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Una travagliata storia d’amore e di confine

CULTURA E SPETTACOLO - 24 12 2020 - Ezio (Méngu)

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Cavaione (in Val Poschiavo) – Foto di Méngu

Lo storico tiranese Gianluigi Garbellini nel suo interessante libro “Vicende di Confine“, dal sottotitolo "Dalle antiche contese al buon vicinato - I travagliati rapporti tra Tirano e la Valle di Poschiavo", scrive . “ A causa dell’incerta  e ambigua situazione politico- amministrativa  protrattasi  per anni, sorse a Cavaione un serio problema  che toccò la delicata sfera  dei diritti della persona. Ne danno testimonianza  alcuni documenti dello Staatsarchiv di Coira  da cui traspaiono, già nell’immediatezza del linguaggio  e nella percepibile preoccupazione  di chi scrive , i risvolti di ordine personale , morale e giuridico , sociale e amministrativo  di un matrimonio “che non si poteva celebrare “ proprio  come nel celebre romanzo  di Alessandro Manzoni, non per il divieto di un prepotente  “ don Rodrigo “ del luogo , ma per i vincoli di una burocrazia  altrettanto arrogante che faticava a comprendere  il singolare stato  giuridico  in cui erano venuti  a trovarsi gli abitanti  della piccola contrada retica “.

 

Questa vicenda ben documentata dallo storico e Amico Gianluigi Garbellini nel suo libro, mi ha affascinato al punto tale d’aver avuto il desiderio di scriverla  in versi in Italiano, dialetto e  di raccontarla in dialetto in mp3, con l’intento di far conoscere, spero  a molti ,una intensa  e travagliata  storia d’Amore e di confine delle nostra Valle.  

Ezio (Méngu)

 

 

I “promessi sposi “ di Cavaione

O bella e soliva Cavaione, antica frazione di Tirano,

adagiata sul versante destro della valle dii Poschiavo,

dirimpettaia alla dolce e assolata contrada di Viano,

 

sulla strada che a te conduce su un sasso fu scolpita

una scritta ben chiara: Cavaione frazione di Tirano,

ma la sorte volle che dalla Rezia fu acquisita.

 

Di cittadini senza Patria sei stato contestato borgo,

ora proprio di una storia tra due giovani voglio parlare,

è una bella e chiara storia d’amore che a voi porgo

 

come esempio d’un mondo assai complicato e truce,

zeppo dì leggi e cavillosi ingarbugliati impedimenti

solo un forte amore riuscì, in questo caso a far luce.

 

A causa di una ambigua ma tenace amministrazione,

che per anni e anni si è protratta in quel di Coira,

sorse a Brusio e a Cavaione una gran confusione.

 

Dissero i burocrati comandanti del Piccolo Consiglio:

“ Questo matrimonio a Brusio non si può celebrare,

il parroco di Brusio altrove cerchi un altro appiglio“.

 

Così fu la storia: due giovani contadini e poco dotti,

uno è di nome Giovanni Pedretti ragazzo risoluto

l’altra una bella giovane di nome Bernardina Manfredotti

 

Contadini entrambi e abitanti alla contrada  Cavaione

che ai quei tempi però era una  piccola contrada Retica,

ma per il sentimento degli  abitanti era di Bianzone.

 

Al pascolo accanto al furioso torrente del Saiento

i due giurarono al Signore d’essere promessi sposi,

il rumore del cascar d’acque sigillò il loro sentimento.

 

Del fiero Giovanni pur abitando in contrada Cavaione

non si sapeva se fosse uno svizzero o un italiano,

perché Brusio non trasse mai la “ superiore decisione. “

 

La dolce Maria Bernardina con carta alla mano

si affrettò a dimostrare con gioia e grande vigore

d’aver da  tempo ricevuto il passaporto italiano.

 

Ma se l’una era italiana e l’altro purtroppo un apolide

come si poteva celebrare il desiderato  matrimonio

nella parrocchia di Brusio senza carte civili valide ?

 

Il signor Giacomo Zala uomo di cuore e gran piglio,

da tempo stimato vicepresidente del Circolo di Brusio,

mandò subito al Lodevolissimo e Piccolo Consiglio

 

missiva per chiarire sotto quali leggi e  condizioni

il desiato matrimonio a Brusio si poteva celebrare

poiché Cavaione era giurisdizione di loro Padroni.

 

Fiducioso di risposta  che togliesse l’ingiusto vincolo,

lo sottoponeva per giusta causa all’Alta Loro Autorità

dicendo che la contrada Cavaione era nel suo Circolo.

 

Inviò a Coira, dei due, il certificato di battesimo,

unito a quello di stato libero e la lor santa volontà

in carta non bollata senza spesa d’un centesimo.

 

Povera era Maria Bernardina, ma assai amabile,

la parrocchia di Tirano le regalò tutte quelle carte

essendo lei in stato assolutamente miserabile.

 

Attesero a lungo i nostri amati Promessi Sposi,

attese a lungo il vice presidente Giacomo Zala

ma la risposta non pervenne mai ai due bisognosi.

 

Lo Zala, stizzito e furente per quel silenzio assoluto

si rivolse allora  alla “ Lodevole Direzione di Polizia “

per saper di quel comportamento ostile e muto.

 

Era il 21 di giugno 1862 quando  lo Zala scrisse

al “ Piccolo Consiglio “. Passato era gran tempo !

Il 7 ottobre  Giovanni Pedretti allo Zala disse:

 

“D’una risoluzione ho ormai perso ogni speranza ,

ora in fretta devo sposare Maria Bernardina,

la mia amata  l’ho messa in stato di gravidanza.“

 

All’udir lo Zala pensò che il fatto era d’incaglio

temendo che lo sposo magari mancasse di parola

o che la madre dovesse mancare nel travaglio,

 

o che il figliol nato doversi il comune mantenere.

Informò il parroco di S. Carlo, don Giovanni Zanetti

del fatto che poi a Brusio dovesse  provvedere.

 

Il 10 marzo , Don Zanetti scrisse una lettera accorata

a padre Teodosio, vicario  del Vescovado di Coira,

per sciogliere quella situazione assai  ingarbugliata .

 

Spiegò che “ la donna è ora gravida e al parto vicina”,

che i “ promessi sposi “ combinino presto il matrimonio,

poiché quella “ sinistra impressione “ è di Brusio rovina.

 

Padre Teodosio forse parlò al Ministro competente

per lo scandalo funesto che sarebbe nato a Brusio

ma nessun cenno s’ebbe e tutto questo andò in niente.

 

Forse fece mal il solerte don Zanetti a appellarsi

a Coira per ricevere chiare, buone, giuste istruzioni

del come in questa difficile situazione regolarsi.

 

Avrebbe dovuto, in questo caso, rivolgersi a Como

essendo la sua parrocchia in quella giurisdizione.

Purtroppo al mondo il senno di poi è in ogni uomo.

 

Forse Padre Teodosio informò don Zanetti del fatto,

indicò forse la via da seguire per  risolvere la questione,

cosa che il solerte parroco don Zanetti fece affatto.

 

Ma cosa fece Giovanni, il paziente promesso sposo

in una sera che l’ira e la malinconia lo colse ?

Non disse nulla, ma con il fegato di rabbia roso

 

andò nel fienile e un gran forcone aguzzo prese,

poi si avvio quatto , quatto,   giù per il sentiero

che porta ai borgo di Brusio con l’ aguzzo arnese.

 

Giunto nel borgo  di Brusio a balzi e con fare furente,

gridò a gran voce con occhi di sangue e incandescenti:

“voglio parlare  con don Zanetti e con il  Vice presidente !

 

Popolo di Brusio voglio sapere della mia questione ,

Bernardina è gravida e la voglio subito maritare ,

chi di voi si oppone ha da fare con il mio forcone .

 

Voi due, venite fuori dai portoni, o gran satanassi

fatevi vedere , or sono stanco delle vostre promesse

nel mio  zaino  ho per voi un gran carico di sassi.”

 

Ecco giungere con fare timoroso e guardingo

don Zanetti e il vice presidente fuor dall’ uscio.

Giovanni Pedretti or grida :” andate a ramengo !

 

Sono uno  svizzero fin quando a voi signori va bene,

sono un italiano fin quando a voi furboni conviene

sono irato, stufo, sono stanco morto di queste pene.

 

Se non volete assaggiare la punta del forcone

orsù veloci ora fate quel che a me conviene,

ma subito perché sposi la mia amata di Cavaione.”

 

Al ruotare  del forcone in alto e poi in basso

si sentì una voce come rumore di gran cascata:

diceva:” ascoltatelo sennò di Brusio farò sconquasso. “

 

Così parlarono le possenti acque della Val Saiento,

e un rumore di pietre cadute giunse fino Meschino,

in fretta tutti fecero il segno di croce per spavento.

 

Subito Giovanni pose a terra il grosso  forcone,

poi a gran voce disse innanzi al popolo tremante,

“ Gente, adesso troviamo insieme una  soluzione”.

 

Fu cosi che, dopo quella voce,  ognuno si mosse,

il teologo Quadrio in Tirano conobbe i due giovani,

dopo il racconto della loro odissea si commosse.

 

Il 20 maggio 1863 a Tirano ci fu il loro  matrimonio,

testimoni furono Domenico Merizzi e Antonio Pianta,

di questo lieto fatto Tirano ancora resta il testimonio

 

dei due giovani di Cavaione che seppero volersi bene

tra guerre di confini , leggi con arroganza di potere,

il grande esempio fu che l’amore spezza le catene.

 

Ma  lo zelante parroco di Brusio aveva la questione

formalmente dichiarata e si appellò al Piccolo Consiglio

poiché voleva nel suo gregge gli abitanti di Cavaione.

 

Con fermezza disse che quelli erano del suo gregge,

con pieni diritti nazionali svizzeri e di sposarsi in Brusio.

Il 26 aprile 1875 il governo di Coira con una legge

 

informò Berna che a Cavaione era stata conferita

a 108 persone  finalmente la cittadinanza svizzera,

da quel momento l’odissea del Cavaionesi era finita.

 

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I “prumès spùs” de Cavaiùn

U bèla e suliva Cavaiùn, vègia fraziùn deTiràn,

pugiàda sü ‘l versànt dèstru de la val de Pus’ciav,

pròpi de frùnt àla dulscia e suliva cuntrada de Viàn,

 

sü la strada che la porta àli cà, ‘n de ‘n sas l’era sculpìda

‘na scricia bèla ciara: Cavaiùn, fraziùn de Tiràn,

ma la sòrt la volüü che da la Rezia la füss acquisida 

 

De citadìn sénsa Patria te se stàcia béga de cuntràda,

adès pròpi dé ‘na storia  ‘n tra dùu giuan völi parlà,

l’è ‘na storia d’amur che val la pena de fa ‘na parlàda  

 

cùma esémpiu de ‘n mund ‘n pit tant cumplicàa e barlafüs,

piée de regulamént e de granc sgarbòi de fa tribülà

che apéna ‘n grant amur ‘l gà rüa, ‘n stù casu, a fa lüs. 

 

Per culpa de ‘na menafrègia, ma forta aministraziùn,

che per àgn e àgn i sa tiràa rée queì int a Coira,

ilò a Cavaiùn e a Brüs ‘l sa creàa ‘na grant cunfusiùn.

 

I diseva i burocrati che cumandava ‘n del Picùl Cunsigliu:

“ Chéstu matrimòni a Brüs sa pö mìga celebràl,

‘l prèvat de Brüs ‘l cerchìs de ‘n òltra part ‘n òtru apigliu.”

 

Isci l’è stacc la storia: i düu giuan cuntadìn ‘n pìt ignurantòt,

ün de nùm Giuàn Pedrèt , bòcia decis, 

l’otra bèla ràisa de nùm Maria Bernardina Manfredòt.

 

Cuntadìn tücc dùu e de cà àla cuntràda Cavaiùn

che a chèi témp però l’éra ‘na pìscena cuntràda Rètica, 

ma che per ‘l sentimén dei abitant l’éra de Bianzùn.

 

A pastüra ilò tacàa al spümegiànt  rio del Saiént

i dùu ià giüràa al Signùr de ès prumès spus

e ‘l rumùr dèli àqui ià sigilàa chèl sentimént.

 

De chél galüp Giuàn che ‘ ‘l stàva de cà a Cavaiùn

sa savéva mìga se l’éra italian u svizar 

perché da Brüs l’éra vegnüü nigüna süperiur decisiùn.

 

La cara Maria Bernardìna  cun carta àla màa

la fàcc ‘n prèsa a dimustrà cun alegria e forsa

che da tèmp ‘l pasaport italian l’éra ciapàa.

 

Se però üna l’era italiana e l’òtru purtròp ‘n apolide 

cume ‘spudéva fa a celebrà ‘l desideràa matrimòni

’n dèla parochia de Brüs sensa avèch carti civili vàlide ?

 

‘L  sciur Giàcum Zala  um de cör  e de gran pigliu ,

da témp stimàa vicepresidént del Cìrcul de Brüs,

la mandàa sübit al ludevulisim  Pìcul Cunsigliu

 

misìva per ciarì suta quali giüsti  cundiziùn 

chèl desideràa matrimòni sa pudéva celebrà,  

parchè Cavaiùn l’èr sùta la giurisdìziùn de chèi padrùn.

 

Fiducius déla risposta che la tiràs via l’ingiüst vicùl

se dumandàva cusa la pudèva fa  L’Alta Autorità

diséndu che la cuntràda Cavaiùn l’era suta ‘l so Circùl.

 

La pòo ‘nviàa , de chèi dùu, ì certificàa de batésim

‘nséma a chèl de statu liber e àa la lur santa vuluntà

‘n carta de bul  sénsa fa spént  gnàa ‘n centesìm .

 

Puarèta l’era Maria Bernardìna, ma l’éra tant amabil,

la paròchia de Tiràn  la gà iscì regalàa tüti li carti

eséndu lée de statu de famiglia gran miserabil. 

 

Ià speciàa ‘n tòch de témp  i nòs prumès spùs,

la speciàa  ‘n tòch  de tèmpo àa  ‘l vice presidént

ma la risposta l’è mai rüàda ai dùu murùs.

 

‘L Zala, ‘nrabiàa e gnèch per chèl silenziu brüt

‘l sa tacàa alùra a la “ Lodevole Direziùn de Polizia “

per savè de chèl cumpurtamént stranu e müt.

 

L’era ‘l 21 de giugn quàndu ‘l Zala la scricc

al “ Piccolo Consiglio “. L’éra pasàa ‘n grant témp !

‘L 7 utubri  Giuàn Pedrèt  al Zala ‘l gà dìcc :

 

“ de ‘na risuluziùn u uramai  perdüü ogni speransa,

però ‘n prèsa gòo de spusà la Maria Bernardina,

la mè murusa mi lùu metüda de fàtu ‘n gravidànsa.”

 

Nel sentì chèstu , ‘l Zala là pensàa che chèl fàtu l’èra ‘n incài,

lüü ‘l gh’éra paüra che ‘l spus ‘l mancàs de paròla

u che la màma la pudéva àa  murì ‘n dèl  travài,

 

u chè pòo ‘l fiöl  ‘l Cumün i la duvéva mantegnì,

iscì la infurmàa ‘l prèvat de S. Carlu, Giovanni Zanetti

che se ‘l capìtava chèl fatu Brüs ‘l duvèva ‘ntervegnì.

 

‘l 10 de mars, don Zanetti , la scrìcc ’na lètera garbàda

al padre Teodosio, vicari del Vescovado de Coira,

per sbruià fo chèla sitiaziun grant ‘ngarbuiàda.

 

La spiegàa che “ la fèmna l’era ‘ncinta e uramai scià gròsa ”,

e che “ i prumés spus “ i gh’éra de spusàs al pü prèst

perché chèla situaziùn gnàa ‘n pit bèla la dàva a Brüs mìga pòsa.  

 

‘L Padre Teodosio fùrsi l’era parlàa al Ministru cumpetént

per via del scàndal che ‘l sarés  nasüü ilò a Brüs

ma chèl ‘l sa mìga fàcc senti e tütt l’è andacc ‘n niént.

 

Fùrsi la fàcc mal ‘l zelant don Zanetti a tacàss

a Coira per avèch ciari e bùni spiegaziùn

del cùme la dificil situaziùn la sa duvéva  sbruiàss.

 

Larès dovùu, ‘n chèstu casu, tacàs a chèi de Cum

esèndu la so parochia ‘n  chèla giurisdiziùn.

Purtròpp al mund a savè dòpu l’è ‘bun tücc i um .

 

Padre Teodosio l’era parlàa cun don Zanetti déla questiùn   

e ‘l gh’éra àa dìcc  fùrsi la strada giüsta de ciapà,

e stavòlta  il bravu prèvat don Zanetti ‘l gà dacc rasùn. 

 

Ma cùsa l’éra facc ‘l Giuàn , ‘l paziént prumès spus

‘n dé ‘na sira che l’era malinconich e àa gnech ?

L’era dìcc negùt , ma cun ‘l fidèch gròss e rabbius

 

l’éra andacc ‘n crapéna e la ciapàa un gros furcùn, 

pòo silensius ‘l sa ‘nvia giù par ‘l sentée

che ‘l porta ilò a Brüs  cun chèl  agüz spunciùn.

 

L’è rüàa ‘n chèli cà a sòlt e cun l’idea de tirà fendént ,

la cridàa a gran us e cun öcc stralüsent e de sanch: 

“Völi parlà cun don Zanetti  e cun ‘l vecepresidènt !

 

Gente de Brüs  vöii savè déla mé  questiùn

Bernardina l’ è ‘ncinta e  mi völi sübit spusàla

chi de viòtri iè cuntràri ‘l garà de fa cun ‘l mè furcùn,

 

Votri dùu, vegnìi fò dai purtùn , u gran satanàss

fiss vedè , adés mi sòo stràch déli vòsi prumési

‘n del mè rutzàch gòo per votri ‘na carga de sàss.”.

 

Eco che ‘l rüa  cun fa timurus e guardìngu

Don Zanetti e ‘l vice presidént fò dai söö üsc ,

Giuàn Pedretti ‘l crida: “ andìi a ramengu !”

 

Sòo svizàr  fina  a quàndu a vòtri sciur ‘l va bée,

sòo italiàn fina a quàndu a vòtri balòs ‘l va cunvée

sòo gnech, stüf , e àa strach mort de chéstu mestée.

 

Se vulìi mìga sagià la punta del mè furcùn

dai, su ‘n prèsa ,  fìi adès chèl che a mì ‘l cunvée

parchè völi spusà sùbit la mè femna de Cavaiùn.”

 

‘Ntànt che ‘l girava ‘l furcùn ‘n òlt e ‘n bas

sa sentüü ‘na us cùma de rumùr surd de rüina :

La diséva “ scultìl sedenò de Brüs ‘n farò scunquàs “ .

 

Iscì i era parlàa  li spumegiànti àcqui del Saient ,

e ‘n rumùr de sàs a burèla l’è rüàa fina int a Meschìno 

e tücc ià fàcc ‘l sègn déla crus ‘n de un mumént.

 

Sübit ‘l Giuàn la tracc giù per téra ‘l gròs furcùn,

pòo a gran us la dicc denans àla gent stremìda

“  Gent, adès truùm ‘nséma ‘na suluziùn “  .

 

L’è stàcc che dòpu chèla us  ugnün i sa ‘mpegnàa ,

‘l teologo Quadrio de Tiràn la cunusüü i dùu giuan,  

e dopu avè saüü chéla  stòria, lüü ‘l gà dàcc ‘na màa . 

 

Il 20 de mag del 1863 ‘n Tiràn ‘l ghé stàcc ‘l matrimòni,

testimòni l’è stacc Domenico Merizzi e Antonio Pianta

e de chèsta bèla storia a Tiran i resta tücc testimòni

 

de chèi dùu giuan de Cavaiùn che i sa volüü beé tra péni

e guèri de cunfin , e àa légi cun boria de cumàndu,

‘l gran esempiù dàcc l’è che l’amur ‘l rump àa li cadéni.

 

 Ma ‘l zelant  prévat de Brüs che per chèla questiùn ,

uramài l’éra sü la bùca de tücc, ‘l sa tàcàa al Piccolo Consiglio

perché ‘l vuléva avèch ‘ndè la sò pastùra a chèi de Cavaiùn.

 

Cun fermèza ‘l diséva chè chèi iéra péguri del so gregge

cun tücc i diriti dei Svizzar  e àa liber de spusàs a Brüs,

finalment ‘n dèl 26 abril 1875 da Berna l’è rüà fo la legge 

 

che a 108 persùni de Cavaiùn ‘l gh’éra stata cunferida

la citadinansa svizéra da la Soprastanza di Brusio

e da chèl mumént l’udisea de i Cavaiunes l' era finida.

 

 

Episodio storico tratto dal libro “ Vicende di Confine”

di Gianluigi Garbellini.

Liberamente scritto in terzine italiano-dialetto

Tiranese da Ezio Maifrè .

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