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Romanzetto tiranese - Amùur de fradèi amùur de curtèi?

CULTURA E SPETTACOLO - 27 08 2020 - Ivan Bormolini

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/VIA LUDOVICO IL MORO, Tirano
VIA LUDOVICO IL MORO

(Quindicesima parte di I. Bormolini) Ninin era giunto in via Ludovico il Moro e subito entrava nella casa di Anselmo. In lui c'era un misto di rabbia astio e preoccupazione, voleva e doveva sapere.

 

Salutando l'amico intravedeva la sorella seduta su una poltroncina del salottino poco lontano dall'ingresso; di quell'Anna con piglio battagliero e arrivista a primo acchito era rimasto poco o nulla. Il suo volto appariva scarno e i suoi vestiti non erano più quelli di un tempo.

Anselmo aveva spiegato la situazione a Ninin, consigliandogli di andare a casa con la sorella per parlare in tutta calma, ma Antonio gli rispondeva che non aveva nulla da nascondere e che voleva che vi fosse un testimone.

Udita la voce del fratello Anna gli si gettava al collo abbracciandolo come mai aveva fatto prima, Ninin, la allontanava da sé dicendole che era giunto il momento di dire una volta per tutte la verità.

E così la sorella incalzata dalle domande del fratello, con le lacrime agli occhi vuotava il sacco.

 

Quando sono arrivata a Milano la prima volta, quell'appartamento sui Navigli non l'ho visto, Giovanni Gioacchino, mi aveva detto che purtroppo i lavori non erano stati ultimati per tempo. Così mi aveva condotto in un altra locazione più in periferia. Mi aveva promesso che sarebbe venuto a vivere con me dopo pochi giorni e che comunque quella era un'abitazione provvisoria.

La mattina seguente mi aveva fatto firmare un contratto di assunzione e portato in quello che doveva essere il suo nuovo secondo supermercato. Avrei dovuto dirigerlo io, organizzando ordini, seguendo operai e facendo colloqui per il nuovo personale.

Lentamente quell'esercizio prendeva forma, Giovanni Gioacchino, mi aveva messo subito a disposizione una bella somma di denaro che potevo usare liberamente per le mie spese personali.

Alle mie richieste di vivere sotto lo stesso tetto, continuava a tergiversare ed accampare quelle che credevo verità ed invece erano scuse.

Spariva per giorni interi asserendo che doveva recarsi fuori Milano per affari, per addolcirmi mi dava carta bianca su ogni decisione da prendere per avviare quell'attività.

Io non sospettavo nulla, non mi mancava niente, per pranzi e cene era tutto prenotato a suo nome in un vicino bel ristorante e la sera di tanto in tanto mi faceva visita. Il supermercato cresceva di giorno in giorno, avevo a che fare con tante persone, tutto era partito da zero in quel grande spazio e io mi sentivo fiera e capace di vederlo crescere, ero finalmente realizzata.

Quando sono tornata a Tirano per trovare la mamma non avevo alcun sospetto, tutto a Milano procedeva bene, salvo il fatto di non poter vivere insieme”.

 

A quel punto Ninin le chiedeva spiegazioni sull'indirizzo a cui aveva spedito il telegramma per informarla che la madre era grave, tacendo sul fatto che il Brembilla era spostato.

Anna gli rispondeva che era stato il suo amato a consegnarle quel telegramma e che lei nemmeno lo aveva letto. La donna asseriva che solo pochi giorni prima del suo definitivo rientro a Tirano, aveva scoperto che quella via, non era altro che l'indirizzo dell'avvocato di Giovanni Gioacchino.

Ora guardami qui - diceva Anna - sono rimasta con quattro vestiti e nemmeno un soldo”.

Anselmo era perplesso, quasi imbarazzato, Ninin con astuzia mista a rabbia le domandava che fine avessero fatto i soldi incassati dopo il testamento. Terribile era stata la risposta:

Appena arrivati a Milano, mi sono tenuta per me una minima parte di quella cifra, il resto dei soldi li ho dati a Brembilla che mi aveva promesso un investimento sicuro.

Ancora una volta come una povera ingenua innamorata mi sono fidata, per fortuna, ti ripeto che ho trattenuto per me qualche soldo, perché proprio qualche giorno dopo, le generose elargizioni di Giovanni Gioacchino iniziavano a venire meno.

Lui mi diceva che era un periodo di transizione e che doveva veder fruttare i suoi investimenti, in poco tempo tutto sarebbe tornato alla normalità. In quei giorni era nervoso, alla mia richiesta di spiegazioni, accampava scuse ma trovava sempre il modo di farmi stare tranquilla con modi garbati”.

 

Ed ecco un'altra secca domanda di Ninin, che domandava alla sorella che fine avessero fatto anche i soldi della vendita suo appartamento nella casa dei genitori.

Anna cadeva dal pero, chiedendo al fratello spiegazioni, e dicendo che lei non aveva mai dato nessuna procura al geometra tiranese per mettere in vendita la sua parte di casa.

Ninin a quel punto sbottava e diceva a Anna di non mentire, la firma sul documento era la sua. Anselmo che ascoltava in disparte, interveniva per calmare l'amico, gli chiedeva di ragionare e prendere atto che quella firma poteva tranquillamente essere falsa. Dunque Brembilla per mezzo del suo avvocato aveva raggirato Anna, copiando la calligrafia dal documento di assunzione che Anna aveva firmato al momento del suo arrivo a Milano.

Ninin, si sentiva affranto e incredulo, ma iniziava a credere veramente che la sorella era stata vittima di una truffa mascherata sotto le vesti di un finto amore.

Ninin però, non riusciva a capacitarsi e diceva alla sorella che anche gli ultimi lauti conti del Grand' Hotel Tirano e del Caffè Lorandi li aveva dovuti saldare di persona.

 

Anna scoppiava in un pianto incontenibile, ma questo non placava il fratello:

Ti credevi tanto furba, tanto capace, ti pensavi una grande affarista ed invece ti sei fatta fregare da un fallito che ti ha ben ben usata. Uno che ha dilapidato i soldi dei nostri genitori e se non intervenivo per tempo anche parte della casa di famiglia sarebbe finita in mano ad altri. Sappi che ho dovuto ricomprare ciò che era già tuo. Non mi rassegno al fatto che anche quei soldi siano finiti in mano a quel malfattore.

Ora è impossibile tentare anche solo di recuperarli, Brembilla non ha più un soldo ed è sparito dalla circolazione, anche il suo primo supermercato è chiuso e di tutte le sue aziende non rimane nulla”.

La sorella non ci capiva più nulla, non sapeva perdonarsi e soprattutto si dava della stupida per non aver capito nel tempo come stavano le cose.

Ma ormai la frittata era fatta, ad Anna non rimaneva che implorare il perdono del fratello e cercare ricominciare una nuova vita a Tirano.

 

Sei stata una stupida, non hai saputo guardare oltre il tuo naso, non ti sei nemmeno accorta che il tuo Giovanni Gioacchino è sposato ed ha un figlio. Adesso io ti posso aiutare ma non riesco a perdonarti, sappi che lo faccio solo perché nell'ultimo scritto di nostro padre mi si chiedeva di darti una mano nel momento in cui ne avessi avuto bisogno. Evidentemente il nostro povero padre ci vedeva più lontano di te.”

Ninin spiegava alla sorella che aveva incontrato la moglie ed il figlio di Brembilla e che anche loro non se la passavano bene e che quell'uomo aveva abbandonato anche loro gettandoli in una brutta situazione.

Anna continuava a piangere ed quel punto della discussione aveva trovato il coraggio di dire un'altra verità, forse la più intima e la più dura da dire, Anna si era accorta da poco di essere incinta ed il padre era il Brembilla.

 

Ninin in quell'istante e nel sentire quelle parole immediatamente pensava al piccolo Giacomo, in un breve suo silenzio che sembrava durare un'eternità, l'uomo tornava sui suoi passi. Ad un tratto l'ira, la rabbia e il rancore lasciavano spazio ad un sentimento di perdono. Abbracciando la sorella la invitava a tornare a casa, insieme avrebbero ricostruito un rapporto basato su canoni ben diversi dal passato, anche perché si doveva dare un degno futuro a quella creatura.

Anna si sentiva rincuorata da quelle parole, i suoi ultimi tempi di vita a Milano erano stati un vero calvario, aveva imparato dai suoi errori e adesso doveva ripartire da zero confidando nell'aiuto del fratello.

Alla fine quel detto amùur de fradèi, amùur de curtèi, si era per una volta rivelato non veritiero.

 

(Fine quindicesima parte)

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