La leggenda de “‘l prèvat dé la Val dé la Ganda e dèla so stròlega”
CULTURA E SPETTACOLO - 07 02 2022 - Ezio (Méngu)
Per coloro che ancora non lo sanno, da unorum, nella Val della Ganda, si aggira il fantasma di un prete accompagnato da una vecchia stròlega. Quel prete era il Monsignore venuto da Como e che aveva condannato spietatamente la “ begia ramabàguli “ a morir di fame sull’ isola di Teràda, isoletta dai sassi rotondi in mezzo al laghetto formato dalla confluenza tra l’Adda e il Poschiavino e che un tempo si trovava ai piedi della Valle di Ganda ( per chi vuol saperne di più digiti : https://intornotirano.it/articoli/cultura-e-spettacolo/la-leggenda-del-prete-della-valle-della-ganda-e-della-rupe-dei-corni ). Quell’ ecclesiastico, dopo il misfatto, era stato condannato a vivere nelle caverne più tetre della Valle e ogni tanto, nelle notti di plenilunio, appariva con la sua stròlega alla gente che non era in grazia di Dio. Era una giornata d’agosto del 1962 e in tutta la Valle da Tresenda a Grosio una fitta nebbia tappava la Valle. Il giorno prima aveva piovuto a dirotto e i sassi della “ bruzzéra “, appena sotto la curva di Ronco, erano lisci come palle da bigliardo e nessuno dei “viciurin “ si era avventurato con i muli a scendere con le “priale”, pena dover spaccare le gambe ai muli. Che fare allora? Le “priale” ferme a Ronco erano più di dieci, il tempo era infame e anche coloro che avevano una vista d’aquila non vedevano il proprio scarpone. Mia nonna li aveva fatti accomodare tutti in cucina, e per consolarli per la brutta giornata, li aveva incoraggiati a bere del buon vino e ad assaggiare del chisciöl: Erano in dieci, mancava solamente l’Ernesto e la compagnia sembrava orfana d’un fratello maggiore. Tutto d’un tratto ecco spalancare la porta e giungere con occhi spiritati Ernesto gridando: “al mio caprone hanno tagliato il corno sinistro e tolto la bronza e alle mie sette capre hanno succhiato il latte” Tutti e dieci i “viciurin” seduti al grande tavolone di scatto si alzarono in piedi e fecero il segno della croce tre volte. Mia nonna abbandonò la padella dei chisciöi, prese la corona del rosario appesa ad una trave del caminetto e iniziò le litanie; io bambino, mi sono rifugiato dentro il grosso pentolone della “bùia del ciun “. Quell’allarme così improvviso che aveva scosso tutta la brigata doveva pur avere una ragione. Ettore, dopo alcuni minuti di silenzio biascicò: “Calma e gesso, sentiamo cosa ha da dire Ernesto, uomo che di balle non ne racconta mai”. Ernesto si versò un bicchiere di vino con le mani tremanti, così fecero gli altri mentre mia nonna terminò le litanie con un “ amen “ e io uscii dietro dal pentolone. Ernesto iniziò a raccontare il fatto con noi tutti appollaiati intorno al grande tavolone di cucina e disse: “ieri, come al solito, al mattino, ho aperto la stalla. La mucca è uscita per la solita sbrucata d’erbe, mentre le capre con il caprone e i loro bei sonagli sono andati nei soliti luoghi. Sapevo che il caprone, come al suo solito, le avrebbe portate in stalla la sera, ma non fu così. La sera andai a cercarle e dopo un ampio girovagare sentì la bronza del caprone suonare lontano. Capre e caprone si erano spostati sui pendii della Valle della Ganda. Si fece buio e quella valle è pericolosa così preferii rimandare la ricerca alla mattina all’alba. Verso mezzanotte, inaspettatamente sentii dei rumori in stalla, mi alzai e andai a vedere. Il caprone con le sette capre era arrivato in stalla, ma al caprone mancavano il maestoso corno sinistro e il suo sonaglio; le capre, sempre così prodighe di latte, avevano le mammelle come fichi appassiti. Qualcuno doveva aver succhiato il latte !! Mia nonna che conosceva tutte le storie e le leggende sulla Valle della Ganda prese la parola con una solennità d’un Vescovo e disse: “Quandu al cabrùn ‘l perd ‘n còren e ‘l so sunai e li cabri i gà giù ‘l pécc sèch, matèi scapii parche ‘l Prevàt danàa de la Val déla Ganda ‘l sa desedàa fò del so lécc” . ( quando il caprone perde un corno e il suo sonaglio e le capre hanno le mammelle appassite, è segno che il Prete dannato della Valle della Ganda si è risvegliato nel suo letto). Poi con voce strozzata disse: “Chilò, adès la sa mpàta mal “ ( qui ora si mette male !). Dopo alcuni minuti di silenzio continuò dicendo :” raccontano che quel prete era un Monsignore venuto da Como per far visita ai fedeli di Vulpera e non aveva perdonato alla povera vecchia Ramabàguli di aver sparso in onore della sia visita pastorale “ bàguli de càbra” ( sterco di capra ) per le strade di Vulpera invece di petali di rose. Quel Monsignore non aveva inteso che le “ bàguli de càbra “ erano l’unica ricchezza di quella povera vecchia e facendo quel gesto voleva rendergli gloria . I quattro uomini che portavano il prete con la portantina erano scivolati sulle “ bàguli “ e il Monsignore era caduto rovinosamente a terra, tra le risate dei paesani, sciupandosi il manto immacolato con le “ bàguli “. Infuriato aveva condannato la vecchia Ramabàguli a morire di fame sull’isolotto di Teràda formato dalle acque dell’Adda e del Poschiavino. Il Signore dall’alto dei cieli aveva visto tutto e aveva condannato il Monsignore a vagare per l’Eternità tra i boschi di quella Valle; dopo la morte per fame della vecchia sull’isola, un mattino cadde una rovinosa frana che” avrebbe” sotterrato l’antichissimo borgo di Vulpera. Da quel lontano giorno gli abitanti di Villa chiamarono quel luogo” Val de la Ganda” che significa ammasso di pietre e luogo di frane. Ora la leggenda dice che quel prete dorme in una caverna sotto i “ Cràp del Còren” insieme a una strolega, natìva della “Val dei Mòrt “. Raccontano che quel prete quando si sveglia , esce dalla caverna e con un corno suona le “ sette note dei morti” , mentre la stroléga si lava il viso con il latte di capra. Dicono che appena finito di suonare le sette note, l’acqua di quella valle che scorre abbondante nella sua gola formi una grande pozza che, piena, trabocca cedendo e trascinando massi e piante. Raccontano che questo succede ogni settanta anni, quando il Prete e la sua strolega si svegliano”. La nonna si rivolse verso Ernesto che ascoltava senza fiatare e continuò dicendo : “Ernesto , il corno che manca al tuo caprone lo userà il Prete per suonare le sette note dei morti e il latte munto delle tue sette capre servirà alla sua stroléga per lavarsi il suo viso sporco da settanta anni.” . ’ Tutti rimasero sbigottiti al sentir dire queste cose e per tre minuti tutti fecero silenzio, quando sentirono provenire dall’alto dei “ Crap del Còren “ il suono di un corno , mentre una nebbia densa come latte avvolgeva ogni cosa. Il primo suono del corno era lungo e lamentoso come il lamento di una mucca che sta per partorire, il secondo suono era come quello di un maiale che sta per essere ucciso, il terzo flebile e molle come il peto dell’ava Celestina, il quarto ondulato come il rumore di una locomotiva della FAV , il quinto come un larice che cade segato, il sesto come uno scroscio d’acqua in un orinario, e il settimo come un colpo di cannone senza rinculo. Poi si udì un rumore di massi e si alzò in quella Valle uno scenario di nebbia da tagliarsi con il coltello. In cucina tutti fecero un segno di croce e dissero “ sperùm che nigügn i sàbis restàa sùt a la frana “ ( speriamo che nessuno sia rimasto sotto la frana ). Dopo due ore la nebbia si dissolse e i “ viciurìn “ si avviarono con i loro “ bròz “ sulla mulattiera verso Tirano. Si seppe poi che la frana era giunta quasi sino alle case ma nessuno era morto. Quegli abitanti conoscevano la leggenda “ del Prevàt de la Val de la Ganda” e al sentire il suono del corno tutti erano fuggiti dal paesino. Tutto questo successe intorno agli anni ’60, cosa avverrà tra settanta anni da questa data ? Ezio (Méngu)
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