul femminismo che sfumavano poco dopo in risate e sberleffi, per poi riprendere il lavoro. Orbene nella mensa aziendale, alcuni baldi giovanotti, esasperati da cantilene inneggianti alla lotta femminista invocata persino durante il breve pasto, avevano preso di mira alcune ragazze. Erano una decina di ragazzotte che danzavano con le braccia alzate, con le mani giunte e con pollice e indice unito indicante una cosa che ai maschi gironzola tante volte nel cervello. Il balletto era durato quasi dieci minuti ai loro tavoli, poi le ragazze, abbandonando i loro vassoi con il cibo, avevano continuato a danzare e a cantare tra i tavoli dei maschi, cosa peraltro gradevole ai maschietti come digestivo.

 

L’amico Davide, quatto, quatto, con in mano il contenitore del sale, si era alzato dal nostro tavolo, aveva raggiunto i vassoi delle ragazze innaffiando con potenti getti di sale la pasta, rimescolandola abilmente nel comparto metallico. Da buon romano, si era ritirato senza farsi notare. Finito il “tour“ tra i tavoli dei maschi le ragazze avevano raggiunto i loro vassoi iniziando a “magnarsi”, come diceva il romano, la pasta. Tutte quelle ragazze dal fare grazioso si erano trasformate in arpie quando abbiamo visto le loro boccucce espellere la pasta nel vassoio.

 

Noi maschietti a stento abbiamo trattenuto il sorriso. La loro capogruppo, una robusta ragazza tedesca con furia teutonica, con mano tesa e pugno chiuso rivolgendosi al nostro gruppo in cui nel frattempo a qualcuno era scappato una potente risata, disse: “Maschi, ve la faremo pagare cara!”. Suonata la sirena siamo tornati tutti al lavoro, le donne a pancia vuota e noi divertiti. Ma non era finita poiché quel gruppo di focose ragazze aveva pensato di vendicarsi.

 

All’uscita del grande cancello della fabbrica, a lato v’era un grande muro di cinta, alto quasi tre metri, bianco e immacolato. Al mattino dopo è comparsa una enorme scritta in rosa: “Maschi, ve la faremo pagare cara!!!“. Molti lavoratori, all’uscita dai turni, lessero ma non fecero nessun commento e tirarono dritto. Al mattino seguente v’era una altra scritta , con i caratteri in nero e della stessa grandezza che continuava la prima dicendo: “e quando mai ce l’avete data gratis?“. Si seppe poi, dopo alcuni giorni che lo sberleffo murale in risposta alla minaccia delle graziose femmine l’aveva scritta, di tutta fretta, Sergio il romano, dimenticando di specificare l’oggetto della frase, che doveva essere evidentemente la pasta. Molti all’uscita dello stabilimento, lessero quella scritta con il sorriso sulle labbra. La scritta rimase sul muro per molto tempo e forse c’è ancora oggi.

 

Méngu

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