La Solitudine ai tempi del coronavirus
CULTURA E SPETTACOLO - 09 06 2020 - Ercole Ricci
Il termine solitudine, evoca in modi contrastanti, diverse immagini. Per alcuni diventa un’ombra da scacciare ad ogni costo; per altri appare il solo modo di rimanere ancorati alla propria umanità che viene in qualche modo avvertita come un pericolo. Una condizione e un sentimento umano nei quali l'individuo si isola per scelta propria, per vicende personali e accidentali di vita, o perché isolato o boicottato dagli altri esseri umani. Una situazione che trova spazio soprattutto nelle grandi città. Molti di noi hanno scelto di vivere in grandi centri proprio per avere maggiori contatti, per avere più amicizie, in sostanza, quindi, per sentirsi meno soli ed isolati. Eppure quante volte ci capita di sentirci soli tra la gente? Questa sensazione deriva dalla nostra difficoltà ad aprirci, ad instaurare un’intimità con l’altro, perché ne abbiamo paura. In questo periodo milioni di persone hanno fatto i conti con esistenze sospese nel tentativo di arginare la diffusione del nuovo coronavirus. In tanti abbiamo imparato che ci sono mille modi di stare da soli: alcuni dolorosi, altri nuovi, qualcuno inaspettato. C’è chi ha passato le giornate cercando di arginare le perdite di un lavoro che non ha più; chi si è inventato il modo per passare il tempo insieme a bambini piccoli; chi, anziano, ha aspettato qualcuno lo andasse a trovare perché era meglio che non uscisse di casa. Le misure di distanziamento sociale adottate hanno reso ancora più difficile la vita alle persone senza dimora, da sempre alle prese con difficoltà inimmaginabili per molti di noi. Persone che per le più svariate ragioni non hanno un tetto sotto il quale ripararsi, una televisione o un computer per passare il tempo. La solitudine, per chi viene dalle strade in questo periodo è stata ancora più forte perché le strade i luoghi di norma frequentati da loro erano deserte. 55mila persone senza fissa dimora, una parte di cittadinanza fragile, che in questo periodo si sono sentiti ancora più isolati e abbandonati, che ha aumentato il loro disagio fisico e psicologico. Mentre tutto il Paese stava a casa, la solitudine dei senzatetto si amplificava, aggravata dalla chiusura di tante mense dove era possibile consumare un pasto o dallo stop all'attività di associazioni di volontariato che portavano nei rifugi di fortuna beni di conforto, come cibo, abiti o coperte. Eppure quando pensiamo ad un senza dimora ci viene in mente un determinato luogo comune. Un uomo di mezza età, che dipende dalla droga ed è troppo pigro per trovarsi un lavoro. Pensiamo che sia colpa sua se vive in strada, dimenticandoci che alle spalle di ognuno di loro c’è una storia di disgregazione, difficoltà relazionali e psicologiche per cui non riesce ad inserirsi o reinserirsi nel mondo sociale e lavorativo. Non si diventa barboni dall’oggi al domani e quello di finire in mezzo ad una strada rappresenta per loro l’ultima stazione di una via crucis che segue il binario della disperazione. Ci sono tutta una serie di passaggi che li ha portati a questo; finire in strada a questa condizione di isolamento sociale. E l’isolamento sociale è la peggiore delle condanne a morte, consumata tutti i giorni sotto i nostri occhi. L’attore Robin Williams diceva: “Pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. No, non lo è. Ho scoperto invece che la cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo”. Ercole Ricci
La solitudine, è il problema sociale diffuso indiscriminatamente tra tutte le classi arrivando ad avere gli effetti più drammatici però, sulle fasce più povere della popolazione. Chi non ha risorse, né una rete sociale su cui contare, si trova nella condizione più fragile.
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