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CULTURA E SPETTACOLO - 07 09 2015 -

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Alessandro Cantoni

Non possiamo non dirci cristiani era la formula del filosofo Benedetto Croce: un pensatore antifascista, che non era cattolico, bensì laico. Qual era dunque il senso di questa frase, il cui significato va oltre le semplici apparenze? Cristianesimo non evoca solamente una fede o una teologia, bensì una cultura nella quale l’Europa affonda le proprie radici.

Il nostro pensiero, le nostre ideologie, la storia dell’arte e persino il nostro modo di parlare e di riflettere derivano – a prescindere che un individuo sia credente oppure no – dalla matrice cristiana che è propria di ciascun essere, nato in Europa.

Noi possiamo negarla come fede, professandoci atei, agnostici, musulmani, buddisti, induisti, ma non possiamo non avere l’onestà intellettuale di riconoscerla, in quanto portatrice di valori culturali, artistici e persino letterari. In tal caso nelle scuole non leggeremmo più Dante, Manzoni ed altri sommi pensatori del passato.

La storia dell’arte stessa si fonda su secoli in cui dominava una componente artistica cristiana, in un arco temporale che va dal V secolo circa fino all’Ottocento, quando l’arte sacra cedette lo spazio all’Impressionismo, dove venivano raccontati episodi di vita quotidiana come discussioni, brulicare di vita nelle città, feste, dialoghi, scene apparentemente marginali. Ne è un esempio classico il celebre Moulin de la Galette, ambientato nella città dell’Illuminismo, ove le figure svolgono la funzione di definire maggiormente lo spazio e l’opera appare decentrata poiché, come suggerisce la luce stessa, la nostra attenzione si perde su tutti i personaggi, in cui nessuno è realmente il protagonista. In primo piano una ragazza sembra dialogare con un uomo, forse per domandargli se desidera da bere. Sentiamo le voci, i rumori, le musiche ed appare evidente lo sgretolamento dai valori cristiani, meno presenti sino ai giorni nostri.

Una decadenza morale, politica e spirituale era addirittura già stata annunciata dal professor John Ruskin (1819-1900), il quale nel volume Le Pietre di Venezia, già scriveva:

«E’ necessario ricordare che io faccio risalire il principio della decadenza di Venezia all’anno 1418 […] Giovanni Bellini e suo fratello Gentile, maggiore di due anni, chiudono la serie dei pittori religiosi di Venezia […] Non v’è invece ombra di religione in tutte le opere di Tiziano, né v’è traccia di simpatia né in se stesso né in coloro i quali dipingeva. I suoi vasti soggetti sacri non sono che temi per una mostra di retorica, di composizione e di colore […] La Madonna nella Chiesa dei Frari non è che una figura mondana introdotta nel quadro per fare da punto di congiunzione ai ritratti dei vari membri della famiglia Pesaro» Ed infine Ruskin conclude “Bellini era cresciuto nella fede, Tiziano nel formalismo”.

Per lui la religione vitale di Venezia (non quella formale dei singoli) era già morta quando Filippo di Commynes, narrando il suo viaggio a Venezia nel 1495 diceva:

«Chascun me feit seoir an meillieu de ces deux ambassadeurs qui est l’honneur d’Italie que d’estre au meillieu, en me menant au long de la grant rue, qu’ilz appellent le Canal Grant […] Est la plus belle rue que je croy qui soit en tout le monde, et la mieulx maisonnee, et va le long de la ville. Les maisons sont fort grandes et hautes, et de bonne pierre, et les anciennes toutes painctes, les aultres faictes dipuis cent ans: toutes ont le devant de marbre blanc, qui leur vient d’Istrie […] et encores maincte grant piece de porphire et de sarpentine sur le devant»

Pertanto in precedenza diversi artisti avevano lavorato nelle corti, nei palazzi papali e del potere, i quali hanno commissionato pale d’altare, cicli d’affreschi, ecc.

Negare il cristianesimo in quanto cultura significherebbe rimuovere quasi un intero arco di storia europea, alla quale siamo – volenti o nolenti – legati da una giunzione inscindibile.

Io medesimo, che potrei tranquillamente definirmi ateo, non posso non riconoscere l’influsso che la figura di Cristo ha avuto nell’immaginario collettivo, perché cristianesimo è sinonimo di civiltà, di cultura, di bellezza, appunto. Qualunque uomo nato nel nostro continente dunque è, per antonomasia, cristiano. Valori che ovviamente possono non valere per chi proviene dall’Asia o dall’Africa. Oggi la nostra società tende a definirsi de-cristianizzata o, peggio, molti si sbattezzano: un atto ridicolo e, a mio avviso, ripugnante poiché, come ribadito, si può continuare ad essere atei anche se consacrati.

Sono sorti dibattiti ridicoli, come la rimozione del crocifisso nelle aule scolastiche o negli edifici pubblici, solamente perché secondo qualcuno si tratta di un simbolo offensivo. Eppure nessuno ha mai osato mettere in discussione l’immagine del Presidente della Repubblica. Perché? Forse non offende? Il Presidente della Repubblica, qualunque esso sia, non rappresenta una cultura, eppure nessuno si sdegna.

Del crocifisso invece sì, ignorando Vittorino da Feltre, Benedetto Croce ed un mondo di intellettuali, anche laici, che si sono sempre schierati a favore del cristianesimo.

Alessandro Cantoni

 

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