MENU
/macchina

Vicende di Gente di montagna

CULTURA E SPETTACOLO - 25 02 2021 - Ezio (Méngu)

CONDIVIDI

/Guglielmo Tèll

In questi tempi di Coronavirus le notizie che propongono i mass – media ci tolgono il sonno e il sorriso sui nostri visi è scarso. Io credo che l’Uomo sia stato creato per essere felice e se la parola “felicità “ ci appare troppo grossa in questo periodo sciagurato, con il nostro animo dobbiamo trovare almeno una via di fuga per riuscire a “tirare avanti“. Ci sono giornate in cui i nostri pensieri appaiono nebbiosi e zoppi e per tenerci in piedi occorre avere una stampella. C’è chi si rifugia nella Fede, chi nell’Amore, nella Scienza, nell’Arte , nella Poesia, nella Filosofia, non da ultimo anche nel lavoro …. Io, per esempio, a volte mi rifugio nel mio passato. Orbene, ho il desiderio, tanto per distrarvi dalle ondate di Coronavirus che ci flagellano, raccontarvi alcune vicende della nostra gente di montagna. Storie accadute ma con i nomi di personaggi inventati (per non avere storie “ de gént sufìstéga “) . Le storie hanno un fondo di verità e da esse si possono trarre , a volte, buoni insegnamenti.

 

Ogni Paese ha i propri eroi che, tra leggenda e realtà per le loro prodezze, divennero famosi. La Svizzera, ad esempio, ha Guglielmo Tèll, eroe nazionale vissuto tra il XIII- XIV secolo, sebbene la sua reale esistenza è avvolta in molti dubbi. L’ Eroe si distingueva per la sua abilità di cacciatore nel tiro con la balestra. Fu in grado di colpire una mela posta sul capo del proprio figlio da una distanza eccezionale. Nel tiranese vi fu un personaggio non da meno abile, ma cacciatore con il tiro della fionda. Forse vale la pena di ricordarlo per una sua prodezza e tramandarla ai posteri.

 

Il “Guglielmo Tèll” tiranese

Questa è una storia vera, d’una prodezza di un nostro avo montanaro che seppe, con la voglia di vivere in allegria e soprattutto per la sua abilità di cacciatore, di compiere una impresa non da poco che gli fruttò il soprannome di “Tèll ”. Proprio come il cognome famoso di quell’eroico personaggio nazionale svizzero, la cui storia è conosciuta in tutto il Mondo, soprattutto come abile arciere. Una sola differenza con il Nostro. Guglielmo Téll maneggiava balestra e frecce con maestria eccezionale, la stessa cosa la faceva il nostro Guglielmo, non con la balestra ma con la sua fionda. Probabilmente sono l’unico a ricordare l’avventura di Guglielmo, perciò terrò fede al racconto che mi fece mia nonna Virginia, testimone oculare. Al giorno d’oggi, questo fatto , potrebbe far parlare di tentato “ mulicidio “. Non mi piacciono le premesse, ma devo specificare il tempo e il luogo dove si svolse il fatto. Erano gli anni ’40. Mia nonna svolgeva due compiti in quel di Ronco. Il primo era quello di “ cantiniera “ cioè quello di “ mandare avanti “ l’osteria di Ronco a colpi di gazzose, birra e calici di vino fresco. All’osteria i “ viciurin “ con le loro “priàle” si fermavano per dissetarsi e per riprendere fiato dalle loro fatiche. Ma dov’è Ronco ? Lo potete raggiungere salendo alla nota alpe Canali per poi scendere per una stradina in mezzo ai boschi. E’ un gruppo di quattro case poste a circa 930 metri sul livello del mare. Il luogo è incantevole. A valle la vista spazia sulla catena delle alpi Orobiche sino alla Malgina e a nord sulle Retiche sin sopra Sondalo. La valle di Poschiavo e il gruppo del Bernina vi si parano innanzi, quasi cadendo ai vostri piedi nelle belle giornate di sole. Guglielmo era solito fermarsi con la sua “ priàla “ a Ronco. Ma chi era costui ? Era conosciuto da molti come cacciatore di frodo, ma lo faceva per sfamare la famiglia. Quando qualcosa gli andava di traverso non imprecava contro i Santi, ma stilava un interminabile lista di nomi di donne di buon mestiere, per poi sfogarsi traendo la fionda dal suo “ rutcksack “ e mirando alla selvaggina. Era il suo sfogo preferito. La sua fionda era speciale.

 

L’aveva costruita con le sue mani. L’impugnatura a Y era d’un acciaio speciale ricuperato da una verga sottratta ad un cantiere edile. Aveva poi saldato il corno con brasatura speciale e malgrado ogni sforzo non si fletteva di un millimetro. Per gli elastici si era rivolto ad un suo amico gommista che gli aveva procurato una camera d’aria di camion militare americano residuato bellico del ’45. Aveva ritagliato con cura gli elastici e li aveva cuciti ad una “ selletta “ di cuoio ricuperato dai testicoli d’un toro della contrada di S. Maria. Quel toro faceva il suo dovere un giorno sì e un giorno no con le vacche di Tirano . Immaginatevi l’elasticità della pelle di quella borsa di toro. Insomma aveva costruito una fionda che al suo pari forse non ce n’era una in Valle. Mille volte si era allenato nel tiro. Usava tirare palle di acciaio da dieci mm e ne aveva sempre di scorta nello zaino. Le sfere se le procurava da un meccanico a poco prezzo. Da quel meccanico si faceva dare i cuscinetti consumati delle ruote degli assali dei camion e poi, dalla corona dei cuscinetti ricuperava le sfere. I guardia-boschi sapevano che la selvaggina colpita con colpi di sfera da 10 mm erano di Guglielmo e ogni tanto chiudevano un occhio se non due sulla sua cacciagione di frodo. Le upupe e i galli cedroni erano la sua passione. Silenzioso come un giaguaro, si acquattava tra le frasche, tendeva la fionda e” zach” , la biglia faceva un cadavere. Tutto questo per far capire l’abilità di Guglielmo. Orbene intorno al tavolo, in quel di Ronco e con tre pinte di vino rosso, erano seduti ( non faccio il cognome poiché qualcuno è ancora vivo ) Giacomo, Attilio, Stefano, Guido e Guglielmo. Come sempre Guglielmo si vantava delle sue prodezze con la fionda. D’un tratto arriva il Capo guardiacaccia che ben conosceva Guglielmo. Gli disse con tono da colonnello delle S.S. “Apri lo zaino!”. Quel guardiacaccia era da diversi giorni che non sentiva il canto del gallo cedrone che stanziava nella zona di Canali e Ronco . Era il suo “ cocco “ .

 

Era forse l’unico esemplare rimasto vivo in tutta la montagna di Trivigno e cercava di proteggerlo come un figlio dalle palle di acciaio di Guglielmo. Guglielmo fece finta di non capire l’ordine della guardia e bevve lentamente e con molti sorsi il suo calice di vino rosso senza guardarlo in faccia. Il gesto fece scatenare l’ira del guardiacaccia che con rabbia e con coltello gli squarciò lo zaino. Apparve il gallo Cedrone con la testa quasi staccata dal collo. Poverino, sembrava dormisse tanto era bello a vedersi. Il Cedrone era ancora caldo. La guardia ebbe un moto d’ira verso Guglielmo. . Furono necessari lo sforzo dei quattro robusti ragazzotti per tenere a freno il guardiacaccia che, con gli occhi fuori dalle orbite, gridò a Guglielmo : Questa volta la paghi cara. Ti appioppo una multa di 10.000 lire e se non paghi entro tre giorni, giuro che finisci in galera !” Guglielmo . con flemma maschia grosina, gli rispose : “ 10.000 lire non vale nemmeno il mio mulo. Soldi non ne ho e fatico a tirare avanti ! Il gallo cedrone serve questa sera per cena alla mia famiglia “ . La scusa era patetica ! Il guardiacaccia doveva e voleva farla pagare cara e salata all’assassinio del gallo. Diede una rapida occhiata sul tavolo. Due dei boccali da un litro di vino erano vuoti, al terzo vi si vedeva il fondo. Pensò : “ Guglielmo deve aver bevuto molto. La sua mira con la fionda sarà incerta, perché biascica le parole . Ora lo sistemo per le feste”. Volse lo sguardo sulla mulattiera. La “priàla” di Guglielmo era ferma con le altre a più di 40 passi. Il mulo “ Daimon “ quieto aspettava il suo padrone Guglielmo. Di scatto il guardiacaccia si tolse dal capo il cappello d’ordinanza con visiera e corse verso il mulo “ Daimon “ . Con un colpo preciso ficcò il cappello tra le orecchie del mulo. Tornò dà Guglielmo e disse: “ Non ti farò la multa se colpirai con la tua palla d’acciaio il mio cappello che ho posto tra le orecchie del tuo mulo. “.

 

Poi tra sé pensò: “La sua mira non è più certa. Colpirà la fronte del suo mulo che stramazzerà al suolo e farà la fine del gallo cedrone. Questa è la giusta punizione !! “ Poi vi fu un silenzio di tomba. Uno degli amici di Guglielmo accennò un segno della croce sapendo che “ Daimon “, che era l’amore di Guglielmo forse più della moglie, sarebbe stramazzato al suolo colpito a morte. Guglielmo iniziò il rito. Prese la palla d’acciaio dallo zaino. La mise in bocca come per sciacquarla d’ogni lordura. La pose nella selletta di pelle di testicolo di toro, poi tese gli elastici ai massimi. La distanza era di quaranta e più passi ! Mia nonna presente iniziò a voce alta un Reqiem per il mulo, ma non ebbe tempo di concluderlo quando il colpo di fionda partì. Si sentì un colpo secco, come d’osso spezzato. La palla d’acciaio colpì la visiera del berretto di ordinanza del guardiacaccia posta appena sopra la fronte del mulo. La mandò in frantumi mentre la parte rimanente del berretto volò sopra un ramo di betulla. Il mulo spaventato si drizzò in alto nitrendo furiosamente intuendo lo scampato pericolo. Guglielmo gonfiò il petto in modo mussoliniano mentre i suoi amici esultarono di gioia. Il guardiacaccia dopo avere recuperato il cappello ridotto a un cencio disse: “ Guglielmo hai avuto coraggio e buona mira. D’ora innanzi ti chiamerò “ Gugliemo Tèll” , ma se mi uccidi un altro gallo cedrone il mio cappello lo metterò in testa a tuo figlio Giacomino. “ Dopo aver bevuto un calice di rosso che mia nonna prontamente gli portò per calmarlo e pacificarlo se ne andò brontolando. Guglielmo diede una carezza al suo mulo e riprese la strada verso casa. Giunto a dimora spellò il gallo cedrone e la moglie lo cucinò per cena. All’indomani videro Guglielmo che sul cappello aveva quattro lunghe penne di gallo cedrone e da quel dì gli amici tiranesi lo soprannominarono “ Guglielmo Tèll ”e tale rimase per molti anni.

 

Ezio (Méngu)

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI