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Strategia della tensione 2.0

ECONOMIA E POLITICA - 05 05 2018 - Alessandro Cantoni

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Foto di "agenziami" (CC 2.0)

La lotta per il governo: una strada irta, costellata di insidie e giochi di potere. È la nuova strategia della tensione, fondata sull’ostruzionismo.

 

Dopo ben due mesi, il M5S, partito che ha conseguito il miglior risultato alle elezioni politiche del 4 marzo, non è riuscito a formare la maggioranza necessaria al governo del Paese.

L’esasperazione degli italiani fa largo ad una desolante rassegnazione, che non è altro se non l’anticipo di una lunga e triste stagione, in cui l’inverno si preannuncia così freddo da gelare gli animi e spegnere ogni ardore verso la res pubblica.  

Analizzando meglio il quadro italiano, credo siano due le considerazioni da fare.

 

La prima riguarda il merito, ma dovrei forse parlare di demerito, in riferimento a Luigi Di Maio.

In queste ultime settimane, ha dato prova di voler proseguire la linea dei suoi predecessori, appartenenti agli schieramenti tradizionali. Si tratta dell’autoreferenzialità, del «o io, o nessun altro», una tendenza fortemente in crescita anche presso l’establishment politico.

Personalizzare è pericoloso, oltre che controproducente, come ha dimostrato il caso di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi, dotati di un super-ego smisurato.

I capricci del leader del Movimento Cinque Stelle segnalano un primo solco, nel quale la classe dirigente si sta scavando la fossa.

 

Va però ricordato, ed è il secondo punto della discussione, che un altro protagonista di questa vicenda è il Partito Democratico, il quale concorre, insieme al centro-destra, alla campagna denigratoria e di discredito nei confronti del M5S.

È precisamente ciò che definisco la strategia della tensione 2.0, molto diversa rispetto a quella conosciuta negli anni dello stragismo, e che punta a scaricare le responsabilità sull’avversario.

Uno stratagemma subdolo, il quale ha di mira un solo obiettivo: demolire, annichilire lo schieramento contrapposto.

Sin dagli albori, il Movimento di Grillo-Casaleggio si è rivelato angusto a qualsiasi formazione politica, ribadendo la propria alternatività rispetto ad un Parlamento che, a dire di molti esponenti pentastellati, doveva essere aperto come una scatola di tonno, sventrato e poi ricostruito.

 

Dall’ostruzionismo fono alla campagna contro i vitalizi, i Cinque Stelle si sono trasformati in inimicus e hostis al tempo stesso, ovvero in rivali anche sul piano dei rapporti personali.

Il Partito Democratico non è perciò intenzionato a conservare linda e immacolata l’immagine del Movimento.

Dopo aver puntato il dito contro il sindaco di Roma, Virginia Raggi, hanno demonizzato i disertori, rei di non aver destinato parte dello stipendio al fondo per le microimprese italiane.

Tentativo fallito, come abbiamo scoperto pochi giorni dopo le votazioni. I facinorosi, pericolosi e sovversivi centristi radicali hanno collezionato oltre il 32% dei consensi elettorali.

Una brutta batosta, imperdonabile. Perciò si finge di non pervenire ad un’intesa, malgrado numerosi punti programmatici coincidano con quelli esposti dal M5S.

 

Quanto ancora desiderano fustigare noi e loro? E per quale ragione? Evidentemente perché si sta smarrendo sempre più l’idea del bene pubblico, da non confondere con l’interesse privato del più forte, e per manifestare l’impossibilità del Movimento di rappresentare un’alternativa seria e credibile all’impasse nella quale siamo malauguratamente precipitati.

 

Alessandro Cantoni

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