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Uno scherzo da “prete” con pari e patta

CULTURA E SPETTACOLO - 13 07 2021 - Ezio (Méngu)

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Il portafoglio ben carico del “Ciuchina” sotto il tavolo della cucina

Secondo me chi non scherza in compagnia in  modo intelligente e non offensivo è paragonabile a un “ladro o a una spia”. Un detto recita: “mi hai fatto uno scherzo da prete“ per dire che lo scherzo viene da una persona insospettabile e che lo scherzo è “pesante“ e di cattivo gusto,  privo dello spirito goliardico che dovrebbe avere in sé. Non dico che un prete non debba scherzare, anzi, ma lo scherzo che viene da un prete è talmente raro e quindi insospettabile che stupisce. Mi piacciono i preti allegri, gioviali e che tirano qualche scherzo al momento giusto purché lo scherzo parta e finisca come un gioco, con risate e senza mugugni. L’espressione “scherzo da prete“ da dove deriva? La tradizione afferma che fu proprio la chiesa cattolica a darne un esempio. La Chiesa sotto il pontificato di Papa Pio IX  fu inizialmente d’accordo al movimento risorgimentale e all’unione dell’Italia, ma poi il Papa fece improvvisamente dietrofront cambiando opinione. La popolazione rimase stupita e incredula del fatto e così nacque il detto “scherzo da prete”. In verità tutt’oggi se ci riferiamo a cambiamenti repentini di opinioni, di casacca e di promesse non mantenute e di sciagurati dietrofront il detto si potrebbe cambiare con infinite elaborazioni come: scherzo da politico, da industriale, da sindaco, o con le infinite sfumature degli innumerevoli “paraculi“ che non mancano mai. 

 

Ma veniamo ai fatti di casa nostra. Lo racconto come lo sentito dire da alcuni anziani contadini, frequentatori della vecchia osteria di Ronco che gestiva mia nonna Verginia.  Nel giorno 7 di agosto, giorno di S. Gaetano si festeggia la memoria del Santo con una S. Messa all’Alpe Trivigno, conca di paradiso e cenerentola per la sua poca e inspiegabile notorietà in tutta la Valtellina. Orbene da tempo immemorabile in quella giornata ci si raduna sull’Alpe per una giornata gioiosa di preghiera e di svago. Alla buon ora un prete della parrocchia di Tirano, con una bella squadretta di ragazzi, donne e uomini e religiosi salgono all’Alpe percorrendo la mulattiera che parte dal “Castelàsc“ (castello di S. Maria). Il percorso si snoda passando tra  “Prima Croce”, la “Volta del Perséch”, per giungere alla bella e solitaria Ronco, dove è posata la Seconda Croce. E’ tradizione e quasi d’obbligo  bév ‘na gazùsa fresca di cantinin” per poi giungere all’alpe Canali e con una ultima tirata giungere all’Alpe Trivigno e riposare nel piazzale della deliziosa chiesetta dedicata a S. Gaetano. Mia nonna, per tradizione, quando giungeva a Ronco il gruppo pellegrino partito da Tirano, preparava una cassa di gazzose e al loro arrivo le distribuiva gratuitamente in omaggio al Santo. Faceva due parole con i pellegrini e con il prete che ringraziava per la S. Messa che avrebbe celebrato in onore del Santo nella bella chiesetta di S. Gaetano. 

 

Erano gli anni ’50 e in quel giorno pioveva a dirotto. Piovere e non piovere mia nonna sapeva che sarebbero passati da Ronco in mattinata e che per tradizione si sarebbero fermati e lei avrebbe offerto la solita cassa di gazzose per ristorarli. Così avvenne. Alle 8. 30 del mattino giunse il gruppo. Era capitanato, si fa per dire, dal Santin detto anche il “ciuchina”, uomo religioso che quando pregava in chiesa doveva stare a debita distanza dalle candele accese poiché v’era pericolo d’incendio col suo alito fortemente alcolico. Giunto sotto la  "rata“ di Ronco il “ciuchìna“ lanciò un gorgheggio alla tirolese per avvertire mia nonna dell’arrivo del gruppo. La nonna udì e in un baleno fu pronta a riceverli tutti in cucina poiché la pioggia era battente ed era calata una fitta nebbia. Giunti in cucina il “ciuchin “ presentò il prete a mia  nonna. In verità rimase stupita che non ci fosse uno dei soliti preti da lei conosciuti in Parrocchia . Il “ciuchina“ disse che il Reverendo era un tiranese partito anni fa per una “missione“ in Brasile e che era tornato a Tirano per trovare i suoi parenti. Indossava una tonaca nera e lisa da specchiarsi dentro e con una tiritera di bottoni neri che partiva dalla camicia bianca  e giungeva alle caviglie. Portava scarponi da contadino e aveva la barba lunga e incolta. Si sa che non è l’abito che fa il monaco e mia nonna con un inchino e un sorriso incominciò a stappare le bottiglie di gazzosa e versarla con cura nei bicchieri. Una parola tira l’altra e dalla gazzosa, invogliati dal “ciuchina“, passarono volentieri ai calici di vino. E calice dopo calice mia nonna rammentò loro che forse era tempo per continuare la salita all’alpe Trivigno poiché la S. Messa si celebrava, per tradizione  alle ore 10.30.  Nel frattempo il prete si era levato la tonaca accaldato dal fuoco acceso nel focolare. La nonna vide con meraviglia che sul braccio del prete c’era tatuata una  grande ancora con due iniziali “M” a destra e “V” a sinistra. Io credo che mia nonna, religiosa com’era, vedendolo pensò all’Ancora della Fede e le due iniziali a Maria - Vergine. Poi il prete grondante di sudore si tolse anche la canottiera di lana. Sul suo petto era tatuato una grande figura di donna dai capelli lunghi e neri, occhi da gatta, bocca da tirabaci e intorno v’era la scritta “Miriam, mio amor“. Credo, ma non sono certo, che la nonna vedendo l’immagine la accomunasse alla Santa Vergine e pensasse al grande sacrificio di quel prete nel portare ovunque sarebbe andato l’oggetto  della sua dedicazione. Le nonne, si sa, sono restie a pensare agli imbrogli e così dopo mille convenevoli della nonna al prete, il gruppo dei pellegrini uscì dalla cucina con sbandamenti e destra e a sinistra e si avviarono cantando sulla mulattiera “Rosina dammela“ .

 

Si seppe che non giunsero mai all’alpe Piscina ma si fermarono in una baita a mangiar polenta. Passò la giornata di S. Gaetano, il tempo si fece clemente e la gente alla spicciolata scese da Trivigno passando per Ronco. Qualcuno si fermò a bere una gazzosa, poi giunse anche il prete con un  folto gruppo di ragazzi e ragazze. Era don B…. o  (ometto il nome intero poiché la gente in Paradiso non va disturbata) che salutò con gentilezza mia nonna. Mia nonna disse al don B……o   se poteva aspettare l’altro sacerdote e che avrebbe offerto a tutti e due un buon bicchiere di vino. Il don rispose “sono salito solo io, gli altri erano impegnati in parrocchia. Dato il maltempo sono giunto con i ragazzi e le ragazze all’Alpe Trivigno con un pulmino gentilmente messo a disposizione da una ditta di Tirano. Poi il tempo si è messo al bello e ora siamo scesi tutti a piedi”. Salutò mia nonna che rispose con reverenza. Quando mia nonna rimase sola si grattò la testa e disse tra sé  "chèl sfazàa del Ciuchina i ma la petàda amò ‘na òlta, chèl l’éra mìga ‘n prèvat. Vigliàcu de ‘n vigliàcu,  la càsa de gazùsi e i dùu pestùn  de vin ghé i farò  pagà car e salàa“  (screanzato di un Ciuchina, me l’ha fatta un’ altra volta, quello non era un prete . Vigliacco di un vigliacco , la cassa di gazzose e i due boccali di vino glieli farò pagare cari e salati) . Poi  si rivolse al Signore della Seconda Croce e disse tra sè: ”io la buona volontà l’ho messa, ora sarà giusto fare pari e patta“ . Infatti il giorno dopo il “Ciuchina“ passò a Ronco con la sua “priala” , si sedette al bancone e ordinò il solito calice di rosso, poi disse a mia nonna : “Verginia per caso ieri non hai trovato il mio portafoglio quando mi sono fermato in cucina con i miei amici?  Era ben carico. Avevo la paga di due  "viciure“ (trasporti di fieno) e tutti i miei documenti e anche la fotografia della mia Rosina quando era giovane. La nonna ripose: “Il tuo portafoglio l’ho trovato sotto la panca ma“ l’èra vöit de ghéi“ (era senza soldi). Il Ciuchina non disse nulla, prese il suo portafoglio e lo mise in tasca. La nonna disse: “per i soldi che ti mancano non sarà che il tuo amico prete ti ha fatto uno scherzo da prete borseggiandoti e buttando il portafoglio sotto la panca?” I due si guardarono bene in faccia e scoppiarono in una risata. 

 

Ezio (Méngu)       

 

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