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Morire sul lavoro

ECONOMIA E POLITICA - 04 04 2018 - Ivan Bormolini

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Cari lettori, anche un piccolo giornale come il nostro, non può esimersi dall'esprimere un'opinione nei confronti dell'aumento delle morti sul lavoro.

Negli anni passati infatti anche la nostra città si è trovata a dover fare i conti con questa drammatica realtà, erano stati due i casi di morte sul lavoro, uno presso la Cartiera e uno all' Industria Legnami Tirano.

In molti avranno notato come nel periodo della crisi economica, di questi episodi non se ne poi parlato più di tanto. Ovviamente tra fabbriche chiuse, ore e ore di cassa integrazione, il fenomeno si era mitigato per ovvie ragioni.

Però con quella che si definisce, forse con troppa faciloneria, ripresa economica il problema delle morti sul lavoro si è notevolmente amplificato.

 

Secondo fonti Inail, nel 2017 vi sono stati 1029 morti sul posto di lavoro, undici casi in più rispetto al 2016 con un incremento dell' 1,1%.

Tra i motivi di questo aumento registrato nei due anni passati, c' è stato un incremento di incidenti plurimi, ovvero casi che hanno provocato la morte di almeno due lavoratori.

Nel 2017, ci sono stati 13 incidenti plurimi contro i 6 dell'anno precedente. In uno dei rapporti stilati lo scorso anno si evince che il 20% delle morti riguarda il comparto dell'agricoltura, causati per lo più da ribaltamenti di mezzi agricoli, strano a dirsi, comunque uno dei settori che più ha sofferto della crisi economica, ovvero l'edilizia torna a farla da padrona, assieme all'industria in generale in una classifica che possiamo definire come una serie di necrologi.

Fa inoltre riflettere il dato che oltre il 10% di queste morti riguarda gli stranieri ed il 25% delle vittime ha oltre i sessant'anni di età.

 

L'anno in corso, su questo tema, si è aperto in questi primi mesi nel peggiore dei modi: nelle recenti giornate festive due operai in un'azienda di Treviglio hanno perso la vita intervenendo su un guasto.

Recentemente analoga situazione si è verificata nel porto di Livorno: un manutentore ha perso la vita nel riparare un guasto su una linea ferroviaria nei pressi di Bologna e due Vigili del Fuoco, nel catanese, sono state vittime di un infortunio mortale mentre prestavano soccorso. L'ultima vittima sul lavoro è notizia di queste ore.

Sono i numeri a parlar chiaro, 151 vittime sul lavoro da gennaio ad oggi, mentre nello stesso periodo del 2017 erano 113, un dato che amaramente si commenta da solo.

 

C'è poi da includere in questo report anche le morti e gli infortuni in itinere, ovvero quelli avvenuti nel tragitto verso il posto di lavoro, qui penso alla tragedia ferroviaria di Pioltello, dove tre persone hanno perso la vita ed altre sono rimaste ferite semplicemente nel viaggio che li avrebbe condotti sul posto di lavoro. Non va scordata anche la piaga degli infortuni sul lavoro che non portano alla morte, ma che certo molto spesso creano conseguenze altamente problematiche ed invalidanti per chi li subisce.

Tra gennaio e luglio dello scorso anno sono state trecentottanta mila le denunce, ben 4750 in più rispetto al 2016.

Credo a questo punto che la formazione sia scolastica che sui posti di lavoro, debba essere un elemento fondamentale, anzi direi un imperativo. Con molto piacere va apprezzato il continuo sforzo che associazioni come l'Anmil, porta avanti in sintonia con le istituzioni al fine di sensibilizzare, proprio a partire dall'ambiente scolastico, sul tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Vi lascio con una riflessione: ho citato che il 10% delle morti riguarda cittadini stranieri, vien logico pensare che questi non abbiano una vera e propria cultura del lavoro e nemmeno dei rischi connessi ad una determinata professione. Sono una sorta di dilettanti allo sbaraglio che sono immessi nel mondo del lavoro, magari senza mai aver visto prima una fabbrica o un'azienda artigianale. Forse prima di indossare una tuta blu o un camice, almeno un minimo di formazione sulla sicurezza nel lavoro andrebbe fatta.

 

Un'ultima cosa riguarda il tema di coloro che oltre il sessantesimo anno di età, lavorano ancora in vari comparti. In Italia il tema delle pensioni è un calderone enorme dal quale non si troverà presto una soluzione. Ma vi pare possibile che ancora un uomo o una donna a quell'età debbano ancora lavorare in fabbrica, in agricoltura o in edilizia?

 

A mio avviso dopo una certa età, e magari dopo che si è lavorato per tanti anni, il diritto alla pensione dovrebbe essere garantito, non è pensabile che oggi sui cantieri lavorino ancora certe persone che avrebbero diritto al meritato riposo. Non per colpa loro, ma queste possono essere causa di incidenti sul lavoro, magari per eccessiva stanchezza oppure per una prontezza di riflessi che non è più quella di un tempo. Io credo che se proprio queste maestranze debbano continuare a resistere, per colpa di leggi scellerate, potrebbero essere ottimi tutor per le generazioni che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro, insegnare loro ma senza dover assumere carichi di lavoro che certo non si confanno più alla loro età per ovvie e giustificatissime ragioni.

 

Cosa significa sentirci dire che la vita media è aumentata e perciò si deve lavorare di più? Chi formula queste tesi e snocciola dati sull'innalzamento dell'età pensionabile, forse dovrebbe fare un bel giro in tanti luoghi di lavoro e toccare con mano la realtà.

 

Ivan Bormolini

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